La proposta

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Mier assieme a sua madre e altre donne del vicinato, erano sedute fuori di casa, chi a rammendare, chi a fare un bordo all'uncinetto e chi a ricamare

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Mier assieme a sua madre e altre donne del vicinato, erano sedute fuori di casa, chi a rammendare, chi a fare un bordo all'uncinetto e chi a ricamare. I bambini se ne stavano poco più in là a giocare alle prute: il gioco consisteva nel lanciare un sassolino e riuscire ad acchiappare gli altri che erano a terra e riprendere al volo quello lanciato.

Mier poggiò la camicia cui stava riattaccando un bottone e si raddrizzò la schiena, quando da sotto l'arco vide sbucare le due donne che lavoravano al castello. Le altre comari vedendole interruppero i loro lavori, curiose le seguivano con lo sguardo per cercare di capire dove sarebbero andate, con loro grande stupore si fermarono proprio da loro, Mier riprese il suo lavoro, se ripensava a quello che era successo alcune sere prima ancora stava male.

«Buona sera» disse Mona.

«Buona sera» risposero le donne.

«Ci serve una donna che ci aiuti al castello».

Le donne si guardarono fra loro, nessuna avrebbe potuto dare una risposta affermativa prima di averne parlato con i mariti, nemmeno si sarebbero mai aspettate che cercassero qualcun altro che le aiutasse dopo che avevano licenziato i vecchi custodi.

«La paga è di quindici soldi il giorno, si lavora anche la domenica a mezza giornata e le notti che saranno necessarie saranno pagate il doppio».

«Dobbiamo prima chiedere ai nostri mariti» disse una delle donne.

«Poi la notte, con la casa avanti da portare, sarà difficile che qualcuno accetti» aggiunse un'altra.

Mier in cuor suo, anche se la paga era davvero allettante, sperava che sua madre non dicesse nulla al tata, lui sentendo quella cifra avrebbe sicuramente accettato, Adana perché si sarebbe sposata a breve non l'avrebbe mandata di sicuro e sarebbe toccato a lei. "Tutto ma non al castello", pensava.

«Meglio se signorina, dovrà fare da cameriera alla signora che sta arrivando» Precisò Mona.

Se ne andarono senza dare ulteriori spiegazioni.

Le comare, appena le due furono lontane cominciarono a farsi mille domande su chi era questa donna che sarebbe arrivata. La moglie forse, o la fidanzata del barone, alcune pensarono che fosse una sorella o la stessa madre. Non si sapeva nulla sulla sua vita privata, tranne che era amico del duca e un soldato.

Quella sera la donna, più per pettegolezzo che per interesse verso l'offerta di lavoro, raccontò l'accaduto al marito che, come immaginava Mier, disse che l'indomani sarebbe salito al castello portandosi dietro la figlia, sperando che la prendessero. La giovane, col carattere che si ritrovava e i pettegolezzi delle donne, che di certo non aiutavano, ancora non aveva avuto nessuna proposta di fidanzamento.

L'uomo immaginava e soprattutto sperava, che con un piccolo gruzzoletto da parte, qualcuno si facesse avanti. La povera ragazza quella notte non riuscì a chiudere occhio, ormai si era ficcata in testa che quelle due fossero delle streghe, specialmente dopo ciò che era successo alle Maline e ascoltando per caso un giorno Ulgro, che si era fermato a parlare con suo padre sotto la finestra di ciò che aveva visto.

Purtroppo per lei, il mattino seguente al castello la scelsero, anche perché nessun'altra si era presentata. Avrebbe cominciato a lavorare lunedì, i tre giorni che la dividevano dalla sua entrata al castello, che per lei era come una condanna a morte, le parvero passare in un baleno.

 Avrebbe cominciato a lavorare lunedì, i tre giorni che la dividevano dalla sua entrata al castello, che per lei era come una condanna a morte, le parvero passare in un baleno

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Gloria era intenta a pulire in soffitta, Astore non c'era, se ne andava sempre in giro, una sua amica le aveva detto che se ne stava tutto il tempo a vagabondare, i pomeriggi li passava al bordello, oppure chiuso alla bottega di Delos, lo sapeva perché abitava di fronte, possedevano una casa direttamente sopra il loro emporio, perché era molto frequentato, sapeva sempre tutto di tutti meglio di una spia.

Buteo stava quasi tutto il giorno chiuso in camera a studiare vecchi volumi incartapecoriti presi dalla biblioteca della città.

Gloria non sapeva leggere molto bene, era brava, però, a fare i conti perché aiutava il padre nella contabilità per far quadrare i conti della locanda. Si avvicinò al tavolo, dove erano poggiati alcuni di quei libri, erano scritti in una qualche lingua straniera, non riconosceva nessuno di quei simboli.
Un libro dalla copertina rossa però era scritto in loscrito, così per curiosità lo aprì e cominciò a leggere, si trattava di una traduzione fatta da un certo Ignazius Longu, sacerdote e storico. Parlava della fondazione di Diospasin.

Lesse le prime righe a bassa voce, incespicando più volte, alzò gli occhi per capire se Buteo avesse avuto qualcosa da ridire sul fatto che avesse preso il libro, lui continuava con la sua ricerca, così si girò dall'altra parte mettendosi di fianco la finestra e continuò quella sua insolita lettura, la incuriosiva sapere come e chi avesse fondato la sua città.

«Nell'anno de-degli dei trenta sette, posero le prime fon, fon da fondamenta la stirpe dei Galitolia. Che cos'è una stirpe?» si chiese.

«È un altro modo per dire famiglia, la discendenza cui si appartiene» Buteo si alzò e si raddrizzò la schiena :«Leggete davvero male, non avete studiato?».

Gloria arrossì più per la rabbia che per l'imbarazzo :«Non so da voi come funziona, ma qui le donne devono pensare alla casa e alla famiglia».

«Ciò non implica che debbano restare ignoranti».

«Come vi permettete, non sono ignorante» mise il libro, dove l'aveva preso, guardandolo dritto negli occhi, non le importava che fosse un ospite di riguardo del padre, nessun uomo doveva rivolgersi a lei con quell'atteggiamento di superiorità.

«Non siete neppure ben istruita» si portò ad un passo da lei, lo divertiva che fosse così suscettibile :«Se volete, potrei insegnarvi io tutto ciò che ignorate» le disse sorridendo.

Gloria afferrò il doppio senso di quelle sue parole, per evitare di rispondergli in malo modo prese le sue cose e andò via sbattendo la porta, pensando che quella sera gli avrebbe messo un chilo di peperoncino nel suo cibo. Intanto che scendeva, però cominciava a pensare al fatto che a lei sarebbe piaciuto davvero continuare con gli studi e non fare appena il primo anno, giusto per imparare a firmare.

Lo trovava ingiusto, anche se un'istruzione adeguata non le sarebbe servita per cucinare o pulire meglio, lei era curiosa e attenta, la sua sete di conoscenza era sempre viva dentro di lei, credeva che la conoscenza fosse la chiave per andare via da quel luogo senza aver bisogno di nessuno.

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