Capitolo 14 - Connessioni

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Il tragitto verso i confini di Portland si rivelò stranamente semplice da percorrere. Le strade erano semideserte, e quando passai davanti a un paio di pattuglie della polizia, cercai di comportarmi con estrema naturalezza: lo sguardo fisso sulla strada, l'atteggiamento di totale indifferenza nei loro confronti. Ero convinta che si focalizzassero principalmente su auto simili alla mia, e lo scambio con Thomas si rivelò fondamentale per passare inosservata.

Indossai anche un foulard che mi copriva il capo e degli ingombranti occhiali da sole, mentre Nicholas restava disteso sul sedile che avevo abbassato, sia per comodità sua che per aumentare la sicurezza. Con due ricercati in libertà, di cui uno sospettato di essere un serial killer, la polizia avrebbe dovuto controllare ogni veicolo nell'area.

Tuttavia, le forze dell'ordine del territorio erano pressoché degli incapaci, limitandosi al minimo indispensabile e basandosi unicamente sulle informazioni già note, senza approfondire o verificare dettagli esterni. Questo loro approccio superficiale giocò a nostro favore, permettendoci di avanzare senza troppi problemi.

Quando arrivammo a destinazione, accostai in una zona appartata lungo il margine della strada. La piccola auto grigia sembrava ancora più anonima parcheggiata lì, seminascosta tra gli alberi. Sapevo che da quel punto avremmo dovuto proseguire a piedi, inoltrandoci nel fitto bosco. Mi voltai verso Nicholas, che giaceva ancora sul sedile posteriore, pallido e stanco.

«Ehi, riesci ad alzarti?» sussurrai al ragazzo, guardando il suo viso bagnato dal sudore.

Con un cenno di assenso lento e affaticato, cercò di mettersi seduto. Lo aiutai a scendere dalla macchina, sostenendolo con un braccio passato sotto le sue spalle. Da un lato lo reggevo, cercando di bilanciare il suo peso, e dall'altro stringevo il borsone pesante che conteneva tutto ciò che eravamo riusciti a portare con noi.

Il sentiero che conduceva alla casetta di legno di Thomas era stretto e irregolare, ma avanzammo insieme, passo dopo passo. I rami degli alberi sopra di noi creavano un tetto naturale, e il crepitio delle foglie sotto i nostri piedi rompeva il silenzio di quel posto. Nicholas si aggrappava alle mie spalle, il respiro pesante, ma non si lamentava.

Quando finalmente intravidi la sagoma della casetta in legno tra gli alberi, provai un senso di sollievo. Il rifugio era vicino; finalmente avremmo potuto rilassarci.

Quando entrammo, la minuscola casetta in legno mi apparve accogliente, ma di una semplicità disarmante. Le pareti erano fatte di legno chiaro, che dava alla stanza un aspetto caldo e rustico. Era un monolocale, con una piccola cucina in un angolo, ben attrezzata ma essenziale. Su una parete, c'erano degli attrezzi appesi ordinatamente, mantenendo tutto a portata di mano. Al centro, un tavolo di legno, piccolo ma funzionale, mentre a destra, sotto una finestra ampia che lasciava entrare della luce proveniente dall'esterno, si trovava un morbido divano. L'unica porta presente all'interno conduceva a un piccolo bagno, nascosto dietro l'angolo. Quella dimora, seppur piccola e semplice, aveva tutto il necessario per soggiornare un paio di notti.

Feci sedere Nicholas sul soffice divano, sfilandogli piano la felpa con molta cautela, cercando di non arrecargli ulteriori fastidi. Osservai la ferita sul suo fianco: una lacerazione piuttosto profonda, ma non troppo grande. Quando la toccai lievemente con il dito, lui sussultò, chiudendo gli occhi. Lo guardai preoccupata, cercando di non far trasparire troppo la tensione che provavo.

Mi alzai e mi diressi verso un piccolo mobiletto presente in un angolo della stanza. Aprii i cassetti, sperando di trovare qualcosa che potesse aiutarmi a igienizzare la ferita.

Dopo aver rovistato un po' finalmente trovai delle garze, delle bende e del cotone e, più in fondo, un flacone di alcol. Era proprio quello che mi serviva.

Echoes ; Nicholas Chavez Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora