12. Un gioco pericoloso (parte 3)

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"Mike, adesso non abbiamo altra scelta che raggirarli. Di tornare indietro non se ne parla."

Non potevo che concordare. 

"D'ora in avanti dovrai agire pensando con la tua testa, tenendo a mente che siamo una coppia." 
Per la prima volta notai nei suoi occhi una tremula trepidazione. Mi passò un braccio attorno alla vita e percepii che aveva posto il vassoio verticalmente tra il suo braccio e la mia schiena. In tal modo poteva nascondere agli occhi dei due l'oggetto rivelatore e noi avremmo proseguito lungo il bordo della piscina illesi, venendo probabilmente scambiati per degli innamorati immersi nel loro mondo di arcobaleni e cavallucci marini, incuranti della realtà. E perché no? L'atmosfera favoriva quello scenario sdolcinato: la notte con la luna piena, le luci della piscina, il casinò... Ma chi prendere in giro? Due giovani allucinati in piscina, persi l'uno negli occhi dell'altra mentre ovunque si udivano grida e improperi apocalittici. Sarebbe stato il miracolo del millennio, visto come tutti i presenti tentavano di lasciarsi alle spalle il Caesar...

Ebbene sì, il "piano cattura-Mike" era in azione: avevano iniziato a sparare alla folla per farli rimanere tutti all'interno del locale e scovarmi più in fretta, i cialtroni; sentivo i loro ordini forte e chiaro, nonostante corressero per il parcheggio e noi ce ne stessimo sulla parte opposta della struttura, trenta metri più in alto.  

Ma i men in black del parcheggio erano, per l'appunto, trenta metri di brividi più in basso. Chi se li filava? Davanti a noi, a una cinquantina di passi, incombevano ancora i due personaggi poco raccomandabili.
Dunque, bisognava apparire come una coppia... Per dare l'idea che ci fosse dell'affiatamento non potevo certo lasciare a lei tutto il da farsi. Cinsi a mia volta la sua vita con un braccio e immediatamente avvertii qualcosa la cui esistenza mi era difficile da credere. 

Sotto alla seta il tepore del fianco trasmetteva alla punta delle mie dita il battito accelerato del suo cuore. Fu un grande sollievo per me: avevo la prova che anche lei era un essere umano. Trattenni a stento le lacrime di gioia e cacciai indietro un'esclamazione che sarebbe senz'altro risuonata nell'aria, rivelando la nostra posizione. Ma siccome la scoperta era talmente positiva nel complesso della serata negativa, mi lasciai comunque andare in un sorriso. Ero felice? Si può dire che lo ero... 

Stranamente non mi sentii più in pericolo, avevo la sensazione che quell'avventura sarebbe finita per il meglio se lei era al mio fianco. Aumentai la presa sul suo fianco, forse per trasmetterle quel po' di sicurezza che avevo appena provato, per dirle che poteva contare su di me. Alzò lo sguardo, interrogandomi con gli occhi e divenendo d'un tratto più seria.

Senza preamboli, Sonia mi sussurrò: "Ti chiedo questo e dopo non parlo più, rispetterò la tua decisione."
Avevamo toccato l'ultimo gradino.
"Io o Simon? Di chi ti fidi?"

La guardai alquanto sorpreso. Quella domanda fu una cascata d'acqua gelida piovuta dal cielo sulle mie spalle. Non sapevo che rispondere, o meglio, ero diviso. Mi riportarono alla serata precedente e alle riflessioni che avevo fatto sui due casi umani atipici.
Volevo fare una domanda a mia volta: perché le opzioni erano lei e Simon? E se erano loro due, io in che rapporto ero con entrambi? Che legame c'era, se effettivamente esisteva, tra i due? E perché ero messo nella posizione di scegliere?

No, era una valanga di domande.
Ancora una volta presi a pugni il mio cervello e lo riportai al suo quesito. Sapevo la risposta, eppure prendevo tempo.

Sonia mi aveva chiesto qualcosa di estremamente pericoloso senza puntarmi addosso alcuna lama. Me l'aveva messa direttamente in mano, lasciando a me la scelta di ferirmi o meno. Rimasi in silenzio, concentrandomi sui passi di lei e imitandone la cadenza. Avevamo raggiunto i nemici ed eravamo ancora ignorati. Se l'alibi della coppia fosse crollato in quel momento non ci sarebbe stato scampo. 

L'uomo a me più vicino era una corazza di muscoli scolpiti che avrebbe fatto scoppiare la giacca al minimo movimento. Un colosso di forza bruta.
Arrivando da dietro, solamente le spalle dell'energumeno occupavano tutta la mia visuale: in pratica vedevo un trapezio tridimensionale con un ovetto schiacciato al posto della testa. 

L'essere dai muscoli d'acciaio sprigionava la sua aura minacciosa unicamente stando eretto con le mani chiuse a pugno lungo i fianchi e lo sguardo puntato davanti a sé, sull'azzurra distesa d'acqua e cloro. 

"Amore..." Sonia mi ricordò che non avevo ancora risposto alla sua domanda facendosi più vicina.
"Un secondo, tesoro," sussurrai senza nemmeno guardarla, tanto ero preso dall'osservazione dei nostri inseguitori.

L'altro, un insetto che scattava con l'auricolare all'orecchio, era smilzo e incredibilmente agile, completamente rasato (a eccezione di una treccina bruna laterale) e tatuato con fantasie maori. C'era ben poco di naturale in lui cosicché ogni sua mossa appariva affettata e le sue parole suonavano viscide. Parlavano tra loro con una certa apprensione: qualcosa non andava.

"Ilia, i ragazzi al piano superiore hanno ritrovato la giacca del coniglio. Pare che sia a corto di idee..."

L'altro emise un suono nasale e la coda dell'occhio sfrecciò nella nostra direzione.

In un attimo mi trovai una m9 nella mano posata sul fianco della mia signora. Non servì nemmeno che mi chiedessi da dove saltasse fuori, dal momento che, pur essendo stata un'operazione fulminea, l'orlo del vestito della proprietaria aveva appena toccato terra.
Sonia posò la mano libera sopra la mia, in modo da coprire la pistola il più possibile: "Fino a che non si comincia, continua la messinscena".

Mi abbassai quel tanto che bastava per mordicchiarle l'orecchio: "Diamoci da fare, perché siamo proprio dei pessimi attori."

Appena pronunciato il giudizio, Ilia posò la sua manona sulla spalla del compagno: "Yong, i due qua dietro..."

Quel che ricordo è ben poco. Tutta l'azione si concentrò in pochissimi istanti e feci veramente fatica a seguirli razionalmente.

La cavalletta si fiondò addosso a noi, ma, mentre io finivo gettato a terra, Sonia aveva fatto in tempo a scansarsi e ad avvicinarsi all'omone tatuato, con pistola e vassoio tra le mani. Gli sparò a bruciapelo e l'ammasso di muscoli crollò a terra in un battito di ciglia. Un brivido mi percorse la spina dorsale.

Yong, com'era da immaginarsi, non la prese per niente bene e, comprendendo chi ero, decise di concentrarsi su di me. Mi trascinò verso l'uscita, tentando di comunicare al resto della sua banda la posizione e la richiesta di inviare immediatamente altri uomini.
Tentai di liberarmi dalla stretta e di togliergli  il micro auricolare, tuttavia non potevo fermare la sua lingua. Pur avendolo messo in ginocchio, non riuscivo a farlo tacere.

I pugni e i calci volarono sia da parte mia sia sua. Ero fiero dei miei sinistri, ma anche quelli dell'insetto non erano certo delle dolci carezze.

Una quinta mano voltò con un movimento rapido e secco la testa del mio avversario, versando un vassoio d'acqua sull'orecchio in cui era celato l'auricolare. Finita la cascata, la lastra di metallo si abbatté a velocità supersonica sulla tempia dello sventurato. Yong non fiatò e non si alzò più da terra, incapace di reagire alla falciata micidiale.

"Mike, andiamo. Prendi la giacca di questo qui e indossala. Tra poco ne arriveranno altri e se non esitano ad attaccarci non so se ce la faccio a difendere tutti e due."

Mi alzai barcollando, gli occhi sgranati come quelli di chi ha visto un fantasma e da quel punto della sua vita giura di credere nel sovrannaturale. Quel vassoio sarebbe finito dritto nel World War Museum. Mi bagnai le labbra, nonostante non avessi una goccia di saliva: "Sonia... La pistola, quanti tiri ha ancora?"
"13."
"Gran bel numero, davvero," grugnii. Non avrei mai preso il biglietto per il museo.

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