VASCO, LA GUIDA

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Un nauseante odore di fritto misto uscì da una trattoria del Borgo dei Greci per poi insinuarsi nelle vie traverse e raggiungere il Lungarno, dove fece il suo ingresso nelle narici del giovane Julian Grant. Questi camminava assieme ad altri elettrizzati turisti anglosassoni, seguendo una guida che parlava l'inglese malissimo e dirigendosi verso il Ponte Vecchio. L'immagine di Serena che usciva coi capelli bagnati dal bilocale di via dell'Anguillara rendeva ancor più insopportabile il caldo, lo smog, gli scooter che passavano a pochi millimetri dalle sue braccia, l'improponibile accento della guida e quant'altro potesse ancora riguardare quello spaccato di vita quotidiana.

La pausa pranzo venne in soccorso alla comitiva nell'assolato spiazzo posto di fronte a Palazzo Pitti. "Non sento Serena da due giorni, non chiamo a casa da Dio solo sa quanto, sto lentamente bruciando all'Inferno messo in terra, e ora mi tocca anche seguire la peggior guida al mondo su consiglio della Saracini. Ma porca..." e sollevò istintivamente un braccio, senza pensare più a niente.

Aveva la barba incolta e aveva saltato almeno tre pasti negli ultimi due giorni; non era per niente in forma, e bastavano le due pesanti tende che aveva sotto gli occhi a dimostrarlo. Inoltre, quella mattina, aveva fatto colazione con fette biscottate burro e marmellata accompagnandole a quasi mezza bottiglia di Gin Gordon's (un ricordo, questo, di una notte bianca e alcoolica trascorsa con Serena), e dunque perfino il suo alito non era in condizioni smaglianti.

Il piatto trascorrere dei minuti di Julian Grant fu interrotto dall'arrivo di una seconda comitiva, composta perlopiù da obesi e vecchi australiani; la guida era un italiano sui trentacinque, dalla pelle giallastra e il fisico dinoccolato. Sul buffo naso aquilino era poggiato un paio di occhiali scuri sportivi, mentre al polso portava un orologio dal quadrante enorme e col cinturino in pelle. I lunghi e unti capelli castani erano nascosti da una coppola estiva di colore chiaro, che tuttavia non sembrava bastare a proteggerlo dal sole. Controllò il cellulare con aria sbrigativa e allungò la mano al collega. Quest'ultimo sembrò quasi in imbarazzo, eppure era vestito con la piccola divisa di tutte le guide e non casual come l'uomo che aveva di fronte. Poi, da uno zainetto, uscì un portafoglio, e da questo portafoglio fu estratta una moneta da due euro, e questa fu messa in mano alla guida di Julian, che, asciugandosi il sudore sul collo, si diresse verso un bar della piazza.

Fu a quel punto che il giovane americano poté avvicinarsi, senza farsi notare, a quel bizzarro individuo, sulla cui camicia era stata cucita una toppa con scritto il nome "Vasco". Questi tirò fuori dallo zaino che portava a tracolla un quotidiano, e il ragazzo vide dalla copertina che proseguiva l'inchiesta sulle sparizioni. La guida leggeva con vivo interesse, storcendo a momenti la bocca e tirando lunghi sospiri; poi, senza staccare gli occhi dal giornale, estrasse dal taschino della camicia un pacchetto di sigarette e se ne accese una con rapidità. Ma improvvisamente, come se fosse stato spinto da una rabbia insanabile, Vasco accartocciò il quotidiano e lo gettò a terra: "Un gesto decisamente poco civico per una guida di Firenze..." pensò Julian sorridendo sarcastico e avvicinandosi a quel personaggio insolito.

- Brutte notizie, eh?- domandò al fiorentino.

- Ma fottiti, americano! Io non sono come voi, che siete abituati a queste stronzate!- rispose in un inglese più che perfetto e, soprattutto, molto convincente.

Il giovanotto dell'Iowa rimase scosso, ma non tanto sorpreso, dal momento che, nell'arco delle ultime quarantott'ore, era la seconda volta che veniva trattato in quel modo per la stessa causa. -Mi scusi...ma ho visto ciò che ha fatto e io non sopporto la gente che sporca la pubblica piazza...

Vasco lo fissò stupito per un istante, poi si mise a ridere e dette una pacca sulla spalla a quel turista che tanto sembrava cantare fuori dal coro rispetto alla sua carovana di pensionati. Intanto stava tornando la guida di Julian, con due caffè in mano, senza sapere che nel giro di pochi secondi sarebbe dovuta tornare al bar per procurarsene un terzo.



Un quarto d'ora dopo Vasco Ceccherini offrì una sigaretta al giovane americano, che tuttavia rifiutò, spiegando che, almeno dalle sue parti, era un'usanza da anziani. La guida fiorentina non se la prese per quella affermazione, sorrise e avviò un altro tipo di discorso:- Non so, ragazzo, se negli ultimi tempi hai letto qualche quotidiano locale...- e Julian scosse la testa – In ogni caso, sappi che ventitré persone scomparse in una città di neanche mezzo milione di individui non è cosa comune in Italia. E devi anche sapere che non tutti pensano ingenuamente ad un nuovo "Mostro di Firenze". Io, ad esempio, credo che nessun serial killer, per quanto scaltro, possa far sparire tutta questa gente e farla franca.

