4. Tra il vento e le ombre

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Le montagne di Dimaro si stagliavano imponenti sotto il cielo limpido. Un paesaggio sereno in netto contrasto con gli avvenimenti che avevano scosso la sua vita, la sua quotidianità. Non era abituata a rifugiarsi dietro una scrivania, eppure quell'ufficio improvvisato al campo sportivo era diventato il suo posto preferito, il suo nascondiglio. Si sentiva al sicuro tra quelle quattro mura, lontana da Giovanni e da quegli occhi che conoscevano ogni sfumatura delle sue debolezze.
Il campo verde si stendeva davanti a lei, perfettamente curato. Luciano Spalletti supervisionava gli allenamenti come un direttore d'orchestra in piena sinfonia. Le urla dei giocatori, il suono del pallone che rotolava sull'erba, erano rumori familiari che solitamente la tranquillizzavano. Ma non quel giorno. Ogni volta che Giovanni entrava nel suo campo visivo, il suo cuore ne risentiva, nonostante si fosse ripromessa di ignorarlo.

Abbassò lo sguardo sui fogli che aveva davanti, cercando disperatamente di concentrarsi sul lavoro. Le parole erano sfocate, la mente lontana, rapita dal fantasma di un amore che non poteva vivere. Da quel piccolo ufficio, il manto erboso sembrava quasi un confine, una linea sottile tra quello che era stato e quello che non avrebbe mai più avuto. Giovanni ogni giorno lo oltrepassava, inconsapevole di quanto lo odiasse e amasse allo stesso tempo.

I giorni passavano, ognuno di essi segnato da un tentativo del numero ventidue di avvicinarsi, di parlarle. "Nina posso parlarti un attimo?"  le aveva chiesto il giorno seguente al suo arrivo. Lei aveva solo scrollato le spalle, fingendo di non sentirlo, e aveva proseguito dritto per la sua strada. Quando se l'era trovato faccia a faccia, con il sorriso di lui pronto ad accoglierla, si era sentita ingannata. Non vi trovava più la sincerità travolgente delle prime volte, la calda rassicurazione che quell'uomo appartenesse anche un po' a lei. "Non c'è nulla di cui parlare, Giovanni" gli aveva risposto cercando di risultare quanto più algida possibile. "Hai detto tutto il giorno del matrimonio" asserì, con il puro intento di restituirgli almeno le briciole di quel dolore in cui l'aveva incastrata. Giovanni aveva abbassato lo sguardo, ferito, ma non era arretrato. "Non è così semplice, Nina" l'aveva fissato, mentre il suo cuore provava a sciogliersi con il suono di quel soprannome pronunciato da lui. "Ah no? Perché mi sembra che sull'altare sia stato piuttosto semplice dire Sì." Le parole erano uscite prima che potesse fermarsi, con quel sarcasmo tagliente come una lama tornato finalmente a galla. Sentì il cuore pesante, la gola chiusa. Non voleva mostrargli quanto soffriva, ma sapeva che il suo sguardo parlava da solo. Giovanni fece un passo indietro, come se ogni parola pronunciata da Anita fosse un colpo che era destinato a incassare. Ma non si arrese. "Sai che non è così. Io... non posso rinunciare a te." Quelle parole le sembravano così lontane, così vuote. Come poteva dirle ancora una cosa del genere, dopo aver sposato un'altra donna poco meno di un mese prima. Rise amara. "Non puoi rinunciare a me, ma neanche a lei. E allora cosa sono io? Un rifugio? Un ripiego?" Il silenzio che seguì quelle domande fu denso, rotto solo dal vento che sibilava tra gli alberi, dalle voci lontane dei ragazzi che ancora popolavano il rettangolo di gioco. Giovanni provò a replicare, ma lei lo interruppe. "Basta, smettila di incastrarmi in questo limbo senza fine. Smettila di ripetere sempre quanto non sia semplice, sembra che tu voglia solo convincere te stesso, e io non ce la faccio più a vivere così." E se ne andò, lasciandolo lì, immobile. Circondato dal rumore della vita che scorreva inesorabile, mentre loro restavano fermi in quel loop di dolore, di tentativi vani. Avvolti dalle ombre di sentimenti irrisolti.


Uscì dall'ufficio con i pensieri ancora confusi, mentre il vento di quella giornata le scompigliava i capelli. Aveva bisogno d'aria, di un momento per scrollarsi di dosso quel peso opprimente che le schiacciava il petto, ogni volta che doveva fare i conti con la realtà. Con Giovanni. Ogni incontro con il numero ventidue era un salto nel vuoto, un misto di desiderio e dolore che non riusciva più a gestire.
Camminò verso il boschetto che costeggiava il campo sportivo, lontano dal frastuono degli allenamenti. Gli alberi alti offrivano una tregua, un luogo dove poteva perdersi nei suoi pensieri senza essere vista. Sentiva il chiacchiericcio lontano, come un eco, e chiuse gli occhi per un istante, lasciando che il profumo della resina e quello della terra umida l'avvolgessero. Ma quell'angolo di pace però fu invaso presto.

Oltre l'ultimo bacio | Giovanni Di LorenzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora