UN AMERICANO A FIRENZE

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Le nuvole di un luglio afoso e caldo non sorgevano più dai monti e dalle foreste, quasi fossero solo sogni da contemplare attraverso i finestrini del grande aereo su cui aveva viaggiato il diciottenne Julian Grant. Era in viaggio da circa due giorni: partito dalla sua Des Moines, aveva raggiunto Atlanta, per poi cambiare aereo e arrivare a Roma, dalla quale si era diretto alla volta della stazione di Santa Maria Novella, Firenze, tramite un treno di dimensioni talmente piccole che il giovane temeva di aver sbagliato e di esser finito sui servizi ferroviari delle poste. Non ebbe nessun problema, nonostante gli aborigeni non tendessero a parlare molto la sua lingua e talvolta potesse apparire difficile chiedere spiegazioni anche a chi di dovere.

Un grande cartellone della stazione fiorentina segnava i 39°(ed erano appena le dieci del mattino) quando Julian scese dal vecchio treno e, con una valigia e uno zaino, si diresse verso l'uscita. Pensò che l'Italia, per ora, al di là di qualche paesaggio, non infondesse poi maggiore allegria rispetto al suo paese. 

<<Taxi!>>. Montò e non ci volle molto a capire che il tassista non sapeva una parola di inglese; Julian si era tenuto pronto un discorso in lingua italiana, ma ora non esisteva verso di farglielo tornare in mente, e dunque si limitò ad estrarre dalla sua agenda un biglietto col nome della via dove si trovava il suo appartamento: -Via...de... dell'Anguillara, per piacere-. Il tassista rise e partì.

Via dell'Anguillara era vicina all'Arno, a Piazza della Signoria e a Santa Croce, e Julian Grant non aveva mai visto nulla di simile in quasi vent'anni spesi sul pianeta terra; tutto in quel luogo aveva un ordine estetico diverso da quello cui era abituato. E' vero che le cose erano più piccole rispetto all'Iowa, ma egli si era già innamorato di tutto quel microcosmo appassionato che passava attraverso quella via, dei colori, della puzza di orina di gatto, dell'odore (mai sentito precedentemente) di una qualche verdura rustica che andava a sposarsi perfettamente con i rifiuti indifferenziati e i gas di scarico degli scooter.

I suoi genitori avevano optato per un bilocale di via dell'Anguillara su consiglio di un amico che lavorava per una rete televisiva di Des Moines e che per anni aveva tenuto un appartamento per le vacanze estive proprio in quella parte della città. Julian non solo si era dimenticato che i suoi scopi includevano lo studio, ma aveva anche rimosso qualsiasi ricordo dei suoi genitori, della sua città, dei suoi amici cafoni ed ignoranti, dei sandwich tanto buoni preparati dalla mamma, dei campi di mais che vanno oltre l'occhio di un uomo, del latte freddo portato in tavola la mattina, della sua casa che sembrava nuova anche se aveva quarant'anni. "Se Bill mi vedesse ora, verrebbe nel mio appartamento a fare casino con qualche ragazza tettona e del whisky!" pensava. Bill era il suo fratello maggiore, ma non si vedevano quasi mai, benché, dopo essere entrato nell'esercito, lui fosse il solo familiare con il quale aveva mantenuto dei veri rapporti.

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Julian era al primo giorno di scuola estiva. Questa era ubicata in un palazzo che sorgeva molto vicino alla Sinagoga di Firenze. "Che strano... Nonna odiava gli ebrei - pensò - e mi ritrovo ad andare a scuola vicino alla sinagoga...".

La professoressa Franca Saracini era nata a Rignano sull'Arno e si era trasferita a Firenze ai tempi dell'università, che aveva concluso a venticinque anni con una laurea sul Paradise Lost di Milton (correvano voci secondo le quali ella lo sapeva a memoria in lingua originale). Ora di anni ne aveva cinquantacinque, e buona parte di questi l'aveva spesa in Gran Bretagna, ad insegnare italiano nella fredda Newcastle. Odiava l'America e gli americani, con la loro lingua e la loro cultura, e qualsiasi cosa arrivasse dagli USA; tuttavia, in quella calda mattina di fine giugno, non sembrò particolarmente infastidita dal pesante accento dell'Iowa di Julian. Lo invitò a sedersi e gli offrì del caffè (espresso, ovviamente); il giovane rimase stupito da due aspetti in quella conversazione: l'inglese della Saracini era praticamente perfetto e la professoressa stava fumando, proprio davanti a lui, una lunga sigaretta (dalle sue parti fumare era considerato un vizio "da vecchi", e quella donna non era poi chissà quanto vecchia). Gli fu spiegato che, per meglio integrarsi con gli altri compagni, avrebbe iniziato la lezione rispondendo ad una serie di domande poste dagli stessi coetanei, riuniti tutti in cerchio dentro l'aula.

Il giglio infrantoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora