Armavir passeggiava come al suo solito per le strade di Diospasin, salutava chi incontrava, ma non si fermava a conversare con nessuno, quello era uno dei suoi soliti giri di ronda.
Passava accanto alle finestre aperte, le porte socchiuse, i balconi. La sua ombra s'insinuava nelle case, confondendosi con quelle già presenti. Stava lì in silenzio, come un ragno nel suo buco e ascoltava, non solo ciò che dicevano, riusciva a percepire anche brandelli di pensieri, di cose che avevano paura di dire o ammettere. Così controllandoli, poteva capire se qualcuno sarebbe stato una minaccia per il loro piano.
Si ritrovò a passare sotto casa di Alir Sagez, da lui perdeva sempre un sacco di tempo, poiché era sempre assieme qualcuno, oppure assorto a pensare alle confidenze che i fedeli gli facevano.
Quel giorno era assieme a Ulgro, l'uomo a come sembrava non era intenzionato a ricredersi su ciò che aveva visto quella sera, cercava in tutti i modi di convincere il religioso.
La sua ombra si allungò fino a unirsi a quella dell'uomo. Non avrebbe cessato di insistere col religioso e, a quanto pareva, sembrava intenzionato a recarsi dal sacerdote di Rassicu. Vecchio fanatico cacciatore degli spettri del passato, questo sarebbe stato un problema, lui anche se anziano e considerato un poco toccato, era pur sempre un ottimo rappresentante del nuovo culto e avrebbe capito cosa si stava venendo a formare in quella città. Doveva fare qualcosa e subito.
Ulgro una volta uscito dalla casa del religioso, si diresse verso la sua bottega, che si trovava in una stradina secondaria collegata alla principale, poco distante dalla piazza. Non si rese conto di essere seguito, procedeva con quel suo passo dondolante a testa bassa, assorto nei suoi pensieri, salutò appena la gente che incrociava per strada.
Era in collera col religioso, giovane sciocco pieno di sé, che si credeva di sapere tutto del mondo soltanto per il fatto di essere stato chiuso per qualche anno in un vecchio monastero. Lui però l'aveva visto, quella era la verità non la fantasia di un ubriaco, si decise così che sarebbe partito quella mattina stessa. Entrato in bottega, si mise a sistemare in ordine crescente le quattro lesine di legno, riordinare lo aiutava a calmarsi, controllò se nella scatola dentro il cassetto del bancone vi fossero le lettere.
Aveva chiesto a suo nipote di scriverle per lui, una era indirizzata al patriarca di Coensa, l'altra al suo amico Fydol, da cui si sarebbe recato a breve. Le aveva fatte scrivere il giorno dopo aver avuto quell'incontro con Armavir, dove descriveva per filo e per segno tutto ciò che aveva visto, che temeva per la sua incolumità a causa di quella creatura demoniaca. Suo nipote era stato incaricato di consegnarle personalmente, nel caso gli fosse accaduto qualcosa, il giovane avrebbe portato a compimento quel suo compito ne era certo, suo nipote gli voleva bene, era un bravo figliolo.
Chiusa la bottega, si recò alle stalle per affittare una cavalcatura, con i pochi soldi che aveva, si dovette accontentare di un mulo. Riuscì a montare in groppa salendo su di un ceppo, la bestia che non sembrava aver alcuna fretta, s'incamminò scuotendo le orecchie a scacciare i tafani e le imprecazioni che Ulgro gli lanciava contro per la sua lentezza.
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Esseri divini
FantezieIn una tranquilla città arriva un nuovo signore a governare su di essa assieme la sua servitù. Sfuggente e introverso si vede poco in giro, tormentato dal patto fatto con una divinità. La gente del luogo abituata alla monotona tranquillità verrà ben...