FIORE E NEVE

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HANA

Masticavo con foga la penna nera. Il sapore della plastica mi riempì la bocca. Guardai l'oggetto che tenevo stretto tra due dita con disgusto. Lo posai. Volsi il capo verso la finestra. Una ciocca di capelli mogano mi cadde sulla guancia. La scostai delicatamente. I fiocchi di neve fluttuavano leggiandri in aria. Compievano piroette su sé stessi prima di cadere e adagiarsi fino a formare uno strato bianco in grado di nascondere le tracce dell'uomo. Sembravano tante ballerine. Sorrisi sognante.

- Forza, è ora di prepararsi fannulloni! – la voce del professore mi riportò alla realtà. Sbuffai. Fissai con circospezione l'uomo. Era molto alto, europeo, come me d'altronde. A Tokyo non c'erano molti europei. I capelli biondi ricadevano sula fronte madida di sudore. Ci fissava attraverso le fessure degli occhi celesti. Probabilmente proveniva dal nord.

Mi affrettai a sistemare i quaderni in cartella. Li gettai distrattamente in essa presa com'ero ad osservare la forza di gravità che trascinava quei fiocchi vitrei.

Con un movimento goffo mi lanciai lo zaino in spalla e aspettai che tutti fossero usciti. A volte invidiavo le ragazze la cui unica preoccupazione era scegliere i vestiti abbinati allo smalto. Tutti sorridevano, chiacchieravano tra loro, come se io fossi solo una goccia d'acqua pronta ad evaporare tra tutte quelle bocche di fuoco.

1° E

Lessi l'insegna posta allo stipite della porta. Erano passati 14 anni. 14 anni dall'errore di mettermi al mondo. Sorrisi con sfacciataggine. Mi decisi a proseguire lungo il corridoio anonimo.

I ragazzi avanti a me non facevano altro che far cadere dei fogli. Erano molto simili, probabilmente due gemelli. Avevano i capelli mori adagiati in tanti riccioli sulla testa. L'acne aveva invaso tutta la fronte creando un dislivello tra il candore delle guance e il rossore della parte superiore. Saranno stati di terza.

Lasciai penzolare la testa all'indietro. Non sembravano avere intenzione di sbrigarsi. Intravidi uno spiraglio sulla destra. Il mio corpo esile ci sarebbe sicuramente passato. Biascicai un permesso e senza attendere la risposta mi ci infilai.

Un'ondata di vendo gelido mi sfiorò le guance. Ero finalmente fuori. Sorrisi soddisfatta. Mi soffiai un po' d'aria tra le mani. Osservai la nuvola di condensa che saliva verso l'alto. Strinsi il cappotto lanugginoso intorno alla vita sottile.

La gente vociferava alle mie spalle, ma le parole mi scivolvano addosso. Era così da tanto tempo ormai.

Lasciai la testa cadere all'indietro in modo che i fiocchi di neve potessero bagnarmi il volto. Quando il primo scese lungo la guancia rabbrividii. Poi ne arrivò un secondo, un terzo, un quarto. Persi il conto. La scuola era ormai deserta.

Il parco di fiori di ciliegio si estendeva per oltre due kilometri di fronte alla mia scuola- Mi era sempre piaciuto. Decisi di passare e farci un giro. Tanto nessuno mi aspettava a casa. Attraversai la strada lentamente, noncurante delle macchine che mi sfrecciavano a pochi centimetri di distanza.

Mi fermai di colpo. Un ragazzo. Avrà avuto la mia stessa età. Teneva il viso rivolto verso il cielo in modo che la neve potesse scivolargli addosso. I capelli ricadevano sulla fronte in riccioli biondi. Mi avvicinai pian piano. Mi piaceva.

- Ehi! – tentai di far uscire la voce dalla gola. Non mi guardò nemmeno. I fiocchi di neve sembravano più interessanti. Non lo biasimavo. Sorrise appena.

- Ehilà?! – gli sventolai le mani in faccia. Sembrò stordito.

- Dici a me?! – balbettò impaurito. Soffocai una risata.

- Vedi qualc'un altro in questo parco? – il ragazzo si guardò intorno per assicurarsi che non stessi parlando con qualcuno alle sue spalle.

- No – Si grattò la nuca. Mi stava fissando attraverso due occhi enormi. Il colore variava sulle sfumature dell'arancio. Erano occhi stupendi, capaci di farti affogare e poi ridonarti la vita, ma erano occhi vuoti, incredibilmente vuoti.

- Perspicace il ragazzo. – mi abbandonai in una sonora risata, non accadeva da molto tempo. Lui mi guardò un poco stordito, poi, anche sul suo volto comparve un sorriso imbarazzato.

Gli porsi la mano con decisione.

- Io mi chiamo Hana, tu? – Mi fissò la mano con circospezione. La strinse esitante.

- Yukine –

- Sei nuovo, vero? – Abbassò lo sguardo. Subito dopo mi rivolse un sorriso malinconico.

Biascicò un sì.

Socchiusi leggermente gli occhi e tentai di sorridergli come facevo quando ero piccola.

- Domani ci vediamo qui all'ora di pranzo e ti faccio fare un giro della scuola. Ci stai? – Un'ombra gli attraversò lo sguardo o forse era stata solo una mia impressione.

- A domani allora. – Lo stesso sorriso malinconico. Riconobbi in quei lineamenti il candore dell'infazia che io avevo perso troppo presto.

- A domani. Non fare tardi, mi raccomando. – E senza aspettare una sua risposta corsi via, impaziente di immortalare quegli attimi nel mio cuore.

Potevo soltanto immaginare lo sguardo che mi lanciò quando gli diedi le spalle prima di buttarsi su di una panchina del parco. Stava sorridendo, mentre il laghetto ghiacciato gli faceva l'occhiolino.


Nota: In giapponese "Hana" significa fiore. nel corso del racconto ci saranno diversi riferimenti a questa parola. Muahhaha siamo cattive!

Noragami- Keep SmilingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora