Capitolo 65 - Il punto più basso

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Dato che Miguel non dava segno di volersi alzare, ci pensò Diego a farlo per lui, poi lo spintonò in avanti, obbligandolo ad andare dietro a Raúl. Non appena ebbero varcato la soglia dell'ufficio, si ritrovarono sopra una rampa di scale in acciaio, che conduceva direttamente al pianterreno del capannone. L'interno della struttura era stato diviso in due sezioni distinte, e da quell'altezza lo si vedeva chiaramente.

La zona stoccaggio, la stessa dove era ubicato l'ufficio sopraelevato, si presentava come un enorme magazzino, pieno zeppo di barili adibiti alla conservazione delle sostanze chimiche, necessarie per la creazione delle due principali droghe in cui era specializzato il cartello: metanfetamina e Fentanyl. La produzione vera e propria avveniva invece nell'altro settore, separato dal resto dell'edificio da un muro in calcestruzzo.

Giganteschi scaffali ingombri di fusti d'acciaio e plastica occupavano gran parte della superficie del deposito, ma nella zona antistante le scale che portavano all'ufficio, di spazio libero ce n'era. Quando Miguel ci era passato sopra la prima volta, non aveva visto assolutamente nulla a parte il pavimento in cemento, ma adesso non era più così. Alla vista del largo telone di plastica trasparente steso a terra, il cuore gli finì dritto in gola.

''Avevi detto che...''

''Tranquillo, non è per te'' lo interruppe Raúl rivolgendogli quello che avrebbe dovuto essere un sorriso rassicurante.

Per nulla tranquillizzato, Miguel avrebbe voluto chiedergli delucidazioni in merito, ma non gli fu possibile. Proprio in quel momento infatti, un carrello elevatore poco distante aveva incominciato a sollevare un pallet di legno, sopra cui erano posizionati cinque barilotti in acciaio tenuti insieme col cellophane, e il rumore prodotto dal cicalino del mezzo impediva di farsi sentire chiaramente.

Nonostante conoscesse bene la portata delle operazioni del cartello nei dintorni della sua città, Miguel fu sorpreso di vedere così tanta gente all'opera. Notte della vigilia o meno, il laboratorio continuava a lavorare senza sosta, come se l'imperativo in quel luogo fosse di non arrestare mai la produzione.

Una volta raggiunto il piano terra, una mezza dozzina di uomini, apparentemente in pausa a giudicare dall'atteggiamento rilassato, si erano già radunati attorno ai bordi del telone, in attesa di assistere allo spettacolo. Uno spettacolo che, al contrario di loro, Miguel non aveva alcun desiderio di vedere.

''Tutto pronto, vedo''. Raúl si fregò le mani. ''Perfetto. A quanto sembra manca solo il nostro ospite speciale. Dove...ah, eccolo''

Sbucando da una porticina laterale, non troppo distante dalle gigantesche saracinesche presenti sul lato destro del capannone, Hector entrò nel magazzino stringendo per la spalla un uomo bendato, con le mani legate dietro la schiena, e la cui bocca era coperta da uno strato di nastro adesivo grigio. Indossava dei jeans logori e una semplice camicia a righe. Anche con buona parte della faccia tenuta nascosta, si capiva facilmente che avesse pressappoco una cinquantina d'anni.

''Bene, bene, bene, dunque eccoci qui'' disse soddisfatto Raúl, ''allora, come stai...''. Si interruppe per rivolgersi ad Hector. ''Come si chiama il coglione?''

''Pedro'' rispose Hector.

''Come stai Pedro?'' domandò Raúl tutto pimpante. E afferrata l'estremità del nastro adesivo che gli tappava la bocca, lo rimosse con un singolo strappo.

Non appena fu liberato, il prigioniero gonfiò il petto.

''Vi giuro che non ho fatto niente! Niente!'' urlò a pieni polmoni. ''Non lavoro con la droga! Riparo auto! Riparo auto!!! Vi suppli...''

''Va bene, direi che basta così'' disse Raúl rimettendo il nastro al suo posto, ponendo così fine alle grida disperate di Pedro. ''Tanto non l'ho portato fin qua per fare conversazione''

KAMA - Volume PrimoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora