Capitolo 21.

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Nel cortile era piombato il silenzio. Ormai non perdevo neppure più molto tempo a chiedermi se ciò che accadeva fosse possibile o meno: l'anormalità era diventata il mio pane quotidiano. Girai i tacchi ed iniziai a muovermi in direzione dell'edificio principale, dove avrei dovuto seguire la lezione di biologia della Maple. Passo dopo passo, mi ritrovai ad accelerare sempre più e a correre inconsciamente verso l'aula, colta da una profonda agitazione che mi squassava il cuore.

"Diamine. Diamine, diamine, diamine..".

La mia mente fu attraversata da una sequenza di flash di quanto era accaduto nei giorni precedenti, a partire dal mio arrivo al castello di Garmond.

"Maledetti genitori".

E povero Tim. Chissà dov'era ora mio fratello e cosa stava facendo. Chi l'avrebbe protetto dalla famiglia? Lui era un qualunque, non poteva viaggiare nel tempo e non poteva vivere tanto a lungo quanto me. Benché avessi avuto altri fratelli in vite precedenti, nei miei diciassette anni da teenager inglese era stato mio complice innumerevoli volte, nonché fido alleato. Non avrei mai potuto rinnegare questo legame di sangue, a differenza di tutti gli altri ponti che ero pronta a recidere con un mero schiocco di dita: forse gli ero così legata anche perché era l'unica persona che avesse davvero bisogno di me, in questa vita. Per mio fratello mi ero auto-convinta che vivere in un mondo di qualunque non fosse impossibile.

Giunsi di fronte alla porta dell'aula, ormai chiusa. Inspirai profondamente e, dopo aver rilassato la cassa toracica, entrai in classe in modo composto come al solito, con quell'espressione stoica che mi era valsa una posizione privilegiata nella top ten degli oggetti di pettegolezzo preferiti. Mrs Maple spalancò la bocca in un moto di indignazione e cinguettò il mio nome con tono di almeno un'ottava troppo acuto.

«Presente» risposi con pacatezza e una punta di sana aria di sufficienza, facendomi strada tra gli sguardi fendenti degli altri per sedermi al banco.

La Maple schioccò la lingua per esprimere la sua repulsione nei miei confronti, fiduciosa nella sua aria intimidatoria, benché su di me non avesse alcun effetto. Seduta al banco, rivolsi un'occhiata distratta ad alcune scritte che vi erano state apposte durante la pausa pranzo.

"Abbigail la svampita", "Abbigail figlia di *******", "Principessa delle fogne" ecc., ecc.

Ormai non era più una sorpresa ed ignorare queste piccole beffe era la giusta medicina al loro pessimo umorismo. Restavano pur sempre più gradevoli dei messaggi lasciati dal mio lontano spasimante Jack, che nel 1888 era solito tingere periodicamente le mura del mio domicilio del sangue delle sue vittime.

Ciò che contava ora era solo capire quale sarebbe stata la prossima mossa: la mia, quella degli Schumann e dei distorsori.

"Robin Long".

Quel pomeriggio avrei dovuto fare senza dubbio delle ricerca approfondite su di lui, nonché sull'altro che era come lui, "Shin". Mentre facevo roteare la matita a mina tra le falangi, pensai a quando avrei rivisto il distorsore dai capelli biondo platino: di punto in bianco era comparso nella mia vita, minando le mie certezze, senza però lasciarmi intendere chiaramente quale fosse lo scopo del nostro incontro, senza fissare un nuovo appuntamento.

"Non c'è bisogno di tempo, ma di un luogo dove scappare. O più luoghi" aveva detto il ragazzo. Era quello di cui avevo bisogno, effettivamente. Gli Schumann avrebbero sì potuto controllare lo scorrere del tempo a proprio piacimento, ma non sarebbero mai stati in grado di rintracciarmi con la stessa facilità per tutta la superficie terrestre. Eppure, al tempo stesso, nessuno mi avrebbe assicurato quali fossero le reali intenzioni del distorsore: le sue parole erano oneste? o celavano forse un obiettivo più infimo?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 16, 2016 ⏰

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