7. bourbon con ghiaccio

126 17 9
                                    

Munito di curriculum, mi presentai alla hall, dove mi indicarono il percorso per arrivare dal gestore del casinò. Un uomo talmente insignificante da poter essere confuso con un copridivano – in netto contrasto con il resto del locale, così abbagliante – stava dritto come un fuso al centro del salone.

Seduto comodamente sull'unico sofà, a gambe incrociate, un altro uomo che indossava un cappello viola scuro con un'elegante striscia lilla sul bordo. Un mastino cordiale finché non lo si irritava.

Quest'ultimo teneva il capo costantemente abbassato, come se non volesse rivelare la propria identità. Eravamo in due dunque. Entrambi a osservarci di sottecchi.
L'unica cosa veramente notevole in lui erano le enormi spalle e il completo di fine sartoria.
Nell'aria si respirava un forte odore di sigaro cubano.
A vedere la strana coppia atteggiarsi in quella maniera totalmente diversa, ero tentato a riconoscere l'ultimo come vero manager del casinò.

Quel suo contegno misterioso mi infastidiva non poco e mi ritrovavo a essere sempre più convinto di averlo già incontrato. Di certo non nell'aria fresca di un parco giochi.
Sicuramente l'incontro era avvenuto in un casinò come quello in cui mi trovavo in quel momento. Un casinò altrettanto vistoso come il Caesar

O forse proprio qui... Dio, risparmiami un'altra vecchia conoscenza! 

Inspirai a fondo.

L'enorme struttura in cui mi trovavo divorava il lungo viale ordinato che si dirigeva diretto all'entrata, siepi e lampioni a delimitarne la corsa sfrenata. L'ultimo tratto di strada terminava con una rotonda, coronata da un'alta fontana. Un'enorme balena spiaggiata in una periferia della città, ecco la sensazione che mi diede il Caesar la prima volta che lo vidi.

Trovandomi all'interno della struttura con un ulteriore scopo oltre all'essere assunto come dipendente, mi sentii una sottospecie di agente segreto che doveva puntare tutto sulle sue doti di improvvisazione. Non mi dispiaceva poi così tanto.

Il manager mi osservava con cipiglio serio e analitico mentre si sistemava la stretta cravatta color crema. Il suo "amico" silenzioso – ma tutt'altro che invisibile – era completamente a suo agio e si versava da bere del bourbon in un bicchiere contenente quattro cubetti di ghiaccio. Quell'atto mi fece rabbrividire, ma non indagai sul motivo.

"Dunque lei è qui per?" cominciò l'omino, senza badare troppo al suo ospite. E nemmeno a me, dal momento che non fui invitato ad accomodarmi.
"Mike Jordan, molto piacere." Gli strinsi la mano, ma il gesto non fu gradito dal mio probabile futuro datore di lavoro. Non mi scoraggiai: "Avevo sentito che eravate in cerca di personale, di un barman, ed eccomi qui," sorrisi e mi feci più vicino. "Qui c'è il mio curriculum, ma probabilmente l'avrà già visto nell'e-mail che le ho spedito ieri sera..." dissi il più cordialmente possibile.

"Ah sì, sì. Adesso ricordo. Ma vede, lei non è l'unico aspirante e devo dire che ce ne sono due o tre che hanno catturato la mia attenzione per le loro esperienze," spiegò il direttore, sistemandosi nuovamente il colletto, come se l'aria continuasse a mancargli, quando a me mancava il pavimento...

Non avevo inserito tutte le mie esperienze per ovvi motivi: le più importanti erano legate a dei fatti che avrebbero inevitabilmente rivelato il mio passato. E io non volevo che si andasse a pescare troppo lontano.

"Come posso provarle di non essere da meno?" La mia domanda era non poco arrogante, così cercai di non tagliarmi le gambe da solo: "Vede, è da tanto che sogno di lavorare qui e non vorrei che lei mi giudicasse male per la mia apparenza. Non può mettermi alla prova?"

L'uomo di cera non sembrava molto propenso ad accettarmi. Il misterioso omaccione, che nel frattempo aveva sorseggiato tranquillamente il suo liquore, seduto comodo sul sofà, appoggiò il bicchiere vuoto sul tavolino davanti a lui. Fece per portarsi il sigaro alla bocca, ma ci ripensò.
Mentre circuiva con l'indice il bordo del bicchiere vuoto, disse alquanto annoiato e scocciato: "Avanti, Rob, che ti costa tentare? Se non va bene lo spedisci a casa, no?"

Provai la malsana voglia di corrergli incontro e abbracciarlo per quel sostegno inaspettato. Però mi trattenni: "Mai fidarsi di coloro che non ti guardano in faccia quando parlano" mi ripeteva quella buonanima di mia madre.

Il proprietario si rischiarò la gola con tre colpetti di tosse nervosa. Aveva iniziato a camminarmi intorno, fingendo di essere sovrappensiero e di verificare la lucentezza delle mattonelle del pavimento. Ma intanto sapevo che mi stava soppesando.

Nonostante la sua evidente invadenza, feci finta di non darci troppo peso, guardandolo con aria speranzosa, proprio come un cane affamato che non aspetta altro che il padrone gli riempia la ciotola, tutto scodinzolante. Mi sentivo un completo cretino. Con tutto quello che avevo passato, essere rifiutato per una stupidaggine... non me lo sarei mai perdonato.

Alla fine il manager si riposizionò di fronte a me con quel suo completo stretto e impeccabile, da copridivano: "Stasera alle 19.00 inizierai il turno, fino alle 3.30. Puntuale sia all'arrivo che alla chiusura... Intesi?"
"Non si potrebbe essere più chiari," risposi con il mio sorriso professionale. Se non avessi accettato a causa di un altro impegno, non ci sarebbero state altre possibilità. Fortuna che è il giorno di chiusura del bar, più avanti mi toccherà inventarmi qualcosa per tenerlo chiuso. Che mi basti un mese? Devo sentire Simon, e al solo pensiero mi viene su la colazione che ho saltato.

Ci stringemmo la mano, io e Rob, la mia fredda, la sua sudaticcia.

"Ah, si rasi bene quella barba per questa sera. Quanto all'orecchino... Si tolga anche quello. I capelli possono andare, mentre la divisa le verrà fornita al suo arrivo. Entri dal retro alle 18.30 e alle 18.55 affianchi il collega che le lascerà il posto, così il piano bar non resterà vuoto," mi ordinò mentre stavamo per congedarci.

Levai i tacchi e ritornai al parcheggio, già stanco alle 11.30 del mattino.
Troppa tensione in due giorni e non mi sentivo affatto al sicuro. Quell'uomo del bourbon, dove l'avevo già incontrato?

Appena aprii la portiera e mi sedetti sul sedile, mi abbandonai completamente allo schienale, chiudendo porta e occhi, per rilassarmi. 

Un cerchietto freddo e metallico mi venne premuto sulla tempia. Un alito tiepido mi sollevava i capelli alla base della nuca, facendomi rabbrividire.
"E la cintura?"

La presenza squadrata di Simon divenne d'un tratto insopportabile. La mia pazienza si dissolse, per sempre per quella giornata.

"Maledetto agente di polizia! Tu e i tuoi scherzi cretini! Ti avevo smontato poco fa e ti ritrovo alle mie spalle ancora e ancora! La vuoi piantare? Devo ancora mettere in moto!"
"La prudenza non è mai troppa," mi rimbeccò con aria saccente.
"Neanche l'aria per questo. E tu non ne lasci proprio, bello mio," sospirai esasperato. 

Professionisti dell'azzardoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora