Capitolo 3 - Turno di notte

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Ero di turno in mensa quella sera, un compito che, nonostante la sua monotonia, mi dava un po' di respiro rispetto agli orrori quotidiani delle stanze di terapia.

Avevo finito di aiutare a sistemare le vaschette con il cibo standard per i pazienti: un pasto semplice, insapore, adatto più a mantenere la sopravvivenza che a nutrire davvero.
Le luci al neon sopra di me proiettavano un bagliore freddo e impersonale sull'intero ambiente, facendomi sentire come se fossi intrappolata in un limbo senza fine.

I pazienti cominciarono ad entrare alla spicciolata, ognuno con la propria andatura, alcuni ancora confusi dalla giornata, altri completamente alienati dalla loro stessa esistenza.
Dovetti supervisionare i pazienti mentre ricevevano il loro pasto. Anche se non ero io a servire il cibo, il mio compito era garantire che tutto si svolgesse senza intoppi e che chiunque avesse bisogno di assistenza, soprattutto per i farmaci, la ricevesse.

La mensa era talmente ampia che bisognava essere di turno almeno in otto: quattro guardie e quattro infermieri, distribuiti strategicamente per tenere tutto sotto controllo. Dietro al bancone, il personale della cucina distribuiva i vassoi ai pazienti uno alla volta, ed io osservavo con attenzione l'andazzo. Il rumore di vassoi che si scontravano l'uno contro l'altro riempiva quello spazio vasto ed anonimo, accompagnato dal mormorio costante dei pazienti in fila. I miei occhi color nocciola seguivano attentamente i movimenti dei vari pazienti, spostandosi da una parte all'altra per controllare con prudenza ogni dettaglio. La routine era sempre la stessa, ogni gesto e ogni comportamento ormai prevedibile.

Quando all'improvviso, lo vidi entrare: Nicholas. Il suo ingresso fu silenzioso, ma non passò inosservato. Gli occhi di alcuni pazienti lo seguirono, e l'atmosfera nella stanza parve cambiare per un istante. Anche le guardie lo scrutarono con attenzione, pronte a intervenire al minimo segno di tensione.

Il ragazzo avanzò lentamente, con lo sguardo basso, le mani rilassate lungo i fianchi, ed un'energia sottile sembrò avvolgerlo. Camminò con passo lento, quasi studiato, verso il fondo della sala, dove avrebbe preso il suo pasto.

Lo seguii con lo sguardo, mentre prendeva il vassoio dalle mani del personale della cucina senza dire una parola, senza nemmeno sollevare gli occhi. Si sedette in un angolo isolato della mensa, lontano dagli altri, con il capo chino sul cibo davanti a lui. Nessuno si avvicinò a quel tavolo. Anche i pazienti più agitati sembravano istintivamente evitarlo.

Sentii una sensazione inspiegabile e cercai di distogliere lo sguardo, concentrandomi su altri dettagli della sala, ma la presenza di Nicholas incombeva come un'ombra.

Mentre monitoravo la situazione, una collega si avvicinò a me. Si trattava di Hazel, un'infermiera con molti più anni di servizio sulle spalle rispetto a me, sempre diretta e senza troppi giri di parole. Con una cartellina in mano e uno sguardo che non prometteva nulla di buono, mi fece un cenno di lato.

«Delia, il Signor Fisher ha deciso che domani notte sarai di turno come sorvegliante. E, a quanto pare, ti toccherà uno dei casi particolari.» bisbigliò la donna vicino al mio orecchio.

La mia attenzione si distolse per un istante dal rumore della mensa.
«Sorveglianza notturna?» restai disorientata da quella notizia improvvisa, soprattutto perché non avevo mai affrontato un turno di notte prima d'ora.

La donna scrollò le spalle, come se la decisione fosse definitiva.
«Non è una richiesta. Hanno bisogno di qualcuno di affidabile, e il paziente che dovrai seguire... beh, diciamo che richiede un occhio attento.»

Non chiesi chi fosse, ma un sospetto cominciò a insinuarsi nella mia mente. Lanciai un'occhiata verso Nicholas, il quale continuò a mangiare in silenzio, come se non esistesse nient'altro attorno a lui.

Echoes ; Nicholas Chavez Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora