INTRODUZIONE / STELLA CADENTE

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Salve a tutti!

Prima di iniziare questa storia vorrei precisare alcune cose: prima di tutto, questa è la prima volta che mi cimento su questo sito. Una mia cara amica me ne ha parlato solo pochi giorni fa, ci ho dato un'occhiata e mi è piaciuto molto sia come impostazione che come grafica; ho visto diverse sezioni potenzialmente interessanti, quindi immagino che il mio utilizzo sarà sia come scrittore che come lettore!

Secondariamente, vorrei dire due parole sulla storia stessa, iniziando dal fatto che è assolutamente originale: la proprietà intellettuale della trama e dei personaggi appartiene a me e all'amico con il quale la scrissi qualche anno fa, lavorando a quattro mani, per un concorso letterario di fantascienza. Purtroppo non vincemmo, e dopo alcuni falliti tentativi di pubblicazione, ho deciso di inserirla qui, anche per la curiosità di vedere, finalmente, cosa ne pensa la gente.

Infine, vorrei dire che, se questa storia dovesse essere apprezzata, sarà solo la prima di una serie di storie di fantascienza.

Detto questo, ringrazio in anticipo chi deciderà di commentare, e senza annoiarvi ulteriormente do inizio al primo capitolo de "Il giglio infranto"!




STELLA CADENTE


Le colline di Fiesole erano coperte di neve, come se un candido manto di cotone fosse caduto sui boschi, sui campi e sui vitigni sopra Firenze. Solo pochi chilometri separavano quei luoghi di pace dalle luci e dalla confusione del carnevale fiorentino, ma sembravano appartenere ad un altro mondo. Dopo due giorni di intense nevicate, che avevano coperto la città medicea, per la gioia dei bambini, quella notte, per la prima volta da giorni, il cielo era punteggiato di stelle. Il freddo era intenso, e se in città nessuno sembrava accorgersene a causa della festa, nella campagna non c'era anima viva fuori di casa.

Perciò nessuno notò una scia dorata attraversare il cielo; e, anche se qualcuno l'avesse notata, l'avrebbe scambiata per una stella cadente fuori stagione. Neanche i radar dell'aeroporto di Peretola la inquadrarono: un segno passò sui loro schermi, ma scomparve talmente in fretta da essere ignorato.

E così, nessuno vide una fiammata attraversare l'aria sopra Firenze; si confuse con le luci della città. E nessuno vide lo schianto, o il fuoco, o gli alberi caduti. Nel silenzio ovattato della neve, nessuno sentì. Un cratere fumante nel terreno rimase come unico segno che qualcosa era accaduto.

Una voragine di quasi dieci metri di diametro feriva il suolo della collina; una nube grigiastra si levava sopra le cime degli alberi, mischiandosi al fumo nero del fuoco delle piante. Al centro dello squarcio si poteva vedere uno strano oggetto di colore rosso intenso. Aveva una forma pressoché sferica, grande più o meno come un pallone da spiaggia, butterato da strane protusioni. Il rosso appariva venato da strisce arancioni, e volute di vapore si alzavano dalla sfera. Sembrava incandescente; la caduta attraverso l'atmosfera aveva alzato la sua temperatura a livelli inauditi.

I minuti passarono, e il colore cambiò in fretta, schiarendosi; sembrava che il calore emanato dell'oggetto stesse calando a velocità scientificamente impossibile, rivelando un colore azzurro intenso, con venature blu. Il vapore cessò di salire, l'oggetto si raffreddò. Per parecchi minuti non accadde nulla.

Poi sembrò che la strana sfera si animasse: tremò, e l'aria si riempì di un ronzio; infine, dalla parte superiore, iniziò a salire un filo di fumo verdastro, mentre un'area di alcuni centimetri iniziò a incresparsi, poi parve cominciare a sciogliersi; delle gocce, come di cera, scivolarono verso il basso. In meno di due minuti si era formata una piccola apertura; entro dieci, era larga quasi quindici centimetri, e continuava ad allargarsi, come se un acido stesse sciogliendo la superficie.

Quando la strana reazione chimica cessò, l'apertura era ampia una ventina di centimetri. Passarono altri minuti, poi qualcosa comparve sul bordo, qualcosa di sottile e scuro; un'altra forma uguale spuntò accanto alla prima; subito dopo, una figura, delle misure di un volpino, si issò sul margine e saltò a terra. Nell'oscurità, la sua forma era indefinibile, ma, tranne che nella grandezza, non somigliava affatto ad un cane. La creatura girò quella che sembrava essere la sua testa verso l'oggetto sferico ed emise un verso stridente, simile a quello di una cicala, ma stranamente più inquietante. Entro un minuto una seconda, misteriosa figura atterrò accanto alla prima.

Scambiandosi i loro strani stridii, i due esseri si arrampicarono sul bordo del cratere, e, quasi fossero stati spinti da un misterioso istinto, iniziarono a scendere verso valle; verso le luci di Firenze.




La città medicea era in festa. Le strade erano piene di gente allegra e sgargiante nei costumi di Carnevale. Piazza della Signoria era gremita, i bambini correvano da ogni parte, schivando, spesso di pochi centimetri, gli adulti, che sembravano divertirsi quasi quanto loro.

Tutti erano troppo coinvolti per notare due strani esseri che si muovevano furtivi negli angoli più bui delle strade. Non si spostavano a caso: erano decisi, parevano avere una destinazione misteriosa. Nessuno li vide.

O meglio: una persona scorse qualcosa; un solo uomo, vestito da crociato, una birra nella mano destra, la sinistra poggiata sull'elsa della spada. I suoi occhi registrarono un movimento: un'ombra nell'angolo tra due vie. Scomparve prima che il suo cervello avesse il tempo di elaborare l'immagine, e quando si rese conto che c'era stato qualcosa, quel qualcosa era già scomparso.

Si convinse di aver visto solo due cani randagi, nient'altro; bevve altre quattro birre quella sera, ma anche nella poca lucidità della sbornia incipiente il suo cervello tornò diverse volte a chiedersi come aveva potuto immaginare che quegli animali avessero troppe zampe per essere cani.




Scesero giù, sempre più giù, lontani dalle luci, nella calda oscurità. Una parte della loro natura li attirava dove c'erano tutte quelle creature viventi; l'odore di quegli esseri era un richiamo quasi irresistibile, ma il loro istinto li spingeva a scendere sempre di più. Erano troppo piccoli, ed erano soli. Ci sarebbe stato tempo, più avanti, ma per il momento, dovevano solo andare più giù.

Trovarono il luogo che cercavano: ampio, caldo, sicuro. Era il posto migliore dove stabilirsi, dove attendere il momento giusto.




Nei mesi successivi gli abitanti di Firenze si accorsero di qualche piccolo cambiamento. Molte persone che per tutta la vita avevano combattuto contro infestazioni di topi, soprattutto gente che possedeva case vicino all'Arno, notò che il numero dei roditori si era ridotto, e che continuava a diminuire. Entro la fine di marzo erano quasi scomparsi. Molti lo trovarono strano, ma nessuno si preoccupò troppo: i subdoli invasori pelosi non erano certo molto amati.

Poi toccò a cani e gatti: con l'avvicinarsi dell'estate il numero di randagi calò sempre più velocemente, per poi lasciar spazio alla scomparsa degli animali domestici. Firenze venne tappezzata di avvisi di ricompense e si elaborarono teorie di tutti i tipi, incluse la presenza di un laboratorio clandestino che usava gli animali come cavie o di una setta satanica che li usava per dei sacrifici. Ma nessuno, in fondo, si preoccupò troppo.

E, mentre in superficie la popolazione continuava la sua vita, sciamando avanti e indietro per le strade, sotto i loro piedi qualcosa cresceva. Mentre gli uomini di sopra non vedevano e non sentivano nulla, nel sottosuolo qualcosa cresceva. Cresceva, e si moltiplicava.

Il giglio infrantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora