21. Il canto del cigno (parte 2)

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Guardai i miei amici dalle facce tirate e presi una delle bottiglie vuote. Iniziai a giocherellarci, facendola girare sul tavolo. Erano passati tre giorni dall'omicidio. Non avevo dubbi su chi avesse premuto il grilletto. Il quartiere conosceva fin troppo bene chi gestiva ogni sorta di malaffare. L'infermiere evidentemente aveva infranto qualche regola, andando oltre quanto era di sua competenza. O aveva iniziato a parlare con qualcuno. 

Alan...

Lo osservai con più attenzione. Era teso, scosso, dimagrito. Aveva esaurito le scorte, a quanto pareva, o mancava poco. Allora sarebbe stato un guaio. A parte lui, noi non avevamo ancora avito la fortuna di essere presi per dei bersagli, Donny non voleva manco saperne.

Sbirciai al mio fianco. Il caschetto copriva lo sguardo e le sue mani erano occupate a passare un fazzoletto sulle lenti degli occhiali. Tuttavia non mi sfuggi il mento corrucciato. La situazione non gli piaceva. E non era un tipo che lasciava trasparire le sue emozioni, a meno che la cosa non lo riguardasse da molto vicino. Possibile che...

"Donny..."
Un sospiro da parte sua mi fece capire di aver intuito qualcosa.
"Vado due secondi al bagno. Parliamo dopo."
Annuii, avrebbe fatto così anche se gli avessi risposto altrimenti. Ci sono cose che, prima di essere fatte o dette, richiedono una ferma decisione.

Anche Malcom si alzò, per liberare la tavola e fare spazio ad altra birra. Ce ne sarebbe stato bisogno. L'unico a non fare nulla, completamente svuotato, era Alan. Quella confessione gli aveva fatto perdere tre anni di vita. Finalmente era uscito di casa, ma si era definitivamente reso conto di quanto fosse preso male. Ogni tanto muoveva il collo, in maniera impercettibile, in direzione della porta. La paranoia di essere inseguito doveva averlo logorato parecchio in quei giorni.

Donny tornò con un mento più rilassato, però il suo sguardo s'era incupito. Si diresse davanti all'amico giù di corda, sbattendogli davanti alla faccia un pacchetto di sigarette.

"Tieni, e non ringraziarmi. Devi startene muto come un pesce d'ora in avanti. Giuralo su quanto hai di più caro. Giura che te ne starai muto," gli intimò.

Alan, sorpreso, aprì il pacchetto per controllarne il contenuto. Le sigarette erano state sostituite con delle cartine arrotolate. Ne aprì una con dita malferme e, confermato che ebbe, rivolse a Donny lo sguardo di un cane che aveva ritrovato il suo padrone.

Figurarsi il caschetto, schivo com'era. Reagì male: "Fai schifo."

"Fratello!"
"Non mi serve un altro piantagrane. Fatti bastare le dosi per tremila anni, se ci arrivi. Da me non avrai altro."
"Donny, ma, come... Tu come...?" non riuscivo a formulare la mia sorpresa e inquietudine.
Malcom mi diede una mano: "Sì, Donny, spiegaci come hai questa roba. Tu hai sempre detto di esserne stato fuori, di non avere niente a che fare con certa gente."

Il naso schiacciato parve contrarsi ancora di più a tutta quell'attenzione indesiderata. Donny grugnì e noi avvertimmo la rabbia repressa. Se avesse potuto, ci avrebbe sbattuto fuori dalla porta in quel momento, pur di non dover fare la fatica di darci spiegazioni.

"Alcune delle persone che ospito non sono, be', insomma... Sapete anche voi che può capitare di tutto. Tre anni fa una ragazza ha quasi distrutto la casa, ribaltandola da cima a fondo perché era rimasta senza. Era straniera, non parlava la nostra lingua e non aveva agganci. Io non sapevo come aiutarla e non volevo contattare né l'ospedale né il resto della mia famiglia."

"La tua famiglia?" lo interruppe Malcom.

Lo sguardo che ci riservò ci fece capire che dovevamo ascoltare e non fare domande. Della sua famiglia non avremmo mai saputo niente dalle sue labbra. Sotto sotto lo avevamo sempre saputo, tuttavia la stretta allo stomaco la sentimmo ugualmente.
"Da quel momento ho sempre con me un pacchetto. Non ne avrai un altro neanche se mi scrivi, mi chiami, mi dai appuntamento o mi frughi negli armadietti, sia ben chiaro," fulminò Alan, che già lo guardava speranzoso.

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