Manicomio

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Commento dell'autrice:
Questo è un capitolo a cui sono molto affezionata. Buona lettura. <3
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Violet

Può esistere un attimo, sospeso
nel tempo, interamente felice?

«Buongiorno Violet, come hai passato la settimana?»
La dottoressa Cambell mi fissa un po' severa da dietro la sua montatura leopardata. Trovo sempre i suoi occhiali inappropriati per ruolo che ricopre, insomma, una psichiatra di un manicomio non te la immagini sicuramente indossare una montatura animalier.

«Proprio come la scorsa settimana» e, considerato che l'attività più entusiasmante che si può svolgere qui è disegnare alberelli colorati in una stanza bianca e azzurrina con sfumature grigiastre, sono stata fin troppo esaltata ed esaustiva nella risposta.

«Ho saputo che non hai presenziato all'incontro di giovedì scorso, posso sapere come mai?»
L'incontro di giovedì scorso sarebbe una stanza vuota dove la gente, seduta in cerchio su delle sedie di legno che scricchiolano, racconta i fatti propri in "totale assenza di giudizio", così almeno dicono loro. Insomma, una sorta di alcolisti anonimi ma per i malati mentali.
La Cambell continua a fissarmi con la faccia puntigliosa ma speranzosa che ha da tre settimane a questa parte, dal primo giorno in cui ho messo piede qui dentro, ogni volta che mi parla.

Ha detto ai miei genitori che "non sembro intenzionata a voler scovare le fragilità che risiedono all'interno dei miei disturbi". Ma, considerando che per i miei attualmente sono a fare un Erasmus per svolgere un corso avanzato di approfondimento di non so cosa in non so quale college, perché non sia mai che la loro figlia perfetta abbia dei problemi agli occhi degli altri, suppongo non sia un affare nazionale per loro se non voglio "scovare le mie fragilità"... che poi non è vero, le conosco eccome, che io non abbia voglia di parlarne è un altro paio di maniche.

«Avevo dolori addominali» svio la domanda.

«Violet, non è la prima volta che ti mostri riluttante verso le attività. Vorrei solo che tu capissi che io e gli altri medici siamo qui per aiutarti».
Sorrido a labbra chiuse. In realtà lei non è poi così male, è sempre carina ed io cerco, nella mia riluttanza, di essere sempre garbata con lei. È tutto il resto ad essere sbagliato.
Non demorde «se ti comporti così per i tuoi genitori, puoi parlarmene tranquillamente. E se te la senti possiamo anche organizzare un'oretta per chiacchierare con entrambi».

Mi irrigidisco solo al pensiero e lei lo percepisce.

«Ma, senza correre troppo, puoi semplicemente partire dall'inizio e raccontarmi qualcosa.»
Sto in silenzio ed osservo la sua espressione ormai rassegnata.
«Nell'ultima settimana sto passando le ore di visita in giardino» la vedo sorridere con gli occhi nel sentimi, forse per una delle prime volte, parlarle di mia iniziativa.

«I miei passano quasi ogni giorno e mi portano Lilie, il mio cane. Da un lato mi fa bene vederla, perché è l'unico membro della famiglia a cui sento di poter voler bene genuinamente, dall'altro mi fa provare una grande nostalgia di tornare alla normalità, fuori da queste mura. Ecco, credo sia questo che mi rende riluttante: non voglio essere qui e non mi sento abbastanza forte per accettare di esserci» parlo velocemente e senza prendere fiato, con una voce quasi scattante, come se dovessi vincere una gara di atletica, per poi sentire, come un corridore dopo la sconfitta, un nodo stringersi tanto forte intorno alla mia gola da lasciarmi quasi senza fiato.
«L'accettazione è il primo passo verso la guarigione Violet, ma è sicuramente il più difficile» mi guarda con aria materna prima di proseguire «devi darti una possibilità di essere felice».

Devo darmi una possibilità di essere felice?

Mi domando se esistano attimi in cui la felicità possa essere un sentimento concreto e non un insieme di congetture tenute insieme da un'emozione flebile ed astratta.
Può esistere un arco temporale, un attimo sospeso nel tempo, interamente felice? In cui tutto va bene?
E non un "potrebbe andare peggio", ma un completo e totale "va bene".
Può risuonare nel tempo un misero e minuscolo instante in cui la felicità non è soltanto l'assenza di dolore in ottica leopardiana, ma un'emozione reale, forte e definita?
Perché cos'è la felicità, se non accettazione dell'assenza di dolore?
Esiste qualcuno, disperso nei meandri di questo immenso e caotico mondo, che possa affermare di di aver sperimentato un intervallo, nel fluire del tempo, di reale felicità?

Un attimo feliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora