Appuntamento

25 8 8
                                    

«Non avete nulla per cui preoccuparvi» Gli disse acida Grusia.

Andros non riusciva a capire come a quella donna non importasse nulla di dover disobbedire a un ordine del re in persona.

Nella missiva gli ordinava gentilmente di recarsi a Coensa, il re era intenzionato a organizzare l'ennesimo ricevimento per festeggiare la vittoria di quella battaglia che lui desiderava soltanto dimenticare. L'unica cosa che fece la donna fu strappare la lettera e gettarla nel focolare per darle fuoco

«Penseremo a tutto noi» riprese una volta che rimase solo la cenere della lettera «Se a preoccuparvi è un'eventuale punizione da parte di quell'uomo, ricordatevi che lui non è il vostro re, non è la sua ira che deve spaventarvi, credevo lo sapeste ormai» lo fissò gelida negli occhi.

Andros rivide vivide nella mente le immagini di quell'incubo, aveva paura e lei lo percepiva, così Grusia lo lasciò da solo a meditare su ciò che lo attendeva se avesse vacillato ancora

Andros sentì la donna chiamare Mona, spiò aprendo leggermente la porta e vide le due che confabulando scendevano, sicuramente dirette al sotterraneo, ogni volta che accadeva qualcosa scendevano lì, e da quel luogo ritornavano dopo aver ricevuto gli ordini da quel loro signore. Lui non era mai stato laggiù, la chiave della cancellata la teneva sempre con se Grusia l'arpia. 

Andros non osava neanche immaginare cosa si potesse nascondere nel ventre di quella rupe e si vergognava di come stava diventando sempre di più somigliante a un cagnolino ubbidiente, che nonostante le bastonate del padrone continuava a essere fedele. Appena quei pensieri di ribellione cominciavano a farsi strada nella sua mente, scuoteva il capo come a scacciarli via e si dedicava all'unica cosa che sembrava regalargli un minimo di spensieratezza. Prese una delle bottiglie e si lasciò sprofondare fra i cuscini del divano, stappò e tracannò il liquido caldo.

«Barone, barone mi perdoni».

Qualcuno lo chiamava scuotendolo piano per il braccio, Andros si spaventò e istintivamente afferrò con forza chi gli stava accanto, quando aprì gli occhi si ritrovò con la mano che stringeva la gola della ragazza che si occupava di Karlene.

« Cosa ci fai qui?» la spinse via.

«Mi scusi barone, la signora è andata via assieme Grusia e Mona, mi hanno lasciata qui senza dirmi se dovevo attendere il loro ritorno» Mier lo guardava impaurita, quella sensazione l'abbandonò presto, lasciando il posto all'imbarazzo, non le era mai capitato di poter parlare da sola con lui, c'era sempre qualcuno intorno a osservare con cipiglio.

Andros si rese conto che la ragazza era l'ultima persona al mondo a meritarsi quei suoi modi bruschi

«Che ora è?».

«Le due signore».

Andros mise la testa fra le mani, per quanto tempo aveva dormito? L'intorpidimento che gli dava l'alcol poteva cancellare i suoi mesti pensieri per un po' di tempo, di sicuro non gli donava un riposo ristoratore.

«Portami da mangiare, qui in camera».

«Si signore».

Mier una volta trovata la cucina, vide che fortunatamente qualcosa era già stato preparato prima che andassero via, così dovette soltanto riscaldare la porzione per il barone. Sistemò tutto su di un vassoio e facendo molta attenzione risalì; mise tutto sul tavolo e si fece da parte, attendendo che finisse.

«Come ti chiami?».

«Mier signore».

«Come ti trovi qui al castello?».

«Bene signore».

Una volta finito Andor si alzò e si affacciò a una delle finestre.

«I miei erano dei contadini, io stesso non ho fatto altro che lavorare la terra fino a dodici anni. Un giorno si trova a passare un uomo d'armi il quale disse a mio padre che un giovane con la mia forza era sprecato nei campi, che avrei potuto sfruttare le mie capacità al servizio del re. Appena capì che gli conveniva di più darmi all'esercito che continuare a tenermi con lui mi spedì alla caserma più vicina ».

Esseri diviniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora