Gli uomini sposati (parte prima)

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Che razza di uomini sono i mariti? Creature complicate, spesso intrappolate tra l'apparenza della perfezione familiare e il desiderio di evasione. Dichiarano amore incondizionato, eppure molti di loro sembrano far parte del club "vorrei ma non posso". È una frase che suona come una generalizzazione, lo so, ma non può fare a meno di adattarsi a Giuseppe, quarantenne di successo, con una moglie bella e due figli. Un incontro casuale ci portò a parlare: io ero in pausa, seduta su una panchina in un giardino pubblico, lui in ferie, impegnato a tenere d'occhio i figli. Con una gentilezza quasi disarmante, mi chiese se potesse sedersi accanto a me, di solito l'approccio ad una donna sola è più diretto, almeno dalla mia esperienza personale. Fu proprio quel suo chiedere il permesso — così raro negli uomini — che fece scattare qualcosa dentro di me. Acconsentii.

Non ci volle molto perché le parole iniziassero a scorrere libere tra noi, come se la panchina fosse diventata una zona franca dalla routine. Parlava di sé, del suo lavoro, della vita familiare. Aveva chiaramente bisogno di sfogarsi, e io, incuriosita, gli lasciai spazio. Ma presto mi resi conto che stava andando oltre. Parlò della moglie, del loro matrimonio incrinato. Un'incrinatura che si rivelava nei piccoli dettagli: l'assenza di sesso, discussioni quotidiane su chi dovesse portare i figli a scuola o su come caricare la lavastoviglie. Ah, gli uomini e le faccende domestiche: sembrano affrontarle come missioni spaziali. "I coltelli vanno con la lama in su," sostengono alcuni, mentre altri combattono la battaglia opposta. E si vantano pure, come se la cura della casa fosse solo questo.

Quando si rese conto di aver forse detto troppo, cambiò tono. Iniziò a farmi domande, dapprima di circostanza, poi sempre più personali. Quando gli dissi che ero lì solo per una breve pausa, che tornavo in città ogni mese per lavoro, notai nei suoi occhi un lampo di qualcosa che forse non aveva provato da tempo. Mi parlò di un appartamento vuoto, che avrebbe potuto affittarmi, anche gratis, ogni volta che ne avessi avuto bisogno. Non sapeva che le mie trasferte erano già tutte pagate. Mi lasciò il suo numero di telefono, come se in quel piccolo gesto potesse racchiudersi una promessa, un'opportunità.

Quella sera in albergo, i pensieri si affollarono attorno a quel guizzo nei suoi occhi, una scintilla che non riuscivo a togliermi dalla testa. Gli mandai un messaggio, innocente quanto bastava, ma non del tutto. Colse immediatamente il sottinteso. Da quel momento, cominciammo a scriverci senza sosta, la mattina, il pomeriggio, fino a tarda notte. I messaggi diventavano sempre più audaci, costruendo un gioco pericoloso e avvincente.

Non ci furono molti momenti per vederci di persona, ma tra messaggi e chiamate, il legame cresceva, diventando una costante, un filo invisibile che ci teneva connessi giorno e notte. Il mio ultimo pensiero della sera era per lui, e al mattino la prima notifica che illuminava il mio telefono proveniva sempre da Giuseppe. All'inizio, le conversazioni erano leggere, fatte di chiacchiere sul quotidiano, ma ben presto i messaggi cambiarono direzione, virando verso una complicità più intima. Era come se, passo dopo passo, ci stessimo spogliando non solo dei vestiti, ma delle nostre inibizioni.

Le foto non arrivarono subito, non c'era fretta. Iniziammo con la mia tenuta da lavoro o con quello che indossavo per andare a letto. Poi, inevitabilmente, le sue richieste divennero più audaci, riflettendo quella fame insaziabile che nasce quando il desiderio rimane insoddisfatto a lungo. Cosa poteva chiedere un uomo come lui, intrappolato in un matrimonio che ormai era solo una facciata? Voleva vedere se ero depilata, se indossavo quel perizoma nero che gli avevo descritto, e altre domande sempre più esplicite. Ma non tutte le sue richieste venivano esaudite: dopotutto, per me era ancora un estraneo, un contatto virtuale che, nonostante il fascino del mistero, poteva in qualche modo risalire alla mia vita reale. Il rischio di essere scoperta aleggiava sempre, rendendo tutto ancora più eccitante ma pericoloso.

Il gioco, però, era irresistibile, una fiamma che non riuscivamo a spegnere. Anche lui non si risparmiava, mandandomi foto di sé in ufficio, mostrandomi dove lavorava. Era meno prudente di me, persino sfrontato. Un giorno si riprese mentre si faceva una sega alla sua scrivania, il monitor del portatile acceso con una mia foto in bella vista: il mio lato B "fasciato" in un perizoma che lo faceva impazzire. La videocamera del telefono inquadrava la sua mano che scivolava lenta sul cazzo duro scoprendo la cappella umida e gonfia, poi il movimento si fece sempre più rapido fino a quando esplose, liberando fiotti di sborra opalescente che finirono sullo schermo. La scena era un misto di eccitazione e surrealismo, e non potei fare a meno di sorridere, chiedendomi come avrebbe ripulito tutto.

Quel gioco continuò per un po', ogni messaggio un nuovo tassello, ogni foto un passo in più verso un abisso di desiderio senza ritorno. Ma come tutte le cose, anche questa doveva avere una fine...


Tra Fantasia e Realtà: Il Mondo di FlaviaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora