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Ventotto Maggio.

Guardare le stelle era probabilmente l'unica abitudine che conservava della sua fanciullezza.
Ma se da piccolo gli facevano sognare grandi imprese ed inestimabili tesori, adesso l'unica cosa che gli trasmettevano era un terribile senso di inadeguatezza.

Adesso le odiava le stelle.

Chiuse gli occhi cercando di raccattare le sue ultime forze, stavolta aveva decisamente esagerato con l'allenamento.
Il perché poi ogni sera si riduceva così non riusciva ad ammetterlo ad alta voce, era un qualcosa di troppo masochistico per chi ha passato tutta la vita a raccontarsi bugie sulla sua vincente potenza.

Avrebbe voluto essere ucciso.

La morte libera da ogni male.
Ogni fatica.
Ogni responsabilità.
Ma Kakarot gli aveva sottratto anche il desiderio di morire da guerriero ed ora per colpa sua, si ritrovava apolide in una terra a cui non riusciva proprio a dare un giudizio.

Odiosi bastardi terrestri.

Come ogni sera i suoi pensieri vennero distratti dalle incessanti urla che a mano a mano si stavano per spandere in tutta la casa.
Il Ki era chiaro, era tornata.
Sfortunatamente al suo seguito c'era anche quell'idiota amateur di un guerriero.
Da quando aveva messo piede in quella casa non c'era stata ancora una notte che non li avesse visti litigare.
O per meglio dire, sentiti.
Non aveva alcuna voglia di spiarli eppure ogni notte si ritrovava sempre, in qualche modo, ad ascoltare le loro conversazioni.

Ed in qualche modo, prima o poi, si ritrovava sempre di fronte a lei.

Dodici anni insieme e per cosa?
Per non ricordarsi nemmeno più quella data?
E quante cazzo di scuse che accampava ogni volta che lui veniva meno in qualcosa...
La testa le faceva un male atroce e non voleva neppure tornarci in quella casa, soprattutto se questo significava dare la soddisfazione a quell'altro stronzo di sayan di vederla in quel modo patetico.
Uscire con una donna come lei non era qualcosa di scontato.
Non doveva essere scontato.
Era una giovane donna in carriera, era bella e sempre impegnata in qualche nuovo progetto.
Che altro potevano pretendere in più rispetto a quello che faceva già?

Yamcha faceva fatica a starle dietro, nonostante avesse i tacchi.
E faceva pure fatica mentalmente.

- Tesoro mi dispiace di aver fatto tardi, ti prego fammi rimediare -

Ma una mezz'ora poteva essere considerato un ritardo, non un'ora e mezza.
Lui se n'era proprio dimenticato e lei si era fatta bella inutilmente, anzi forse solo per ricevere complimenti non richiesti da perfetti sconosciuti.
Non lo fece neppure entrare in casa, quella sera non voleva davvero averci niente a che fare.
Si fermò in cucina dove tirò fuori la costosa bottiglia di champagne che avrebbe dovuto bere in compagnia del suo uomo.
La stappò e ne iniziò a goderne da sola.

- Donna dove diavolo sei stata tutta la giornata?! -

Come al solito se ne stava avvolto nell'ombra senza che nessuno oltre quelli come lui potessero accorgersi della sua presenza.
Ma lei non si spaventò, era piuttosto sicura che l'avrebbe incontrato anche quella notte.
Ormai faceva parte della loro routine ignorarsi, mandarsi a fanculo e poi avere una qualche strana reazione chimica la notte.

- Champagne? -

Gli versò un flute senza neppure aspettare la sua risposta.

- Ti ho fatto una cazzo di domanda, sei sorda o cosa? -

La donna sorrise mentre si bagnava nuovamente le labbra di champagne e lo ignorò categoricamente.
E la cosa non venne per niente gradita dal principe, che di pazienza già ne aveva poca e non aveva alcun desiderio di spenderla ulteriormente per colpa della donna.
Si avvicinò in un lampo e la schiacciò tra il suo corpo ed il marmo gelido della cucina.
Ma fu una mossa al quanto stupida, ai giochi perversi si gioca sempre in due e la sua avversaria non era conosciuta per il suo essere restia.

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