HANA
Le luci accecanti rubavano avidamente l'attenzione alle stelle. Sbuffavo respiri nervosi tentando di non scoppiare in lacrime-
Sentivo un vuoto dilaniante opprimermi le membra. Era come se avessi un buco proprio al centro del cuore. Un vortice sembrava risucchiarmi a fondo, imprigionarmi in una bolla melmosa e trascinarmi sul fondo di un abisso. La malsana voglia di scappare da tutti, da quel folle tutto, si insinuava nelle viscere come una droga.
Ogni passo era accompagnato da ventate gelide che si schiantavano violente sulle mie gambe nude, quasi a prendersi gioco di me. Mi sforzavo di ignorarle come se fossero solo un leggero fastidio.
Ero morta. Questa affermazione mi rimbombava nella tua testa con un'intensità spaventosa. Sembrava rimbalzare da una parete all' altra del mio cervello mozzandomi il respiro ad ogni passo. Quella maledettissima vita mi aveva strappato tutto. Non avrei proseguito gli studi, non avrei mai potuto tenere tra le braccia un figlio, vedere la mia pelle cadere a poco a poco e i capelli diventare d'argento, non avrei mai potuto invecchiare alla persona tanto amata.
Ma il brutto non era essere morti. Era non potersi più ricordare chi ero. Ero consapevole di tutto. Di come funzionava la terra, delle nozioni imparate a scuola, dell'esistenza di una famiglia e degli amici, ma era come se avessi perso i dettagli per strada. I piccoli gesti quotidiani che scaldavano l'anima e che, passando per il cuore, pulsavano in tutto il corpo rendendomi viva. Ecco, questa era la differenza tra le persone vive e me.
Un ricordo lontano, un eco impalpabile, mi ricordava l'esistenza degli Angeli. Loro, anche dopo la morte, potevano proteggere le persone che amavano, potevano sentire ancora un calore umano irradiarli, ma io non conoscevo le persone che amavo. Non sapevo nulla della mia vita, della mia famiglia. Non avrei mai potuto ricordare le carezze di una madre.
Continuavo a camminare imperterrita. Il vento gelido mi sferzava contro beffardo, mi strinsi ancora di più in quella misera felpa. Le mani erano scosse da fremiti nervosi. Tremavo come una foglia.
Mi sforzavo di non incrociare in alcun modo lo sguardo delle persone che mi passavano accanto senza accorgersi della mia presenza. Sarei sicuramente impazzita. Non avevo nemmeno idea di cosa stessi facendo. Volevo solo accontentare il bisogno disperato di ossigeno dei miei polmoni. Ad ogni boccata d'aria, una fitta dolorosa mi irradiava la gamba. Abbassai lo sguardo terrorizzata. Repressi una smorfia disgustata. Un taglio spalmato di sangue rappreso si apriva lungo tutto il polpaccio. le vertigini iniziarono ad annerirmi la visuale. il mio stomaco era scosso da conati di vomito. Mi appoggiai con il palmo della mano con quello che aveva tutta l'impressione di un muro. Sbuffai. Non sarei durata a lungo da sola.
Forse avrei dovuto rimanere in quella casa, dove quegli strani ragazzi mi avevano portata. Gli occhi del ragazzo più piccolo mi avevano scavato il cuore. Erano così vuoti, così freddi, distaccati, morti. Sembravano uno specchio di emozioni che, ormai unite dal medesimo sentimento, si erano fuse tra loro in una pozza dorata. Sfiorai con i polpastrelli la felpa nera che mi avvolgeva premurosa. Feci scorrere le dita sul cuore. Batteva ancora ad un ritmo lento, quasi in uno stato di torpore. La mente mi balenò allo sguardo apprensivo che mi rivolse Yato quando mi aveva stretta a sé. Scossi la testa disgustata dagli affronti che stavo lanciando al mio orgoglio spropositato. Diventare un bracciale, servire un dio in tuta, uccidere dei mostri, tutto questo non riusciva a dissolversi nelle spropositate dosi di saliva che mi cacciavo in gola. Tutto era così folle e insensato.
In preda alle vertigini che si stavano impossessando della mia testa, voltai leggermente il capo. Un giornalaio, poco più di un ragazzino stava distribuendo giornali con un sorriso stampato sul volto. Il suolo perse consistenza. Sembrava che il mondo si fosse fermato. Il mio cuore, in preda all'orrore, perse un battito. Afferrai con foga una copia di quel giornale. In prima pagina, una ragazza mi rideva in faccia, quasi a beffarsi di me. I capelli mossi le incorniciavano il viso dai tratti occidentali. Aveva schiuso le labbra in un sorriso raggiante, mentre gli occhi lo seguivano poco convinti. Le gote pallide erano affondate nelle mani avvolte dai guanti. Era una ragazza che conoscevo bene. La cui figura viveva come un'ombra dentro di me. Quella ragazza ero io.
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Noragami- Keep Smiling
FanfictionLa neve continua ad imbiancare Tokyo. Tutti sono a casa a godersi il caldo, ma non Hana. Lei riesce a vedere oltre i lividi che le solcano le braccia. Lei vede quello che gli umani ignorano. Forse è per questo motivo che la sua storia si intreccia i...