Nella zona della piazza, nella casa del fornaio, una bambina di sette anni giocava con la sua bambola di pezza intanto che la madre portava la cena in tavola, la bimba seduta a gambe incrociate di fronte al camino recitava alcune filastrocche alla bambola quando la candela che il padre si era sempre raccomandato di non toccare si accese.
La bambina spalancò gli occhi meravigliata, poi corse dalla madre temendo che suo padre l'avrebbe sgridata. Si aggrappò con forza alla gonna della madre.
«Carola vai a lavarti le mani che si mangia» la bambina si strinse ancora di più a lei «Non fare la sciocca e ubbidisci» la piccola alzò lo sguardo e con il dito indicò in direzione del camino, in quel momento entrò nella camera suo padre, si fermo sull'uscio e guardò nella direzione indicata dalla figlia, dentro di se sapeva già di cosa si trattasse.
«Papà non sono stata io lo giuro» disse cominciando a piangere vedendo l'espressione cupa del padre.
La madre le accarezzava il capo cercando di tranquillizzarla, con occhi colmi di panico guardava il marito, che con sua moglie non era riuscito a mantenere il segreto e le aveva raccontato tutto sulla ripresa del vecchio culto e cosa significasse per lui la candela. L'unica cosa che le aveva sempre tenuto nascosto, credendo che così sarebbe stata più al sicuro, erano i nomi degli altri membri.
«Carola non piangere, papà lo sa che tu sei brava e non l'hai toccata» prese la figlia in braccio, che si aggrappò a lui singhiozzando «Adesso però papà deve andare in un posto molto lontano e voglio che tu faccia la brava».
«Devi partire?» gli chiese fra i singhiozzi che andavano diminuendo.
«Si piccola, tu promettimi che non farai arrabbiare la mamma».
Carola si scostò per guardarlo bene in faccia «Quanto tempo resterai lontano?».
«Non molto, non molto mia piccola» le mentì baciandole la fronte.
«Mi porti un dono?» Gli domandò piano.
«Tutto quello che vuoi».
La bimba sorrise e gli diede un sonoro bacio come piacevano al suo papà.
La famiglia cenò in silenzio, l'unica che aveva un bel sorriso era Carola che, ciondolando le gambe seduta al suo posto pensava cosa poter chiedere al padre come regalo.
L'uomo mise ha letto la figlia, che come un adulto disse al padre di fare attenzione durante quel suo viaggio.
Baciò la moglie che era riuscita a trattenere a stento le lacrime per tutta la sera, ma adesso che le diceva addio l'unica cosa che riusciva a fare era piangere.
Era sempre stata contraria a quel suo far parte del vecchio culto a causa di ciò che si raccontava, suo marito tuttavia le aveva sempre detto che quelle storie erano soltanto esagerazioni messe in giro dai membri del nuovo credo per far scomparire del tutto la congregazione.Adesso però che lo vedeva andare via, per non tornare mai più, maledisse quel dio di cui preferiva non pronunciare mai il nome.
Quale divinità poteva desiderare la morte delle persone che credevano in lui? Solo i demoni potevano arrivare a tanto.Poco dopo che si fu incamminato fra le strade illuminate qua e là da lampioni a olio sentì il bubolare di un gufo e il fruscio delle sue ali, l'uccello si andò a posare su di un muretto, appena gli si avvicinò svolazzò poco distante e Gordo comprese che doveva seguirlo.
Per le strade della città non incontrò nessuno, quella era la sua notte. Le ombre più scure della notte, i fantasmi aspettavano lui. Arrivò a Calinu e il gufo svolazzò su di un grosso ramo da cui pendeva minaccioso un intreccio di edere, dentro di sé sentiva che lo invitava a unirsi a lei in un abbraccio eterno.
Gordo salì sul muretto del ponte e come sfiorò il fascio d'edera essa si avviluppò vorace al suo robusto collo strappandolo via dal muretto e dalla vita, fortunatamente per lui gli si spezzò di netto l'osso del collo. Appurata la morte l'edera lo abbandonò, lasciando precipitare il povero Gordo in fondo alla gola che lo inghiottì nella sua fredda ombra.
«Il primo è giunto».
«Presto non fatelo scappare».
Mani fameliche afferrarono lo spirito.
«Devi rimanere qui con noi».
«Un giovane uomo finalmente, vieni, vieni con me» Sussurrava maliziosa, ridendo malignamente, una magara all'orecchio di lui.
«Appartiene a lui non a te» disse stizzita un'altra.
«Ci giocherò solo un po'».
«Guardalo come trema» osservò la terza divertita.
«Cosa credevi, che una volta morto sarebbe finita? Sciocco» la magara dalla voce cupa lo tirò a se :«Adesso comincia il tuo sacrificio» una risata indecente scaturì dalla sua gola e quegli occhi di fuoco pietrificarono il povero spettro. Gordo era paralizzato. Cosa aveva fatto, a chi si era legato anima e corpo? Urlò, singhiozzò, urlò ancora in preda alla disperazione.
Il gufo rimase a osservare, bubolò acuto e le magare lasciarono non in pace la povera anima. Una luce violacea apparve nella conca d'acqua e Gordo rapito da quello splendore s'immerse.
Le magare sibilarono stizzite, era da troppo che non avevano un anima con cui giocare, ma il sapere che presto sarebbe giunta la prima notte le rallegrò, quel giorno avrebbero avuto un gran da fare con le anime che sarebbero giunte.
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Esseri divini
FantastikIn una tranquilla città arriva un nuovo signore a governare su di essa assieme la sua servitù. Sfuggente e introverso si vede poco in giro, tormentato dal patto fatto con una divinità. La gente del luogo abituata alla monotona tranquillità verrà ben...