Chapter two

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Pov's Stash

"Stash! Sei pronto?"
Le parole di Alex rimbombavano lungo il corridoio del piano superiore della casa.
Chiamarla casa era sicuramente riduttivo.
Sembrava un hotel data la sua grandezza, era sicuramente spaziosa per tre persone.
Trascinai la valigia giù per le scale e mi preparai mentalmente per le ore di volo che avrei dovuto affrontare.
Il nostro successo stava andando di bene in meglio, i concerti aumentavano sempre di più e di conseguenza il nostro poco riposo diminuiva.
Non ho più avuto notizie di lei.
Non mi ha mai cercato, d'altronde era proprio questo che volevo.
Allontanarla da me per salvarla, in qualche modo.
Eppure pagherei per risentire la sua voce, anche soltanto per telefono, sentire come sta, cosa ha fatto in un anno che non ci siamo visti, sentire il suo respiro, sentire se le faccio ancora lo stesso effetto.
Non so più niente di lei.
Dopo il successo della vittoria di amici ogni canale televisivo e ogni stazione radio trasmetteva interviste o speciali su di lei.
Giravo sempre canale, eppure l'avrei voluta vedere, vedere se era rimasta la stessa o no.
Ma io cambiavo, sempre, per non incrociare i suoi occhi che tanto avevo amato, per non sapere se mi aveva dimenticato,per non sapere se mi aveva rimpiazzato con un'altro, non l'avrei sopportato.
Così ho vissuto nell'oscurità senza sapere niente.
Avevo colto solo una notizia per caso quando ero in macchina con Daniele, diceva di stare con Mattia.
Mattia Briga credo.
Ma non avevo creduto veramente a ciò che avevo sentito, o meglio, non ci avevo voluto credere.
Atterrati, siamo appena atterrati.
Seattle è veramente enorme.

Pov's Alison

Non mi piace.
Seattle non mi piace.
Troppa gente, troppo caos.
Ho sempre trovato un certo fascino nel caos, ma nel caos della vita dove sei così incasinato che non sai dove sbattere la testa, non di certo in quello cittadino.
Il vento freddo pungeva sul mio viso, salii i pochi scalini che portavano al mio rifugio in questo palazzo di drogati, di cui nonostante tutto ne faccio parte.
Lanciai lo zaino di cuoio a terra e lui era già lì, seduto in un angolo del letto ad aspettarmi con una sigaretta in mano pronto a darmela appena mi vide.
Era questo il bello che c'era in noi, ci capivamo con uno sguardo.
Non ci giudicavamo, nessuno dei due aveva mai detto all'altro e tanto meno a se steso "smettila di fumare". Ci piaceva distruggerci insieme, mano nella mano come dei bambini in cerca di cose spaventose.
Ci piaceva sentirci morire mentre eravamo abbracciati, sentirci cadere nel vuoto e così ci stringevamo di più, per paura che uno dei due potesse mollare la presa.
Ci piaceva sentirci vivi e un attimo dopo sentirci così male da svenire, ma sempre insieme, costantemente insieme.
Non cedevamo.
Il mio maglione fu per terra senza che neanche me ne accorgessi, sbottonò i miei jeans sfilandomeli poco dopo.
Mi liberai della sua maglia che mi ostacolava la vista dei suoi addominali scolpiti, feci scorrere le mani sulle sue spalle lasciando persistenti baci sulla sua mascella.
Lasciai scendere le mie dita fino ai suoi pantaloni che slacciai poco dopo lasciandolo in boxer, raccolse i miei lunghi capelli nella sua mano spostandoli sulla spalla, baciò ripetute volte le tre rondini che mi ero fatta tatuare dietro l'orecchio sinistro per poi lasciare un bacio sulla mia fronte.
Appoggiò la sua fronte sulla mia finché i nostri nasi si sfiorarono, sospirò piano guardandomi negli occhi, come per dirmi che c'era, che lui era lì con me e che non se ne sarebbe andato.
La sua mano scese sulla mia schiena mentre con l'altra mi teneva il retro del collo baciandomi con foga.
Indietreggiammo insieme inciampando uno sopra l'altro e distendendoci subito dopo sul letto, ci liberammo degli ultimi vestiti che ci ostacolavano per viverci a fondo.
Entrò in me e a quella sensazione chiusi gli occhi per godermi a pieno quel momento.
Appena li riaprii iniziò a muoversi, non c'erano bisogno di parlare tra noi, non c'era bisogno di dirsi "ti amo" in questo momento, bastava guardarsi negli occhi a vicenda per capire cosa stava pensando l'altro, ci specchiavamo a vicenda uno nell'altro.
I nostri silenzi erano pieni di parole.
Dopo numerose spinte iniziai a sentire crescere un grande calore nella pancia, conficcai le unghie nella sua schiena mentre sentivo i suoi muscoli tendersi sotto il mio tocco.
E arrivai al culmine stringendomi intorno a lui, abbandonandomi a lui come proprio lui aveva appena fatto.
Così si distese accanto a me e io mi rannicchiai vicino a lui intrecciando le mie gambe alle sue.
Questo era ciò che mi piaceva.
Godersi; amarsi e non solo sodddisfarsi.
Amavo fare l'amore con lui per poi ritrovarmi stretta nella sua presa, sotto le coperte, scaldandoci a vicenda ognuno con il respiro dell'altro, lontano da tutto e tutti.
Ero cambiata così tanto in un anno.
Cresciuta tanto,troppo forse.
Avevo veramente imparato a cogliere l'attimo, "carpe diem" dicevano, e questo era ciò che stavo facendo.
Stringendolo a me, quasi da fargli male, da stritorarlo, sentivo il suo petto alzarsi e abbassarsi sotto il mio braccio.
Avevo quasi paura che potesse andare e uscire da quel nostro nascondiglio, ma lui ricambiava stringendomi più forte per rassicurarmi che non l'avrebbe fatto.
Inalavo il suo profumo,quello che mi piaceva tanto e posavo sempre la testa sul suo petto addormentandomi cullata dal ritmo del suo battito.

"Sei la droga più forte che abbia mai preso" proferì lui ad un tratto.

Sorrisi nel buio sicura che lui mi avrebbe vista lo stesso.
"Ti amo" risposi.

Mi accarezzò i capelli.
"Dormi ali, dormi. Veglio io su di te."

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