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Il giorno della partita a porte chiuse era arrivato, Matteo sentiva un turbinio di emozioni sempre più forte. Sapeva quanto contasse quella prestazione, una delle ultime prove decisive per le convocazioni agli Europei. La pressione cresceva, alimentata da dubbi, aspettative e da una serie di pensieri che lo tormentavano. "Devo dimostrare al mister che posso essere un giocatore chiave," si ripeteva, cercando di soffocare l'ansia mentre infilava la divisa della nazionale. Matteo li conosceva tutti i suoi compagni di squadra, con la maggior parte di loro aveva anche uno stretto legame di amicizia, ma in quel momento erano tutti suoi nemici, lui doveva riuscire a dare il massimo, contro tutti, solo per se stesso.

Arrivato sul campo, percepiva l'atmosfera tesa, caricata dalle ambizioni di ciascun giocatore in lizza per i pochi posti disponibili. Ognuno voleva emergere, dare tutto, ma Matteo si sentiva meno lucido. Ogni volta che provava a concentrarsi, la sua mente veniva trascinata via, riportandolo alla scena dell'ultima volta in cui aveva visto Sara. Si sorprese a immaginare ancora i suoi occhi delusi, mentre si allontanava dal bar. "Ma cosa sto facendo? A cosa sto pensando?" si chiese frustrato, riprendendo il fiato tra un esercizio di riscaldamento e l'altro.

Mentre i giocatori si scaldavano, Matteo tirava di continuo lo sguardo al suo telefono. Non c'erano suoi messaggi. Ogni volta che lo schermo restava vuoto, un nodo amaro gli si stringeva nello stomaco. L'idea di complicare ulteriormente le cose lo frenava. "Sei qui per te stesso, per questo sogno che hai da sempre," si ricordò, fissando l'erba sotto i piedi e raddrizzando le spalle, deciso a non lasciarsi trasportare da una debolezza.

Il mister li radunò per un discorso pre-partita. "Oggi è il momento di brillare," disse, rivolgendosi al gruppo con uno sguardo che non lasciava dubbi sulle sue aspettative. "Dovete mostrare al Paese e a voi stessi di essere pronti a rappresentare l'Italia." Matteo sentiva quelle parole risuonare nella testa, e ogni battito accelerato del cuore gli ricordava quanto fosse disperato il suo bisogno di liberare la testa da quel vortice. Tuttavia, c'era una parte di lui che non riusciva a ignorare il fatto che proprio Sara occupava una parte importante di quel caos mentale.

Al fischio d'inizio, Matteo provò a immergersi completamente nel gioco. Ogni passaggio, ogni dribbling diventava un'opportunità per dimostrare di essere pronto. Nei primi minuti ci riuscì, ma man mano che il tempo passava, sentì la propria sicurezza vacillare. Ogni errore sembrava ingigantirsi, diventare un'ombra che lo inseguiva. "Concentrati, Matteo, ora o mai più," si ripeteva con ogni pallone che riceveva, ma più cercava di ignorare la pressione, più questa sembrava aumentare. Si accorse che, in alcuni momenti, lo sguardo gli sfuggiva verso le tribune vuote, come se sperasse di vederla tra il pubblico a fare il tifo per lui.

Le sue azioni divennero sempre più incerte. Il primo tempo fu un susseguirsi di sbavature, imprecisioni, errori. Quando Chiesa, il suo compagno di squadra lo incitò, cercando di spronarlo, lui si sentì improvvisamente quasi fuori luogo. Ogni passo falso si sommava all'altro, finché il mister non gli lanciò un'occhiata critica che Matteo interpretò come delusione. Sentì che quel fallimento lo allontanava sempre di più dal sogno degli Europei. L'ansia gli divorava lo stomaco, e mentre cercava di recuperare la concentrazione, gli sembrava che ogni sua giocata fosse un passo indietro. "Che mi succede?" pensò in un momento di frustrazione, ma non ebbe il tempo di rifletterci.

La pausa arrivò come una liberazione momentanea, ma Matteo avvertiva un senso di sconforto. Si sedette in panchina, fissando il terreno erboso sotto i piedi. I suoi compagni parlavano a bassa voce, alcuni si scambiavano consigli, ma lui si sentiva fuori posto. Federico fu l'unico ad avvicinarsi per cercare di comprendere la situazione dell'amico. "Sei un po' sottotono oggi" disse, notando l'aria pensierosa di Matteo. Matteo sospirò, cercando di trovare le parole giuste. "Non lo so, forse è solo la pressione. Sento di dover dimostrare molto."

We are young - Matteo PessinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora