Chapter Six

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Liam

Bussai alla porta della nuova camera di Zayn, che era semiaperta. Quando si era svegliato poco tempo prima lo avevano trasferito in una stanza come la mia, senza quel monitor da collegare al corpo.

«Posso?» domandai, e solo quando lo vidi annuire entrai del tutto, richiudendomi la porta alle spalle.

Gli avevano tolto la fascia bianca che gli avvolgeva il capo, lasciandomi vedere finalmente i suoi capelli neri spettinati, e non potei evitare di pensare, per l'ennesima volta, a quanto fosse bello.

«Come ti senti?» gli chiesi, avvicinandomi a lui.

«Il mal di testa diminuisce, ma la sensazione di vuoto non se ne va»

Sospirai e «Andrà meglio, credo» cercai di rassicurarlo, ma sicuramente non ci riuscii.

«Tu sei...?» mi chiese, e in quel momento mi sentii terribilmente stupido. Ero entrato in camera sua e gli avevo domandato come stesse, ma per lui ero un semplice sconosciuto -non che qualcuno gli fosse conosciuto, al momento-, così arrossii bruscamente.

«Scusami, sono Liam» mi affrettai a informarlo e Zayn mi guardò profondamente per qualche secondo.

«Io ti...» si bloccò, e poi «Noi ci...» di nuovo, e infine «Insomma, noi eravamo amici prima del... prima che succedesse tutto questo?» riuscì a chiedermi.

Gli sorrisi per cercare di mandar via l'imbarazzo che lo aveva fatto quasi balbettare e «Oh, no no, ho conosciuto Louis qui in ospedale e...»

«E...?»

«Non ti ricordi, vero?» mi lasciai sfuggire. Domanda idiota. Inopportuna. Ti odio Liam.

Zayn alzò un sopracciglio e «Ho un'amnesia, hai presente?» chiese sarcastico, e io arrossii di nuovo. Dannazione, che stupido.

«Oddio, scusa, non intendevo quello, io mi chiedevo se...» iniziai a balbettare anche io e la situazione iniziava a farsi davvero troppo imbarazzante. Zayn continuava a fissarmi con un sopracciglio alzato. «Sono venuto a trovarti quando eri ancora in coma» confessai, «di nascosto»

«Di nascosto?» chiese Zayn, aggrottando le sopracciglia perplesso.

Annuii. «Non ti conoscevo neanche, mi sembrava una cosa stupida» e onestamente non capii perché gli stessi dicendo tutte quelle cose che avrei potuto benissimo evitare di confessargli, ma le parole, se pur confuse, mi uscivano dalla bocca incontrollabili, come forti raffiche di vento.

Mi sedetti sulla sedia di fronte al suo letto. Avevo passato, forse, due minuti in quella stanza e mi sentivo stanco, stanco psicologicamente, ma, con ogni probabilità, parte della colpa era da attribuire anche a quando, poco prima, avevo visto Louis in quello stato.

«Sai, conosco Louis dal primo giorno in cui siete venuti qui, tre settimane fa. So che non è molto, ma siamo stati parecchio insieme ed è una brava persona» lo informai, e Zayn sollevò leggermente lo schienale del letto per mettersi comodo e ascoltarmi. «So che non ricordi nulla, e forse sto per dire una cosa che farei meglio a non dire, ma sei stato fortunato ad averlo come amico e onestamente penso che tu lo sia ancora, perché non credo ti abbandonerà mai» aggiunsi.

Parlavo lentamente per studiare con attenzione il volto di Zayn, ogni sua reazione alle mie parole, eppure aveva assunto un'aria rilassata e mi ascoltava serenamente, quindi: o Zayn era uno che nascondeva bene le emozioni, oppure, come aveva detto anche Harry, era davvero un tipo tosto e stava affrontando alla grande questa difficoltà, arrivata solo un'ora prima.

Non disse nulla, perciò dedussi che preferisse che continuassi a parlare io, e così feci. «Comunque, è stato lui a dirmi di venire qui» decisi di omettere il dettaglio che, in realtà, Louis lo aveva chiesto ad Harry, «per vedere come stai. Per lui è... difficile»

Zayn, a quel punto, sospirò e «Già, immagino. Mi dispiace davvero tanto» disse.

«Quindi, Zayn, come stai?» domandai, e sapevo che mi aveva già risposto, ma quella volta la mia domanda era un qualcosa di più profondo, e sperai che Zayn lo capisse.

«Non lo so come sto» mi rispose infatti, mordendosi con forza il labbro inferiore, e stavolta fui io a non parlare, aspettando che fosse lui a farlo ancora. «In realtà, a parte il mal di testa, io sto bene. Come faccio a stare male, se non ricordo nulla? Insomma, è strano perché io so che dovrei stare male, ma non ne ho il motivo, capisci?» continuò, con le lenzuola strette tra i pugni, e io annuii, guardandolo negli occhi per fargli capire che io c'ero, io lo stavo ascoltando e aveva la mia comprensione. «E' questa la cosa frustrante: il fatto che io stia bene ma, contemporaneamente, avere la consapevolezza della mia triste situazione»

«Penso tu abbia solo bisogno di tempo per abituarti a tutto questo, Zayn» parlai, allora, a quel punto, «e vedrai che tutto migliorerà»

Zayn sospirò. «Ma io mi sento solo, Liam. Ho il vuoto nella testa, soltanto volti sconosciuti e non so che cosa fare» disse col capo chino. Ed ecco che, forse, Zayn non era poi tanto forte come avevo pensato, né riusciva a nascondere bene le sue emozioni, perché in quel momento, il ragazzo moro sdraiato sul suo letto e con la testa fra le mani, davanti ai miei occhi non sembrò altro che fatto interamente di paura e di fragilità.

«Zayn» lo richiamai, così che sollevasse il capo e i nostri occhi si incontrassero. «Tu non sei solo» gli dissi, «tu hai me»




Louis

Me ne stavo sdraiato sul mio letto, aspettando che Morfeo mi accogliesse tra le sue braccia, ma sembrava essersi dimenticato di me.
Mi giravo e mi rigiravo alla ricerca di una posizione comoda, ma trovavo sempre qualcosa che non andasse: dolore al collo, caldo ai piedi, freddo alle gambe, cuscino troppo alto, ma alla fine ero consapevole di quale fosse in realtà il mio problema: Zayn.
Zayn non mi aveva fatto mangiare la cena che mia mamma mi aveva dolcemente lasciato sulla scrivania, pregandomi di consumarla, Zayn non mi aveva fatto interagire con nessuno della mia famiglia, che cercava di consolarmi, e Zayn non mi faceva dormire.

Continuavano a ripensare a quelle tre piccole parole -le uniche- che mi aveva rivolto dopo il suo risveglio: "tu - chi - sei", e, come api, mi ronzavano nella testa e mi pungevano ovunque, facendomi male.

Era stato Harry a riaccompagnarmi a casa (quella di mia madre, che mi aveva pregato per ore di rimanere con lei per qualche giorno) perché «Ho paura che tu prenda la macchina in queste condizioni» mi aveva detto fuori dall'ospedale, e io avevo acconsentito perché non avevo gli elementi necessari per oppormi alle sue parole.
E infatti, quando salii nella sua auto -era venuto a prenderlo sua madre- vidi il mio riflesso nello specchietto retrovisore e potei constatare che il mio aspetto combaciasse perfettamente con il mio stato emotivo: distrutto. Capelli spettinati, o meglio arruffati, occhi lucidi e occhiaie profonde, un colorito per nulla promettente e giurai di vedermi anche più scarno rispetto ai giorni precedenti, ma forse era colpa del maglione oversize.
Il viaggio in macchina era stato silenzioso, ma riuscii a cogliere gli sguardi mortificati che la madre di Harry rivolgeva al figlio. Era una donna bellissima e Harry le assomigliava molto: stessi occhi verdi e puri, stesse fossette agli angoli della bocca, stessa pelle chiara.
Sicuramente Harry le aveva raccontato tutto di Zayn.

Quando arrivammo, salutai entrambi ringraziandoli con poca enfasi ed entrai in casa, biascicando un flebile «ciao». Evitai ogni domanda dei miei familiari e mi diressi in quella che era ancora la mia camera, anche dopo che andai a vivere per conto mio.

E adesso, nel mio letto, mi sentivo completamente solo, in balìa della notte che iniziava ad affacciarsi dalla finestra insieme a tutte le sue tristezze e paure.

Ero terrorizzato di iniziare una vita senza Zayn, o meglio, con uno Zayn che non si ricordava di me e che, probabilmente, non avrebbe mai più voluto vedermi.
E, oltre ad essere del tutto tagliato fuori dalla sua vita, ero anche impotente nei suoi confronti: non potevo aiutarlo in nessun modo, avrebbe dovuto affrontare tutto questo da solo e io dovevo stare a guardarlo mentre si creava una nuova vita che non includesse più me.

Afferrai il cellulare dal comodino e scrissi distrattamente un messaggio ad Harry, perché lui fu la prima persona che mi venne in mente quando scoppiai a piangere un'altra volta.

Vieni da me, ti prego

E non lo firmai, né badai ai segni di punteggiatura, fu già troppo che riuscii a scrivere con gli occhi appannati dalle lacrime.
Ma quando vidi che ormai era mezzanotte, mi maledii mentalmente per aver premuto il tasto Invia. Non solo era tardissimo, ma sapevo anche che Harry non aveva un auto e non si sarebbe mai potuto presentare a casa mia. E infatti non mi arrivò alcuna risposta.

Dopo dieci minuti di attesa, sia di Harry sia di Morfeo, mi alzai dal letto sbuffando e decisi che una doccia sarebbe stata la soluzione migliore.
Cercai di rilassare ogni muscolo del mio corpo sotto al getto di acqua tiepida, così chiusi gli occhi e appoggiai la fronte alla parete fredda, lasciando che le gocce mi corressero veloci sulla pelle.
Rimasi in quella posizione per un tempo indecifrabile, finché non rinvenni e mi sciacquai velocemente con un po' di bagnoschiuma al muschio bianco, per poi uscire dalla doccia.

Mi asciugai alla meglio, poi infilai un paio di boxer puliti e indossai una t-shirt bianca e vecchia, che subito si inumidì a causa dei capelli ancora fradici e grondanti.
Vi strofinai l'asciugamano sopra, cercando di asciugarli il più possibile senza usare l'asciugacapelli, e poi andai di nuovo sul letto, sperando che almeno la sensazione di pulito mi facesse dormire.

Ma stavolta a interrompere i miei vani tentativi di prendere sonno fu un leggero ticchettio sulla porta della mia camera, tipico di mia madre.
Non risposi perché non mi era ancora tornata la voglia di parlare e mi maledii perché avevo fatto troppo rumore nella doccia: probabilmente aveva sentito che ero ancora sveglio e voleva controllare se fosse tutto apposto, così mi girai dando le spalle alla porta e assumendo una posizione fetale, poi chiusi gli occhi, fingendo di dormire.
Regolai anche la respirazione, perché una volta mia madre, quando ero piccolo e stavo cercando di nasconderle che fossi sveglio, si accorse della mia recita e mi disse che quando dormiamo il nostro respiro è più lento e profondo.

Dopo pochi secondi la porta si schiuse ma non sentii alcun passo, allora aprii un occhio, strizzandolo, per cercare di capire. Una luce fioca si diffuse nella stanza, segno che la porta non era stata spalancata del tutto.
Mi girai lentamente, in tempo per capire che a bussare alla mia porta non era stata mia mamma, ma Harry, le cui gambe affusolate si stavano già allontanando nel corridoio.

«Harry!» quasi urlai per richiamare la sua attenzione, e il riccio si voltò verso di me e mi sorrise, tornando indietro e facendo ingresso nella stanza.




Harry

Louis mi aveva invitato a stendermi sul letto accanto a lui, così me ne stavo con la schiena appoggiata alla spalliera, la testa piegata all'indietro verso il muro e le gambe incrociate, ancora stretto nella mia felpa blu.

«Quindi anche tu hai dei capi sportivi» disse Louis, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.

Abbassai il capo per guardarlo e sorridergli. «Eh già, per la casa sono comodi»

Louis spostò lo sguardo sul soffitto e incrociò le mani all'altezza dello stomaco. La mia attenzione si rivolese alle sue gambe nude, che mi sembrarono sode e robuste. Come se avesse percepito i miei occhi a studiargli quegli arti, li incrociò uno sull'altro e si coprì col lenzuolo.

«E come mai non ti sei cambiato? Pensavo fossi il tipo che non si fa vedere in giro se non è messo in tiro» continuò.

«Pensavi bene, Louis» confermai, «ma sai, se qualcuno ti scrive pregandoti di raggiungerlo senza degnarti di una spiegazione, non hai tempo di indossare capi eleganti. E poi sono scomodi per correre» ironizzai.

Louis si tirò leggermente su, tenendosi sugli avambracci, e rivolse la testa indietro per guardarmi. «Hai corso per me?» mi chiese, e gli angoli della sua bocca si sollevarono, regalandomi il miglior sorriso al contrario che avessi mai visto.

In quel momento avrei tanto voluto fare lo stronzo e prenderlo in giro, ma quegli occhi che per un attimo mi sembrarono più azzurri del normale mi spinsero a rispondergli con sincerità, quindi «Sì, ero preoccupato e ho corso per te, Louis» ammisi, stringendomi nelle spalle e sorridendo a metà.

Louis si mise nella mia stessa posizione e sistemò il lenzuolo anche sulle mie gambe, nonostante non avessi per niente freddo. Sospirò e «mi sono pentito di averti scritto» disse.

Lo guardai accigliato, così «Sai, non avrei dovuto disturbarti, ma in quel momento non ho pensato che non hai una macchina» mi spiegò. «Mi dispiace averti fatto correre, letteralmente»

«Sta' tranquillo, avrà fatto bene ai miei addominali» risi, e lui roteò gli occhi. «Comunque tu non mi disturbi» confessai, abbassando lo sguardo sulle lenzuola azzurrine, troppo imbarazzato per sostenere il suo.

«Grazie» mi disse, appoggiando la testa al muro e chiudendo gli occhi.

Approfittai di quel suo momento di cecità per osservarlo un po'. I lineamenti del viso erano spigolosi ma nello stesso tempo inspiegabilmente delicati, il naso leggermente all'insù e le labbra molto sottili; una linea morbidamente curva segnava il contorno del mento e del collo, per poi allinearsi dal torace fino a nascondersi tra le lenzuola sulle sue gambe.
Louis deglutì, facendo salire e scendere il pomo d'Adamo, e a quella vista fui costretto a distogliere lo sguardo per non alimentare il calore che iniziavo a sentire al basso ventre. Deglutii anche io, sentendo la gola ardere.

«Come mai mi hai fatto venire?» domandai, non appena la salivazione era tornata a funzionarmi correttamente, e quella frase mi uscì maledettamente ambigua, considerati i miei pensieri precedenti.

«Non riuscivo a dormire» disse Louis, voltandosi verso di me. «Ma non mi va di parlare di Zayn adesso, dimmi di te»

«Di me?» chiesi, sistemandomi un ricciolo dietro all'orecchio. Louis annuì, sorridendo, così ci pensai su qualche secondo e iniziai a parlare. «Mmh, allora. Ho diciannove anni, come Liam, e frequento l'ultimo anno alle superiori. Direi che la mia vita si può riassumere in ospedale e problemi con la Matematica» conclusi il racconto della mia esistenza entusiasmante ridacchiando, mentre Louis, che adesso si era girato sul fianco, reggendosi con il gomito e appoggiando la testa sulla sua mano, mi fissava, ascoltandomi interessato.

Alzò le sopracciglia e «Tutto qui?» chiese, sorpreso, e io annuii, stringendomi nelle spalle, leggermente in imbarazzo. Insomma, lui doveva essere uno di quei tipi con una vita meravigliosa, un architetto pieno di soldi, circondato da amici, sempre impegnato tra il lavoro e le feste: tutto perfetto, quindi, almeno finché il suo migliore amico non aveva deciso di schiantarsi con la moto e non solo andare in coma, ma anche risvegliarsi con un'amnesia cronica. Che tristezza.

«Problemi con la matematica, eh?» domandò ridacchiando, liberandosi dal lenzuolo e alzandosi dal letto.

«Mi prendi in giro?» chiesi, seguendo i suoi movimenti.

Louis non rispose e andò ad accendere la luce, che invase la stanza interrompendo l'atmosfera soffusa di poco prima, creata solo da una lampada.
Si diresse verso l'armadio di fronte al letto e lo aprì, allungò le braccia al suo interno e tirò fuori, tossicchiando per la polvere, una consistente pila di libri.
La mia attenzione si concentrò sul suo fondoschiena tondo e prorompente, messo in evidenza ancor di più dai boxer bianchi, e distolsi lo sguardo appena prima che lui si voltasse nella mia direzione, sorridendomi soddisfatto.

Aggrottai le sopracciglia, confuso, e «Questi sono alcuni dei miei libri dell'università, ma gran parte sono a casa mia. Comunque, molti sono di Matematica» mi informò Louis.

«Ti ringrazio, ma non capisco nulla nemmeno nei miei libri, figuriamoci in quelli dell'università» dissi, sospirando.

Louis rise. «Non pensavo di prestarteli» mi disse allora, spingendoli nuovamente all'interno dell'armadio per poi chiuderne l'anta.

Lo guardai, ancora più confuso di prima, mentre si avvicinò al letto e vi salì sopra, mettendosi in ginocchio vicino a me. «Ma pensavo di aiutarti con la Matematica» disse infine, fissandomi con un sorrisetto allegro sulle labbra.

Gli angoli della mia bocca si sollevarono involontariamente a quelle parole e «Lo faresti davvero?» domandai, forse troppo euforico, ma poi mi ricordai di Zayn e mi spensi. «No, Louis, hai altri problemi per la testa, non devi preoccuparti per me» dissi, scuotendo il capo.

Louis mi si fece ancora più vicino e, sempre in ginocchio, appoggiò il sedere sui suoi piedi e mi guardò sorridendo. «Voglio farlo, davvero» mi disse, «sarà anche un modo per distrarmi»

«Sei sicuro?» gli domandai, mordendomi il labbro inferiore.

Louis annuì convinto e «Grazie davvero» dissi sorridendo, e la mia mente volò già verso i pomeriggi che avremmo passato insieme a casa mia, o a casa sua, o forse anche in ospedale, e non sapevo se fossi più felice per aver trovato il modo di non essere bocciato o per aver trovato il modo di spendere più tempo insieme a quel ragazzo.
Ma forse la seconda, perché sì, Louis mi piaceva. Tanto.

Non appena rinvenni, guardai l'ora sulla sveglia che Louis teneva sul comodino: era l'una passata ed ero a piedi, sarei dovuto rientrare.

«Lou» lo richiamai, arrossendo per il diminutivo che avevo appena usato, «dovrei andare adesso»

Louis mi guardò per qualche secondo, senza rispondere. Sembrava che stesse pensando a qualcosa, ma prima che potessi reclamare ancora la sua attenzione, «resta qui» mi disse, in una proposta che parve più simile a un ordine.

Arrossii di nuovo, stavolta credo ancora di più. «Io non... non voglio disturbare la tua famiglia, ecco» dissi, e quella fu la prima cosa che mi venne in mente.

«Non li disturberai» mi rassicurò. «Dai, resta con me» continuò, sporgendo il labbro inferiore, e la sua richiesta, stavolta, assunse il tono di una preghiera.

Forse per le sue labbra "a mestolino" che gli conferivano un'aria da bambino, forse per pietà perché sapevo quanto stesse soffrendo, o forse perché ero io il primo a voler rimanere insieme a lui, acconsentii alla sua richiesta. «Va bene» dissi sorridendo, e in uno scatto impulsivo Louis si gettò al mio collo, abbracciandomi.
Ed ecco che, in pochi minuti, il venticinquenne altezzoso aveva frantumato la sua maschera secolare, così tra le mie braccia, che si erano prontamente strette intorno al suo corpo.

Appoggiai il naso sui suoi capelli morbidi e lisci e per la prima volta annusai il suo profumo, che mi inebriò i sensi in un attimo: sapeva di fresco, forse era muschio bianco, o forse era brezza marina, ma poco importava, perché sapeva di buono, sapeva di Louis.







CIAO!

Ciao a tutti! Sono tornata! Mi scuso tantissimo per non essere riuscita a pubblicare questo capitolo prima di partire,ma ho avuto davvero tante cose da fare! Non avrei pubblicato neanche oggi, dato che sono ancora con la testa a Londra, ma ve lo dovevo, quindi eccomi qui

Che ne pensate di questo capitolo? Vedete, piano piano le cose tra gli ziam si stanno evolvendo. Non sono tenerini?

I larry, invece, ormai sono completamente persi, vero?

Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo, o qui su wattpad, o su twitter o su efp (sono sempre @hearmepayne)

Un bacio grande,
Greta. \[YD+y


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