Chapter 40

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LEONARDO'S POINT OF VIEW

Ieri ho chiesto a Mattia un enorme favore. Dato che sono venuto in ospedale con l'ambulanza, non avevo con me la macchina. L'avevo lasciata da Rebecca, così me la sono fatta portare. È passato a prendere le chiavi e, mezz'ora dopo, la mia auto era fuori nel grande parcheggio.

Hanno dimesso Manuele, non ha avuto alcuna complicazione dopo la caduta. Dovrà solamente tornare per la medicazione della ferita e poi per farsi togliere i punti, ma é come nuovo.

Dovrei essere felice, perché un mio piccolo paziente sta benone.

Eppure, sto di merda.

Perché lui non é un normale paziente, é il figlio di Reb. Ed é il motivo che mi ha permesso di rivederla e persino di stringerla a me. Cazzo, questa notte non ho dormito niente. Ho passato il tempo a guardarla. Con una perenne erezione. Temevo di scoppiare.

Era così bella. I suoi lineamenti, al buio, sembravano ancora più dolci e delicati. Il respiro era regolare, rilassato. Era accucciata, rannicchiata contro di me come una bambina indifesa.

Esco dall'ospedale e mi dirigo verso la macchina, quando sulla mia destra noto Matilde e Manuele su una panchina. Il bimbo ha ancora il cerotto bianco sulla testa, lo riconosco per questo particolare. Poco più avanti, in piedi, c'è Reb. Sta parlando al telefono e gesticola con la mano libera con un tono piuttosto agitato. Mi avvicino ai bambini.

"Ciao, campioni".

"Ma tu sei un dottore anche adesso?" mia nipote mi guarda con gli occhioni spalancati. Accidenti, quanto sono azzurri. Quanto sono uguali ai miei.

"Io sono sempre un dottore, Mati. Ma sono soprattutto un amico vostro e della mamma. Con chi sta parlando?" la indico.

"Non lo so" é il maschietto a parlare "Ma ha detto che non abbiamo la macchina".

Collego tutto. Al contrario mio, lei non ha pensato a come rientrare a casa dopo essere venuta qui in ambulanza. E sta recuperando un passaggio. Vado con passo deciso verso di lei e la chiamo, picchiettando con l'indice sulla sua spalla. Sussulta, perché non mi aveva notato prima.

"Vi porto a casa io, non far venire nessuno" sfodero il mio miglior sorriso, tentando di essere convincente. Scuote la testa e continua a parlare al telefono.

"Tesoro, ti ho detto che vi porto a casa. Non costringermi a rubarti il cellulare".

Sbuffa, ma noto che trattiene a stento un sorriso.

"No, Ale, ho risolto. Grazie comunque, ci sentiamo" preme il tasto rosso e mi fissa.

"Non sei tenuto a farlo, hai già fatto abbastanza" arrossisce. E la trovo ancora più adorabile.

"Smettila. Andiamo" le prendo la mano d'istinto e lei non si tira indietro. Le nostre dita intrecciate mi trasmettono calma e serenità.

"Bimbi, ci porta a casa Leo. Lo conoscete già, vero?" annuncia ai figli.
Annuiscono. Poi Matilde parla. "Ha detto che é sempre un dottore ma soprattutto un nostro amico".

Mi fulmina scherzosamente con lo sguardo e concorda con i figli, mentre li conduco verso l'automobile. Non ho i seggiolini per i bambini, ma per fortuna ho un paio di cuscini che sono meglio di niente. Li faccio accomodare e prendo il posto del guidatore, mentre Reb si siede al mio fianco. Non parliamo molto durante il viaggio, metto un cd di musiche per bambini che tengo sempre con me, nella borsa dell'ospedale. A volte lo metto nella sala d'attesa, ai miei pazienti piace molto. Si rilassano e non pensano alle loro malattie o alle visite imminenti.

Di tanto in tanto allungo una mano verso la donna alla mia destra. La poso sulla sua coscia e la accarezzo. Ha tentato di respingermi, la prima volta. Ma a quanto pare non era certa di volere che mi allontanassi, perché quando ha posato la mano sulla mia per farmela spostare, non é riuscita più a toglierla. Ed é rimasta così, ad accarezzarmi il dorso con il pollice.

E santo cielo, avrei voluto girarmi e baciarla.

Ma i suoi figli sul sedile posteriore mi hanno trattenuto dal farlo.

Accosto davanti a casa sua e scendo, per aprire loro le portiere.

"Grazie ancora, Leo" si sporge per darmi un bacio sulla guancia. Le sue labbra si trattengono un po' troppo sulla mia pelle con un accenno di barba. Sento il suo respiro, la morbidezza del suo contatto. E mi eccito. Molto.

Prende per mano Manuele e cammina sul marciapiede, seguita da Matilde che saltella, giocando a non toccare le righe delle piastrelle. Accidenti, lo facevo sempre anche io quando ero piccolo. Ci giocavo con Luca.

Mi rendo conto che non mi sta invitando ad entrare in casa. Ma il tempo che ho passato con lei non mi é bastato. E poi, ho decido che voglio distruggere quello scudo. E per farlo devo stare con lei. Per più tempo di una corsa in macchina.

Così la raggiungo, mentre infila la chiave nella serratura del cancello.

"Che c'è?" chiede brusca. Non sembra la stessa donna di pochi minuti fa. Sembra che si stia lasciando tutto alle spalle.

"Non mi inviti ad entrare?".

"Devo ancora pulire tutto, da ieri.. e poi é ora di pranzo. Devo cucinare".

"Mamma, ho fame" si lamenta la bimba, dopo che il suo stomaco brontola un paio di volte. La capisco: è l'una e mezza ed anche io sto morendo di fame.

"Ti aiuto a pulire. E poi, bimbi, vi porto fuori a pranzo. Che ne dite? Conosco un posto buooonissimo" carico molto le parole per sembrare più convincente. I gemelli battono le mani e Reb li spinge dentro casa, lasciandoli in cortile. Si volta verso di me.

"Cosa hai in mente?".

"Io sono stato felice che tu mi abbia chiamato, ieri. Molto felice. Ma non pensare di cavartela così, cara. Tu mi piaci, anzi, ti amo. E lo sai bene. E ti voglio conquistare. Voglio stare con te e con loro. Oggi, domani e tra cent'anni. Ti è abbastanza chiaro, cosa ho in mente?".

Gli occhi le diventano lucidi e ho paura di aver sbagliato tutto. Perché non me ne sto un po' zitto?

"É un piano orrendo, Leo. Vuoi prenderti l'affetto dei bambini e contare sul fatto che loro vogliano rivederti per vedere me!".

"Non hai capito nulla, Reb. Cazzo, ti sembro così stronzo?".

Distoglie lo sguardo.

"Ti concedo questo pranzo. Uno. Poi devi stare lontano dalla loro vita. Ti é abbastanza chiaro?". La sua voce é gelida. Chiara. Decisa.

"Questo significa che posso continuare a vedere te?" le faccio l'occhiolino per sdrammatizzare. Tutta la sua serietà ha iniziato a preoccuparmi.

"Questo lo vedremo".

Si volta e sparisce dentro casa, seguita dai bambini. Ed io rimango lì, ad aspettarla. A rimuginare sulle sue parole. Questo lo vedremo.

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