Capitolo sedici.

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Non c'era nessuno.

Ero sola.
E solo il mare mi faceva compagnia con quel suo scorrere calmo; con le sue onde che si riversavano sulla sabbia e poi tornavano indietro per ricominciare tutto da capo.

Avrei voluto essere anche io così.

Avevo toccato il fondo e mi sentivo come se avessi sbattuto la faccia più volte contro la sabbia, ma anche io sarei riuscita a rialzarmi e a ricominciare il mio percorso.
Il Sole stava per sorgere e io ero già seduta sulla mia amata spiaggia con i piedi nudi nel mare e gli occhi a fissare le pagine di un diario che raccontavano gli ultimi tre mesi della mia vita. Erano passati così velocemente, qui, in Puglia, le giornate insieme alla mia cara nonna e alla brezza primaverile così diversa da quella di Londra.

Era cambiato tutto.

Sfogliai alcune pagine del quadernetto e lessi a bassa voce le parole che narravano com'era stato per me il giorno di Natale.

Caro diario,
Oggi non è il venticinque dicembre, ma Marco insiste sul farmi parlare di questa giornata. Così cerco di ritornare a quelle ore di felicità passate con Louis.
Il ventiquattro dicembre mi ero svegliata nella sua camera da letto, che ormai da una settimana era diventata anche la mia, e, completamente nuda, mi ero alzata ed ero sgattaiolata in cucina senza fare alcun rumore, o perlomeno ci avevo provato. Mi ero concessa un solo e unico giorno per me stessa e per quel noi che ora dopo ora si faceva sempre più concreto; volevo staccare la spina da tutti i problemi, allontanarmi mentalmente e corporalmente solo per un giorno. E così, dopo aver recuperato una felpa di Louis dalla lavanderia, avevo riempito la cucina di addobbi, comprati il giorno prima in un negozietto vicino all'ospedale. Recuperai dal frigorifero la torta tutta di cioccolato con pezzi di fragole sparsi qua e là, che aveva comprato Harry, e iniziai pian piano a infilarci ventisei candeline. Dopo di che presi il computer e aprii una pagina di internet che parlava di un evento speciale proprio quel giorno a Manchester.
Spensi le luci e prima di ritornare in camera ammirai il mio operato: la cucina era sommersa da palloncini blu e gialli, una scritta che augurava un buon compleanno correva da una parte all'altra della stanza e tutto era proprio come doveva essere.
In punta di piedi tornai in camera e sorridendo di pura gioia mi lanciai sul mio ragazzo, che inconsapevole dormiva a pancia in su, con la mano su quest'ultima. Appena atterrai su di lui, il suo volto cambiò espressione e dalla sua bocca uscì un urlo di spavento, i suoi occhioni si svegliarono e mi guardarono dal basso.
"BUON COMPLEANNO DORMIGLIONE!"
Con il volto ancora addormentato, ribaltò la situazione facendo sprofondare la mia testa sul cuscino. Iniziò a baciarmi il collo lentamente ma io avevo tutt'altro per la testa e continuavo a parlare: "Lou... per il tuo ventiseiesimo compleanno vuoi fare la stessa cosa che facciamo tutti i giorni?"
Lui annuì senza smettere di baciarmi le gambe e la pancia nude.
Allora iniziai anche io a toccarlo, a baciarlo fino a quando però ribaltai nuovamente la situazione e lasciandogli un bacio sulle labbra rosse gli sussurrai: "Mi dispiace, ma non posso permettertelo oggi, abbiamo altri programmi."
Detto questo gli sorrisi e anche lui mi sorrise prima di lasciarmi un altro bacio veloce.
Lo presi per mano e correndo entusiasta gli mostrai tutto quello che avevo preparato per lui.

Caro diario, mi è difficile anche descriverti la bellezza di Louis quel ventiquattro dicembre quando mano nella mano camminavamo per la mostra delle opere di Renoir, che avevamo scoperto essere il nostro artista preferito: indossava una camicia a quadri blu e verde aperta sul petto che lasciava scoperta una maglietta bianca, dei pantaloni di jeans scuri e degli stivaletti bordeaux. I capelli erano pettinati e perfetti, così come il sorriso da un angolo all'altro del viso.
Passavo il tempo a guardare lui mentre osservava attentamente ogni singolo dettaglio dei dipinti: mi perdevo nei suoi occhi scrutatori, fissavo la perfezione della sua mascella pronunciata, e ridevo ogni volta che, dopo essersi guardato attorno furtivo, la sua mano libera dalla mia presa, finiva sui colori di un dipinto.

Ci ritrovammo in una saletta con una luce soffusa, con, al centro della parete di fronte all'entrata, solo un piccolo capolavoro di Renoir e lì, nascosti dagli occhi degli altri visitatori, Louis mi ringraziò con un lungo bacio,
"Non potevo desiderare di meglio, Sofia. Ogni cosa materiale perde la proprio importanza quando ci sei tu. Mi basta essere con te per essere felice."

Quella sera stessa, dopo essere andati a mangiare in un locale davvero molto buono, ci recammo a teatro dove, in occasione del Natale, un pianista, ad entrambi sconosciuto, si esprimeva attraverso le note sui tasti bianchi e neri, che sapevano far emozionare chiunque, anche lo spettatore meno attento.

"Dovresti esserci tu, lì..." sussurrai al suo orecchio a metà concerto.
"Sarebbe bello, sì, ma imbarazzante." In quel momento un signore vestito di un abito elegante nero, si avvicinò a noi e chiese: "Lei è il signor Tomlinson?" Louis annuì allarmato e il signore continuò: "La prego, mi segua."
Louis mi guardò di traverso chiedendo spiegazioni, mentre si alzava sistemandosi i capelli con una mano e prendendo il mio gomito con l'altra.
"Oh no, io resto qui a godermi lo spettacolo. In bocca al lupo, tesoro."
Louis esclamò esterrefatto un: "Che cosa hai...?" Ma il signore se lo portò lontano dai nostri posti a sedere e io non riuscii a sentire nessun'altra sua parola.
L'artista sconosciuto finì il suo brano e ci fu un lungo applauso proveniente dalla platea, dopo di che il ragazzo si inchinò al pubblico e uscì.
Regnò il silenzio per svariati minuti, poi dei passi mi riportarono alla realtà e Louis si presentò sul palcoscenico, imbarazzato e timido, avendo un così vasto gruppo di persone a sentire la sua musica.
Mi alzai dalla poltrona e applaudii forte mentre gli sorridevo. Il resto della sala imitò i miei movimenti e un attimo prima che lui si accomodasse di fronte al pianoforte, i nostri occhi si incontrarono. "Io credo in te" dissi sottovoce sperando che riuscisse a leggere il mio labiale.
E poi iniziò e Louis con le sue dita, che veloci cambiavano i tasti e le note, incantò tutti. I suoi occhi erano chiusi e la sua testa oscillava a ritmo della melodia. Mi abbandonai a quel suono chiudendo anche io gli occhi e brividi percorsero tutto il mio corpo più e più volte. A canzone finita, Louis si alzò e si inchinò a noi e solo in quel momento aprii i miei occhi e, applaudendo, chiesi un bis. Fui accontentata subito e mentre mi stavo alzando per andare dietro le quinte, mi resi conto che quella era la prima volta che lo sentivo suonare, la prima volta che mi perdevo nella sua musica, che percepivo i suoi sentimenti verso il pianoforte e solo allora avvertii un nuovo sentimento verso di lui. Non sapevo bene cosa fosse, ma in quel momento l'unica cosa di cui ero a conoscenza era che noi due insieme eravamo qualcosa di più di semplici amanti. Eravamo unici, nessuno mai era stato come noi, e forse è proprio così che ci si sente quando si è innamorati.
Louis terminò e lo vidi incamminarsi verso le tende che ponevano fine al palcoscenico; appena si rese conto della mia presenza lì, corse verso di me e mi sollevò da terra facendomi fare una piroetta stretta tra le sue braccia.
"È strano dirti ti amo?"
Mi appoggiò al suolo e lo fissai negli occhi e poi gli passai la mano tra i capelli morbidi: "Perché, noi non siamo strani?" Fu l'unica frase che riuscii a sussurare.

Louis mi venne subito portato via dalle mille persone che si congratulavano con lui. Si avvicinò anche il direttore della serata che entusiasta esclamò: "Signor Tomlinson lei è un vero prodigio! Quando la sua fidanzata mi aveva parlato di lei, mi aveva raccontato della sua bravura ma mai mi sarei aspettato un simile spettacolo! Complimenti! Complimenti! Le interesserebbe entrare nella mia compagnia a Londra?"

Dopo qualche chiarimento Louis e il direttore di nome Nicholas trovarono un accordo e il ragazzo dagli occhi blu fu felice di avere la possibilità di esibirsi per il concerto del primo di gennaio a Londra.
Verso mezzanotte, dopo aver camminato a lungo uno accanto all'altro, arrivammo finalmente all'albergo che avevo prenotato. Gli coprii gli occhi con entrambe le mani e piano piano, non senza qualche difficoltà, riuscii a portarlo in camera tutto intero.
La stanza era cosparsa di petali di rose rosse che ricoprivano anche il grande letto al centro, e lì dopo esserci stesi e guardati per un po' facemmo l'amore. Sì, non era più sesso, almeno non per me. Qualcosa era cambiato, forse quell'immensa voglia di renderlo sempre felice, di cercare in tutti modi di farlo stare bene. Probabilmente era proprio il fatto che, quando stavo con lui dimenticavo tutti i problemi e mi dedicavo solo a lui.
Sì lo amavo, di questo nostro strano amore.
"Ehi, Louis?" sussurrai, mentre lui dietro di me mi cingeva la pancia. Mi voltai verso il suo volto e verso i suoi occhi semichiusi e dopo aver lasciato un bacio leggero sulle sue labbra dissi: "Anche io ti amo."

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