III Un gioco

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La settimana seguente scivolò via come un sogno febbrile, tra le luci della città e il frenetico battito di un cuore che non trovava pace. Camille ed io eravamo immerse fino al collo nel lavoro, ma per quanto mi sforzassi di concentrare tutta la mia energia sui nuovi progetti, c'era un pensiero che non riuscivo a scacciare: Jude Bellingham.

La sua immagine si era radicata nella mia mente, come un'ombra che si allunga al tramonto. Il suo sguardo, quel sorriso accennato e la sua presenza imponente continuavano a ritornare nei momenti più impensati. Cercavo di distrarmi, di convincermi che non fosse altro che un incontro fugace in una città grande e piena di volti interessanti, ma c'era qualcosa in lui che mi faceva sentire come se quella storia non fosse destinata a finire lì.

Quella sera, dopo una giornata particolarmente lunga e stressante, Camille suggerì di andare a bere qualcosa in un bar che conosceva nel Marais. Era un locale piccolo e appartato, un rifugio per chi desiderava sfuggire al trambusto di Parigi. L'interno era illuminato solo da candele, e l'aroma del vino e del legno invecchiato riempiva l'aria.

Arrivammo presto, e il bar era quasi deserto. Scelsi un tavolino d'angolo, da cui potevo osservare l'ingresso senza essere vista facilmente. Camille ordinò due bicchieri di vino, e cominciò subito a parlare del lavoro, del prossimo evento e delle mille idee che aveva in mente. Ma io non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione di inquietudine, come se qualcosa di importante fosse sul punto di accadere.

Mentre Camille parlava, il mio sguardo si posò casualmente sull'ingresso, e il respiro mi si bloccò in gola. Jude era lì, fermo sulla soglia, come se stesse decidendo se entrare o meno. La penombra del locale lo avvolgeva, rendendolo quasi una figura irreale, come se appartenesse a un altro mondo. Mi sembrava impossibile che fosse lì, ma allo stesso tempo, mi sentivo come se fosse inevitabile.

Tentai di distogliere lo sguardo, ma era troppo tardi. I nostri occhi si incrociarono, e il tempo sembrò rallentare. Non c'era traccia del sorriso che aveva sfoggiato alla festa; al suo posto, c'era un'espressione indecifrabile, quasi enigmatica. Sentii un brivido lungo la schiena, un misto di eccitazione e apprensione.

Camille si accorse del mio sguardo e si voltò, seguendo la mia linea di vista. "Oh," disse con un tono leggermente sorpreso. "Quello non è...?"
"Sì" risposi, la mia voce un po' più bassa del solito. "È lui."

Prima che potessi aggiungere altro, Jude si mosse. Entrò nel bar con passi lenti e misurati, come se fosse pienamente consapevole dell'effetto che la sua presenza aveva su chiunque si trovasse nella stanza. Si avvicinò al bancone e ordinò qualcosa sottovoce, poi si girò verso di noi, con lo sguardo che si fermò su di me un attimo di troppo.

"Non ti dà fastidio se si unisce a noi, vero?" chiese Camille con un sorriso, apparentemente incurante della tensione che sentivo crescere dentro di me.

"No, certo" risposi, anche se una parte di me avrebbe preferito avere più tempo per prepararsi a quell'incontro.

Jude si avvicinò lentamente, portando con sé un fascio di calma imperturbabile. Posò il bicchiere sul tavolo e si sedette accanto a noi senza dire una parola, osservandomi con quei suoi occhi scuri che sembravano voler scavare nel profondo. Sentii il bisogno di riempire quel silenzio, ma prima che potessi aprire bocca, fu lui a parlare.

"Non avrei mai pensato di trovarvi qui" disse, il suo tono basso e appena accennato. "Ma Parigi ha un modo curioso di mettere le persone nel posto giusto al momento giusto."

"È un posto che frequentiamo spesso" rispose Camille, sorridendo mentre si rilassava sulla sedia. "Ci piace l'atmosfera tranquilla."

"Tranquilla" ripeté Jude, come se stesse valutando quella parola. Poi il suo sguardo tornò su di me. "E tu, Renée, ti trovi spesso in luoghi tranquilli?"

Seams of Fate / Jude BellinghamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora