6) Una ragazza come un'altra

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Pov di Riccardo:

Quella ragazza, com'è che si chiamava, Federica? Ma chi se ne importa, l'unica cosa di cui ero pienamente consapevole è che era una stupida e fastidiosa ragazzina che prima o poi mi avrebbe portato alla disperazione.

Non era passata neanche una settimana dal nostro primo incontro e il suo carattere mi aveva già messo a dura prova.
Quello che la contraddistingueva non era tanto la sua bellezza, ma quella lingua lunga che aveva, doveva sempre dire l'ultima e voleva sempre avere ragione.

Ciò non toglieva un leggero fascino al suo carattere.
Infatti tutte le ragazze, che avevo incontrato in quei lunghi diciotto anni di vita, erano state tutte ragazze semplici, non troppo difficili da convincere e soprattutto da portare a letto.
Con me le ragazze più complesse non duravano più di tre giorni.
Una cosa da specificare è che non ho mai avuto né una relazione seria ne generalmente una relazione vera e propria.
La mia filosofia di vita era "Se puoi avere tutte le ragazze del mondo, perché limitarsi ad averne solo una".

Ritornando al discorso di Federica, ormai l'avevo classificata come ragazza difficile, dunque ero matematicamente certo che non sarebbe durata più di tre-quattro giorni.

Come si vuol dire quando parli del diavolo spuntano le corna, anche se in quel caso il diavolo ero io.
Ci trovavamo tutti in cucina, quando fece il suo ingresso Federica, aveva gli occhi ancora stanchi di sonno e la bocca impastata, proprio a testimoniare il suo risveglio.
Uno sbadiglio si fece largo sul suo viso, distorcendo quei carnosi lembi di carne delle sue labbra.

Ancora stropicciandosi gli occhi si avvicinò ad un cassetto, da cui prese una semplice brioche, subito dopo si appoggiò col gomito su tavolo e si mise a fissare il vuoto, quasi autocommemorandosi.
Non potei evitare di farmi scappare un risolino e quasi immediatamente mi pentii di averlo fatto
«Cazzo ridi.»
Mi sembrò più un'affermazione che una domanda, quindi per nostra sfortuna, oserei dire, decisi di rispondere con un tono ancora più civico «Dovrei piangere?» la ragazza annuì e mi sembrò quasi di percepire un «Ci risiamo» da parte del mio amico seduto di fianco a me.
Ormai già con il nervo partito continuai a rispondere «Non ti hanno insegnato a tenere a freno quella lingua che ti ritrovo?»
Federica spostò gli occhi dalla sua colazione a me, guardandomi in cagnesco.

Neanche un secondo dopo, mi ritrovai colpito da una pantofola, non rimasi tanto sconcertato dal gesto, quanto dalla nonchalance con cui si riprese la pantofola e si ritirò in camera sua.
Quella ragazza era strana, e come se lo era.

Ormai si era fatta l'ora di andare all'università, tutti eravamo pronti ad eccezione di Federica che appena un minuto si fece viva, uscendo dalla sua camera.
Non indossava niente di troppo esagerato o stupefacente, ma aveva una sorta di potere magnetico.

Ma che diavolo sto dicendo! Stupidaggini!

Feci una cosa che non mi sarei mai aspettato di dire né a lei né a nessun'altra ragazza «Ti va di andare in moto? Intendo all'università.» Lei non mi sembrò affatto contrariata anzi, mi chiese solo una cosa «Basta che non vai veloce» feci un sorriso divertito, perché sapevo che tutto avrei fatto tranne andare piano in moto, ma comunque le risposi «Sì, certo, per chi mi hai preso?».

Senza dilungarci troppo ci dirigemmo verso la mia moto -una semplicissima e umilissima moto nera con dei riflessi bianchi sulle facciate laterali- mentre Samuele e Alessia si dirigevano verso la macchina del primo.
Porsi il casco di scorta alla ragazza di fianco a me, e dopo essermi seduto la aiutai a salire.
Feci azionare il rombo del motore e il gioco ebbe inizio.

Presi una strada alternativa per dirigerci all'università, il tragitto sarebbe stato più lungo, ma avrei potuto sfrecciare a una velocità più elevata, poiché da lì passava di rado qualche macchina.
Quando imboccai l'inizio del sentiero iniziai ad accelerare fino ad arrivare a velocità smodate, intanto la ragazza dietro di me si strinse forte al mio busto - cosa che non mi dispiaceva per niente- e iniziò ad implorarmi «Vai piano!» «Oh!» «Dannazione stupida io che ti ho creduto!»

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