Capitolo 5.

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Decisi di ignorare la lettera e trascorsi il pomeriggio come qualunque altro, riposandomi sul letto, ascoltando un po' di musica, studiando le materie per il giorno seguente e sollevando i manubri da 2 kg per una mezz'oretta, giusto per tenermi in forma.
In questo modo si erano ormai fatte le sette e venti di sera. Di solito io e Timothy mangiavamo verso le otto o poco più, per cui decisi di andare a fare una doccia. L'acqua aveva il potere di lavarmi di dosso ogni pensiero, rigenerandomi. Mentre tenevo il viso sotto il getto della doccia, cercando di assorbire ogni molecola d'acqua, sentii bussare alla porta del bagno.
«Abby, mamma e papà hanno detto che dobbiamo raggiungerli in macchina entro cinque minuti!» mi gridò da oltre la porta Tim.

Grandioso, non avevano intenzione di mollare l'osso.
«Non farli salire e digli che mi sto facendo la doccia e che non ho comunque intenzione di scendere!» risposi io, riaprendo il getto d'acqua. Ormai non ci si poteva nemmeno lavare in santa pace.
Uscita dalla doccia mi asciugai con l'accappatoio, misi mutande e reggiseno abbinati sul blu navy e mi rimisi addosso l'accappatoio per raggiungere la mia stanza. Tim aveva 12 anni, ma dall'ultima volta che mi aveva scattato una foto in intimo e l'aveva mostrata ai suoi amici avevo deciso di non fidarmi più troppo. Aperta la porta del bagno, tuttavia, non ritrovai quello scemo di mio fratello con il cellulare in mano che, in una situazione simile, sarebbe stato più che preferibile. 

Mia madre e mio padre mi fissavano sdegnati ed evidentemente irritati dalla mia «... mancanza di rispetto nei nostri confronti», aveva subito incalzato la mamma. Tim non si vedeva. Che fine gli avevano fatto fare? Mi limitai a roteare gli occhi e a dirigermi verso la mia camera, senza prestare loro ulteriori attenzioni.

«Dove credi di andare?» disse mio padre afferrandomi per il polso.
«A mettermi il pigiama, non è ovvio?» risposi acida, liberandomi dalla sua presa.
«Affatto» rispose mio padre, con sguardo asettico, mentre mia madre annuiva con sicurezza, aggrottando la fronte.
«Ma cosa..?» domandai, ma non riuscii a terminare in tempo la frase. Qualcuno mi immobilizzò le braccia sulla schiena, stritolandomi i polsi, strattonandomi per i capelli all'indietro e premendomi sul viso un fazzoletto bagnato di cloroformio.

La vista mi si annebbiò rapidamente.
L'ultima cosa che avevo percepito era di essere sollevata in aria. 

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