Il ragazzo apparve immediatamente incuriosito dalle parole di Ceccherini e lo invitò a proseguire ponendogli una domanda:- Sì, ma allora...chi può avere interesse a creare un panico di questo tipo qui a Firenze?

Vasco deglutì e, spenta la sigaretta sotto lo scarpone, continuò:- Questo non sono in grado di dirtelo, ma sento nell'aria qualcosa di brutto, di minaccioso, e per me che sono nato e cresciuto in questa città è qualcosa di nuovo e di terribile. D'altro canto, non mi sorprenderebbe se davvero stesse succedendo qualcosa di oscuro: in fondo, solo io e pochissimi amici sappiamo certe cose...

-E cioè?- domandò Julian.

- Cioè che Firenze non è solo quella che tutti conoscono, quella che io faccio vedere ai turisti che accompagno ogni giorno, quella che a te insegnano ad apprezzare a scuola. No, c'è molto di più...c'è una cosa che la accomuna a molte altre città italiane: una parte nascosta, sotterranea, come quella che puoi trovare a Roma, Napoli o Palermo. Solo che questa è rimasta a lungo sconosciuta ai più, e tuttora lo è, sebbene con fatica si continui a scavare. Io, quando questi lavori ebbero inizio, ero ancora uno studente, ma l'archeologia mi appassionava e decisi di prendere parte agli scavi. Facemmo molte scoperte, ma poi io iniziai a creare problemi: sai, a neanche vent'anni la voglia di mettere le mani dove non dovresti e di portare alla tua ragazza qualche ricordino di età romana...- e ammiccò al suo nuovo, giovane amico - Nel 2008 è stato rinvenuto un luogo, vicino a piazza San Firenze, dove anticamente sorgeva un tempio dedicato alla dea Iside, e per adesso nessuno è andato oltre. Ma io, già prima che venissi cacciato e dovessi farmi qualche giorno di carcere per furto, sapevo già molte più cose, perché per pochi soldi arruolavo alcuni immigrati e li coinvolgevo in ricerche alternative, sulla base delle quali disegnavo via via una mappa. Tuttora torniamo dove gli scavi sono stati interrotti e calcoliamo dove e se potrebbe proseguire questo percorso. Prima avevo con me solo muratori e operai scalmanati, ora invece so di poter contare su gente in gamba, guide come la tua che mi rispettano come conoscitore dei misteri della città e che sono disposte a seguirmi laggiù. Saprei girare quei posti ad occhi chiusi, anche se ci andassi ora, in questo preciso momento.

Julian, nonostante l'esauriente racconto fatto dalla guida, continuava a non capire quale collegamento potesse esistere fra quelle scomparse e la Firenze dei misteri:-Tu dunque mi staresti dicendo che queste persone potrebbero essere state portate là sotto?

- No, io ti sto dicendo che tutto ciò che c'è in superficie è solo una minima parte di quanto esiste realmente in natura. Noi uomini siamo strani, Julian, e voi americani dovreste saperlo bene: ci preoccupiamo di mandare navicelle nello spazio, ma non ci interessiamo di ciò che è sotto i nostri piedi.


◙◙◙


Le cose andavano nel modo giusto. Esattamente come voleva lei. I suoi figli erano sempre più numerosi, a stento riuscivano ormai a vivere nel regno che si erano presi. Bramavano qualcosa di più. Bramavano la luce.

Volevano vivere sotto quella stella aliena. Lei l'aveva vista, con gli occhi di quelli che erano saliti per primi. Non l'aveva riconosciuta; nella memoria della sua razza era tutto diverso. Non c'erano creature a due gambe, né gli strani monti che si alzavano dal suolo di quel bizzarro mondo. Lì tutto era diverso, ma non era importante.

Il suo istinto non riusciva a chiarirle come erano finiti lì, lei e il suo compagno, che in quel momento era impegnato, come sempre, a fecondare le uova. Ricordava che anche loro erano usciti da una sorta di uovo, molto diverso da quelli che lei deponeva; non erano però nati al momento dell'arrivo in quel mondo, bensì prima; aveva qualche ricordo, estremamente nebuloso, del lungo viaggio che li aveva portati lì. Non riusciva però a spingere i suoi ricordi fino al momento nel quale erano nati, al motivo per il quale erano stati posti in quel guscio; in qualche istante, si chiedeva come fosse stato possibile: lei non avrebbe mai potuto fare una cosa simile per due dei suoi figli, tantomeno avrebbe potuto spedirli nello spazio. Chi lo aveva fatto allora?

In effetti, però, non era importante saperlo. Erano lì, e lì sarebbero rimasti.

I primi esploratori erano tornati; aveva visto lei stessa i pallidi esseri a due gambe. Così piccoli, così morbidi, così deboli; avevano valore solo come cibo. Quanto fossero indifesi era dimostrato dal fatto che uno solo dei suoi figli non era tornato. Non sapeva dove fosse finito, ma non importava. Non avrebbe potuto trattenerli neanche volendo. E non voleva.

Bastò un singolo verso, molto basso. La sua prole iniziò a muoversi, prima come un torrente, poi come un fiume in piena. Presto divennero un'onda irrefrenabile, ed erano solo una minima parte della vasta legione che popolava il suo buio regno. Era soltanto il principio, ma ogni viaggio inizia con un passo. E quello sarebbe stato un passo molto pesante.

Il giglio infrantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora