Chapter one

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Pov's Alison

Osservo le gocce di pioggia scendere a raffica per poi dissolversi sul terreno.
Il cielo grigio, i lampi m'illuminano il viso e i tuoni rompono il silenzio che mi circonda dato che sono a casa da sola, se questa si può chiamare casa.
Non è molto.
Un monolocale con un piccolo bagno.
Poco, è poco.
Niente di più.
Il letto matrimoniale cigola e il parquet del pavimento sembra cedere da un momento all' altro.
Un anno è passato, un fottutissimo anno.
Ho ancora quel pezzo di carta con cui mi aveva lasciata, lì sotto l'acqua per un'ora ad aspettarlo.
Ricordo tutto ciò che c'è scritto a memoria, parola per parola, lettera per lettera.
Volevo buttarlo, mi ero promessa di scordarlo ma alla fine l'ho lasciato nel cassetto del comodino, non sarebbe servito tanto sbarazzarsi della carta se tutto ciò era impresso nella mente come con un marchio di fuoco.
Solo quando non ero lucida per qualche frazione di tempo mi scordavo di tutto, persino chi ero.
Eppure mi piaceva rileggere la lettera, come per punirmi, per ricordarmi di come ero stata ingenua ad abbandonarmi a lui e di come fosse stato facile invece abbandonarmi per esso.
Seattle.
Ecco dove mi trovavo.
Mi ero trasferita lì visto i contratti di lavoro.
Ma pure quello stava andando a puttane la vita da ballerina che avevo sognato era andata in frantumi, distruggendo tutto, tutti i miei sogni, tutta me stessa.
La mia schiena premeva contro il muro freddo della stanza, le gambe raccolte vicino al petto come per proteggermi da chissà cosa, i piedi scalzi, i capelli lasciati lungo il viso di un rosa sbiadito, spento.
Un grande maglione color vinaccia è l'unica cosa a ricoprirmi tutt'ora.
Mi piace vedere il contrasto con la mia pelle chiara, in compenso si intona alle occhiaie viola e agli stupidi capillari comparsi sulle mie palpebre.
Non credevo alla gente che diceva che fumare quando si stava male faceva stare bene, ma è proprio così, avevano ragione.
Fumare mi fa stare bene, tagliarmi mi fa stare bene, bere mi fa stare bene, sniffare mi fa state bene,non mangiare mi fa stare bene.
Il mio è viso è più magro e scavato rispetto a prima, gli zigomi sporgenti, le labbra rotte per il vento freddo che si scontra su di loro nelle mattine gelide in cui esco di casa per andare a lavorare, gli occhi si sono fatti più scuri e le pupille più dilatate e per quanto riguarda le occhiaie farebbero invidia persino a Dracula.
Anche il corpo è più magro, solcato da smagliature sopratutto nell'interno coscia.
Mi piace osservare i miei cambimenti, mi piace vedere come mi sto distruggendo poco alla volta da quel giorno.
Ogni giorno che passa è un giorno in meno sul calendario, un giorno in meno alla fine.
La porta cigola e posso scorgere l'ombra di una figura alta.
La piccola serratura potrebbe cedere da un momento all'altro e tutti potrebbero entrare ma io lo riconosco, è lui.
Si avvicina a me è senza fiatare mi posa un casto bacio sulle labbra.
Si siede affianco a me sotto alla finestra  in una fredda notte d'inverno a Seattle.
Accende una sigaretta e se la porta alle labbra, rilascia il fumo nella stanza guardando verso il soffitto, passando poi a me la sigaretta.
Aspiro fino a sentirmi bruciare i polmoni per poi rilasciare il fumo verso la figura scura accanto a me.
Appoggio la testa sulla sua spalla e un braccio mi cinge la vita attirandomi più vicina sè.
Un brivido mi percorre la schiena non so se per il freddo, non so se per l'effetto del fumo, non so se per il tuono appena sentito, o forse molto probabilmente per la sua stretta che mi fa sentire protetta.
Mi fa sentire al sicuro come lui non ha mai fatto.
Lasciò un bacio tra i miei capelli.
Prese la mia mano e se la portò sul cuore.

"Lo senti il cuori come batte forte,
non ho mai provato amore per le gatte morte.
Non gioco con le carte sporche come le altre volte, le bugie c'hanno le gambe corte.
Ho visto chiudere mille altre porte, lasciato come un ridere fra molte colpe , che sappiamo, forse,  le avevamo sepolte, ma adesso diavolo sono risolte.
E tu sei la prima regina della corte,
di un re che una mattina si è perso alla cima del monte.
Il sudore sulla fronte lo trascina dove lui cammina, ma lui è forte.
E io lo so che c'è la farà pure se a volte sembrerà si scoppiare, lui è più forte.
E io so che camminerà, sta vita a modo suo, nel bene e nel male.
Quando mi vedi che sto male cercami nel vento e ti sembra di volare, voltare, ma un giorno la paura mi busso alla porta ma aprì il coraggio e vide che non c'era nessuno, nessuno.
Vide che non c'era nessuno, che non c'era nessuno, nessuno.
Che non c'era nessuno e fanculo io non voglio tutto questo io voglio solo te e poi lo butto il resto.
E tu dimmi che ce l'ho un pretesto per rifarti un gesto, in questo buio pesto, dove muoio depresso e adesso no, tu non mi rendere colpevole di quello che faccio di marcio no, non fare finta di niente se vado controcorrente mi sembra di volare, volare.
Ma paranormale giuro che non ero lo stesso che ti vedo e non ti riesco a toccare, però è normale levo l'emozione per questo, com'è vero che la gente sta male.
Ore a pensare se era un'illusione  o il riflesso di un' ustione che non posso portare,ma io non ci credi che tu non ci sei più tu.."

Portai la mia mano sulla sua coscia stringendomi appena sentendo la sua pelle rabbrividire sotto il tessuto spesso dei jeans.

"Sono qui."
Sussurrai quasi instintivamente.
Spostò una ciocca di capelli dietro al mio orecchio e lasciò un casto bacio sulle mie labbra per poi approfondirlo.

Mi accoccolai in braccio a lui.

"Canta ancora per me, mattia."

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