Capitolo diciannove.

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Sofia's pov

27 aprile 2009

Un bacio.
Gli occhi mi si erano annebbiati e la mente mi aveva fatto fare quello che mai avrei voluto o anche solo pensato.
Le mie labbra avevano toccato quelle del mio psicologo, mentre eravamo seduti ad un piccolo bar, di fronte al mare.
Marco non aveva parlato, dopo tutto, mi aveva fissato aspettando che crollassi, come sempre, e così era stato. Ho pianto sulla sua spalla ricoperta da una leggera camicia azzurra tendente al blu e lui non fiatava: mi accarezzava la testa proprio come aveva fatto Louis. O Francesco. O papà.
"Marco sto impazzendo, non è vero?"
Gli avevo chiesto sincera dopo essermi calmata.
Nessuna risposta.
"Le allucinazioni non passano Marco. La notte non dormo e niente mi calma se non il mare."
"E allora rimani, Sofia."
Quando finalmente parlava, amavo sentire il suo accento italiano così marcato e nella mia testa la sua voce risuonava più e più volte tanto che a volte mi perdevo interi discorsi subito successivi a una frase.
Tipo come in quel momento.
"Scusa, cos'hai detto?" Chiesi mettendomi una mano tra i capelli lunghissimi così come faceva Louis. Mi aggiustai gli occhiali e ancora una volta invece di ascoltare la risposta di Marco mi perdevo a osservare i passanti. Non era come a Londra, le persone parevano più serene e più calme, quasi felici. Davvero qualcuno riusciva ad essere felice? Una domanda che mi tormentava tutti i giorni.
Una ragazza si rese conto che la stavo fissando e mi sorrise. Era molto bella. I capelli erano biondi e corti e portava gli occhiali da sole... aveva i denti talmente perfetti, che si riuscivano a vedere anche da quella distanza. La salutai con la mano e le urlai che era molto bella. Lei forse si spaventò e preoccupata sulla mia salute mentale si alzò dalla panchina sul lungomare e se ne andò.
Così chiesi di nuovo a Marco se fossi pazza. Ma lui non rispose. Di nuovo.
Molto probabilmente lo ero.
Non sapevo neanche io ciò che facevo e non riuscivo più a prendere in mano la mia vita. Era qualcun altro che comandava i miei gesti, non ero io. E tutto ciò era facile intuirlo dal fatto che neanche dieci minuti prima avevo baciato Marco senza volerlo. Forse era capitato perché quelle labbra carnose erano molto simili a quelle di Louis e in quell'istante non c'era stato più il mio psicologo, ma il mio fidanzato. E quindi l'avevo baciato perché diavolo se mi mancavano le sue labbra sulle mie.
"Sofia, dai facciamo una passeggiata e nel frattempo parliamo." Marco si alzò dalla sedia e i suoi lunghi capelli castani e ricci caddero sulle spalle. Le sue mani aggiustarono i ciuffi ribelli in una piccola coda e poi quella mano si allungò verso la mia, sfiorandola. Le nostre dita si toccarono e solo dopo esserci guardati per qualche secondo anche le nostre mani si unirono.
Marco era bellissimo. E questa era una delle poche certezze, su cui contavo, in quel momento della mia vita.
"Allora, hai scritto in questi giorni sul tuo diario?" Mi chiese senza guardarmi, continuando a camminare.
Il Sole alto in cielo mi permetteva di indossare un semplice vestito azzurro con una giacca di jeans sulle spalle. Amavo questo posto. Amavo il luogo di nascita di mio papà.
"Non so più cosa scrivere, Marco!" Gli risposi aggrappandomi alla sua spalla.
"Beh... potresti scrivere di tua nonna, di questo splendido sole, del mare, delle emozioni che ti provoca, di tutto ciò che ti passa per la testa."
"Posso dirti a cosa sto pensando?"
"Sono tutt'orecchi."
"Pensavo al tuo naso e alle tue labbra. Sono così diversi tra loro. Il tuo naso sembra quasi storto... sei caduto da piccolo? E poi è più grande del normale," Marco mi osservava senza parlare, dopo esserci fermati di fronte al mare. "E invece le tue labbra sono soffici e carnose. E rosse. Da mordere."
Cosa sto dicendo?
Marco si abbassò alla mia altezza e toccandomi le labbra prima con un dito, mi chiese: "Così?" E poi me le morse leggermente. Poi si allontanò sempre continuando a fissarmi dritto negli occhi, aspettando una mia reazione: "No," sussurai sempre più vicina alla sua bocca. "Così." E le nostre labbra si toccarono. E ci baciammo a lungo, dal momento che nessuno ci osservava.
Era sbagliato?
Non ne avevo idea.
Perché l'avevo fatto?
Non lo sapevo.
Sapevo solo che Marco lo voleva fin dal primo giorno in cui i nostri sguardi si erano incrociati. Voleva che fosse vero. Voleva che quel nostro bacio fosse voluto davvero dal mio cuore, e non da un attimo di follia.
Cosa volevo io?
Volevo che tutto il dolore se ne andasse.
Così gli afferrai la mano, il polso e lo condussi dove forse il suo ricordo si riposava e dove il dolore non mi trovava.

Caro diario,
Eccomi.
Sono qui.
Sdraiata sul mio letto nella casa di mia nonna.
Questo è il letto dove ho dormito per tutta la mia infanzia. Dove mio padre ed io ci siamo stretti l'uno con l'altro più volte per permettere che le parole pronunciate dalle sue labbra mentre mi leggeva una storia arrivassero meglio alle mie orecchie, alla mia anima.
Papà ho peccato? Non lo so.
Marco è steso supino al mio fianco e un braccio gli penzola dal bordo del piccolo letto. Sapevo che sarebbe finita così, alla fine. Io e lui, due mondi diversi eppure così tanto da dimenticare, così tanto dolore che, anche se per pochi minuti, eravamo pronti ad abbandonare, offrendo il nostro corpo.
Louis, almeno tu, dimmi: è normale fare tutto questo solo per riuscire ad avere un'illusione del tuo viso sopra il mio? Mi manchi troppo. Dio se mi manchi. E faccio tutto questo solo per levigare un po' le ferite del mio cuore. Ma le cura solo per qualche minuto e poi torna tutto di nuovo una merda come prima.
Cosa succederà adesso? Come andrà avanti tutta questa storia malata con Marco? Sarà il mio psicologo durante la mattina, e colui che giace sul mio letto la notte per poi scappare dopo neanche un'ora?
È così che deve andare la mia vita?
È possibile che dopo tutto quello che ho passato questa sia ancora la mia condizione?
Oh Dio quanto vorrei ritornare a quei giorni di dicembre o di gennaio. Assaporare un po' di felicità, quel poco che basta per sopravvivere. In quei mesi con te, la mia vita, era stata piena d'amore e di gioia, anche se piena di sofferenze. Ora non ho più niente. Solo un infinito dolore.
Caro e dolce Francesco, mi manchi anche tu. Odio farmi vedere così da te. Vorrei essere diversa e più forte per te e per papà ma questo è il massimo che posso fare. Mi odio per questo. Odio tutto. Vorrei solo stare con te, ora. Salutami papà e la mamma e ti prego di' loro che ce la farò. Riuscirò ad uscire da questo labirinto di sofferenze.
Lo prometto, lo giuro, caro Francesco.

"Buongiorno, nonna." Dissi alla signora dai capelli candidi seduta al tavolo della cucina intenta a bere una tazza di tè, la mattina dopo.
"Amore, tesoro, ciao, buongiorno. Stai bene, oggi? Hai dormito tutta la notte o sbaglio?"
"No, non sbagli." Sussurrai sorridendo.
Mi sedetti accanto a mia nonna e le presi la mano che giaceva sul piano del tavolo. Non incrociammo i nostri sguardi, ma sapevo che entrambe sorridevamo per questo mio traguardo. Fissavamo il sole alto in cielo che illuminava il mare vicino e ci lasciavamo cullare dal silenzio.
La nonna diede un'occhiata al calendario appeso alla parete e annunciò le poche parole che temevo sarebbero uscite dalle sue labbra.
"Domani è il giorno. Te lo ricordavi?"
Annuii senza rispondere. Mi morsi le labbra trattenendo le lacrime e alzandomi dalla sedia velocemente, uscii dalla porta d'ingresso.
"Sofia!" Urlò la nonna ma io ero già fuori casa e le lacrime scesero sul viso senza la mia approvazione e mi abbandonai a quel dolore così intenso.
Solo dopo che mi fui buttata su uno dei gradini della scalinata che davano a casa della nonna, notai una macchina con i vetri oscurati ferma di fronte a me.
Mi asciugai le lacrime, continuando a fissarla e poi questa ripartì rapida lontana da me e dalla casa di nonna.

Più tardi quella stessa giornata mi stavo riallacciando i pantaloni di jeans chiari, dopo aver fatto sesso nel bagno del bar dove Marco ed io nei mesi precedenti eravamo venuti per parlare dei miei problemi.
Non c'erano più parole.
C'erano solo gemiti e ansimi silenziosi.
E lacrime.
Le mie.
Tante, troppe lacrime che scendevano in continuazione.
Mi abbandonavo a quell'attimo di piacere e subito dopo scoppiavo a piangere e Marco mi lasciava una carezza sul viso sussurrandomi solo un "Fantastico".
In quella giornata tutto ciò si ripeté almeno cinque volte: nel bagno pubblico, nel suo studio, nella sua cucina, contro un cazzo di muro, e su una panchina in un parco nel buio oscuro della notte.
Tutto fuorché pensare a cosa sarebbe successo l'indomani.
Quella notte dormii e non pensai più a quella strana macchina dai vetri oscurati di fronte a casa di nonna.

#spazioautrice

Ciao ragazzii

Volevo solo ringraziarvi perché ho notato che la mia storia, un po', anche dentro di voi è entrata... e di questo ne sono molto felice. Grazie davvero.

Lasciate un commentino qui sotto, anche se vi sembra insignificante, perché credetemi quando vi dico che per me non lo è affatto.

Ci vediamo venerdì prossimo con il capitolo venti!

Un grosso grosso bacio,

Robs xxx :)

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