Subito dopo quanto era accaduto alla biblioteca mi ero affrettata a tornare alla casa di fortuna dove mi aspettava il Germe.
Lo studente che avevo incontrato, invece, era svanito. Facendomi coraggio, avevo persino provato a tornare indietro e lo avevo cercato tra le varie librerie, ma non lo avevo ugualmente trovato da nessuna parte. Lungo il tragitto in treno mi ero lasciata balenare in testa per qualche secondo la folle idea che si trattasse di un fantasma, viste le strane circostanze di quei due incontri. Fortunatamente ero tornata alla ragione poco dopo e mi ero convinta dell'impossibilità della mia ipotesi ricordando il calore del suo palmo.
Cos'era allora? Non sapevo più fino a che punto avessi a che fare con un umano.
Rientrata a casa, fui per un attimo indecisa se raccontare o meno l'accaduto al Germe: magari lui ne sapeva più di me e mi avrebbe potuto spiegare chi era quel ragazzo, o forse mi avrebbe semplicemente ritenuto pazza. Quando scese dalle scale per salutarmi con uno scocciato «Alla buonora» capii che, anche se gli avessi esposto la faccenda, mi avrebbe trattato indubbiamente da scema.
Si sedette sul divano, invitandomi a raggiungerlo con lo sguardo. Pur di non stargli accanto appoggiai lo zaino al tavolino da caffè davanti a lui e mi sedetti sul tappeto per terra. Il diciannovenne mi rivolse un'occhiata leggermente sdegnata, poi si decise a dare inizio alla discussione.
«Come hai fatto?» domandò a bruciapelo riguardo a come fossi stata in grado di congelarlo la sera prima, senza fare premesse varie.
«Non lo so» risposi io tranquillamente sotto i suoi occhi indagatori.
«Sei stata tu a creare la bolla temporale e se l'hai creata vuol dire che sai come farlo. È impossibile padroneggiare il dono fino a livelli simili» ripeté alzando leggermente la voce.
«Ti ho detto che non ne ho la più pallida idea e poi io non so usare questo potere! Hanno cercato di insegnarmi all'epoca, ma non ho mai imparato bene né mi è mai interessato farlo. Quando congelo il tempo lo faccio per caso. Fine» dissi, anch'io con voce più alta ed irritata rispetto a prima in risposta al suo atteggiamento aggressivo.
«Menti» disse lui con aria severa. Sembrava quasi una statua, con quell'aria di superiorità nello sguardo e nei gesti che, nelle persone reali, suscita solo che ribrezzo.
«Cosa?! Se avessi potuto controllare quella bolla ne avrei già creata almeno un'altra per toglierti di mezzo, credimi. Ma tu guarda..» dissi innervosita, alzandomi da terra ed andando a prendere un bicchiere d'acqua in cucina. Il Germe era rimasto in silenzio, probabilmente assorto nei suoi pensieri: forse, per una buona volta, stava provando seriamente ad usare il cervello. Peccato che sembrasse non averne molto, poverino.
Tornando nel salotto mi venne in mente una nuova domanda da porre a lui stavolta, che, nel frattempo, aveva assunto un'espressione pensosa, poggiando i gomiti sulle ginocchia e sostenendosi il mento con un palmo mentre fissava un punto indefinito del camino.
Vedendomi tornare alzò il volto e mi rivolse uno sguardo fugace con la coda dell'occhio.
«Ammesso che tu non lo sappia.. Dobbiamo capire cosa è successo. A tutti i costi» proseguì. Oh oh. Aveva ritrattato. Il suo volto corrucciato mi trasmetteva una fantastica sensazione di vittoria, tanto che per un attimo mi lasciai scivolare di dosso tutte le preoccupazioni che mi assalivano e mi abbandonai alla gioia del mio trionfo sulla sua alterigia. Tornai presto con i piedi per terra, prima di rischiare di dimenticare la domanda che dovevo fargli.
«E tu invece?»
«Io cosa?» chiese lui.
«Come hai fatto ad uscire dalla bolla se persino mio padre non c'è riuscito? Calcolando che lui ha molta più esperienza di noi, essendo della generazione precedente»
«..non lo so» ammise con aria sconsolata dopo un iniziale silenzio, tanto che per un attimo mi era sembrato quasi tenero «L'unica cosa che so è che mi sono sbloccato nel momento in cui ho sentito una voce» disse quindi.
«Che genere di voce?» gli chiesi incuriosita.
«Era una voce femminile, ma non riuscivo a distinguerla chiaramente. Era soffusa, come in lontananza»
«E cosa diceva?»
«Basta, credo» disse «Lo ripeteva più volte, con tono diverso, ma sempre sofferente o arrabbiato. Avendola percepita minimamente, però, potrei anche confondermi. Magari pronunciava una parola simile».
"Basta".
Era quello che avevo gridato nel momento in cui avevo congelato tutto. Era quello che mi ero ripetuta come un disco rotto nella testa, correndo via. Come aveva potuto liberarsi sentendo la mia voce, soprattutto quando io non avevo affatto ripetuto quella parola ad alta voce nella corsa?
«Abbigail?» domando lui, fissandomi con aria interrogativa.
Mi ripresi dall'imbambolamento temporaneo che mi aveva colto e lo guardai negli occhi a mia volta.
«Tutto questo è assurdo» dissi.
«Siamo plasmatori temporali. La nostra stessa esistenza è un'anomalia. È normale che le cose strane abbiano a che fare con altre cose strane» continuò lui, alzandosi poi dal divano ed andando verso la cucina.
«Vanno bene uova per cena?»
«Mh-mh..» risposi a bassa voce, ancora confusa e pensierosa. Raggiunsi il divano e mi sedetti dove era stato il diciannovenne poco prima, approfittando del calore restante sul suo posto.
Guardai quindi verso la finestra, scorgendo le ultime sfumature violacee del cielo fondersi al nero della notte. Sbattei le palpebre un paio di volte, assonnata, e mi stropicciai l'occhio sinistro con il dorso della mano.
Aldilà del vetro, nel momento in cui ero tornata ad osservare il paesaggio di campagna che circondava la casa, si stava materializzando davanti ai miei occhi un ragazzo. Una specie di minuscoli granelli di sabbia si erano rapidamente assemblati per formare il suo corpo. Aveva le fattezze di un asiatico: i suoi capelli erano corti, di un insolito ed appariscentissimo arancione carico, che ricoprivano le sopracciglia, dello stesso colore, ed arrivavano fino a lambirgli le palpebre degli occhi a mandorla.
I suoi occhi erano neri, ma, in prossimità della pupilla, sfumavano nell'azzurro: era lo stesso genere di sfumatura degli occhi del ragazzo apparso nell'auto (unico elemento che mi faceva ancora dubitare che si trattasse della stessa persona che avevo incontrato alla biblioteca).
L'asiatico mi fissò con aria severa, scrutatrice. Dopo qualche istante, però, le sue labbra incurvate verso il basso si piegarono in un sorriso sghembo, mentre i suoi occhi restarono inchiodati nei miei con la stessa espressione di prima. Tutto di lui mi trasmetteva un senso di allarme.
Io ero rimasta sul divano, immobile, pietrificata da quella vista.
"Aiuto".
La voce mi era rimasta soffocata in gola. Sentivo solo il rumore del mio cuore echeggiare in ogni vena.
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ADIMENSIONAL
FantasyI giorni sereni sono ormai giunti al termine. I plasmatori temporali, uomini e donne in grado di congelare il tempo, non possono più vivere nell'oscurità, ma sono costretti ad uscire allo scoperto dai distorsori spaziali, esseri umani come loro, in...