"Ed ecco l'ultima squadra! Per voi i numeri 3! Fateci vedere cosa sapete fare ragazzi!"
Partimmo subito al galoppo con uno scatto che mi fece quasi volare all'indietro. La folla aveva già iniziato ad urlare, tipico dei cowboy. James era partito con Bonita verso il primo vitello, Carol con Soleil cercava di tirar fuori il secondo. Io e Red invece, cercavamo di non far scappare la mandria oltre il limite del campo.
Il gioco era apparentemente semplice: una mandria composta da 27 vitelli tutti numerati dall'uno al dieci per tre volte. Quindi si avevano tre vitelli con numero uno, tre con numero due, tre col numero tre e così via fino al numero nove. L'obbiettivo era tirare fuori i tre vitelli assegnati e chiuderli nel piccolo recinto entro i sessanta secondi. Le squadre erano composte da tre cavalieri: due che cercavano di tirar fuori gli animali dalla mandria e il terzo che cercava di tenere a bada quest'ultima.
Io e Red praticavamo questa disciplina da ormai un anno e ora eravamo arrivati alle nazionali come se niente fosse.
Red era il mio cavallo, i miei genitori me l'avevano preso quattro anni fa, quando lui aveva un anno. Insieme al mio istruttore l'avevamo addestrato e nel giro di qualche anno eravamo diventati una squadra perfetta.
Il suo manto baio era già sudato e riuscivo a sentire il suo fiatone nonostante le urla della folla.
I vitelli oggi erano più carichi del solito, qualche turno prima un vitello era andato contro un cavallo facendo cadere lui e il cavaliere. C'erano stati dieci secondi di silenzio fino a che il cowboy non si è rialzato facendo cenno che andava tutto bene. il cavallo si alzò pochi istanti dopo.
James mi corse a fianco preceduto dal vitello e mi fece segno di andare a prendere l'ultimo.
Lo vidi subito: era tra il numero nove i il numero due. Red partì al galoppo sfrenato e in un batter d'occhio ci ritrovammo a fianco al numero tre che cominciò a correre verso il piccolo recinto.
Sembrava andare tutto alla perfezione finché non sentì Carol che mi urlava contro "Fermati! Fermati!". Non capivo, poi guardai alla mia destra e vidi che il vitello numero otto mi stava letteralmente venendo addosso. Riportai lo sguardo avanti e urlai "Vai Red! Vai!". così dicendo il cavallo cominciò a correre più veloce. Ero sicura che con quello scatto avessimo seminato il vitello e immediatamente un sorriso comparve sul mio viso. Ma mi sbagliavo.
Sentì un grande botto, il mio corpo cadere pesantemente per terra, la folla che urlava di paura, i nitriti disperati del mio cavallo, la mia vista offuscarsi, poi ,il buio.
"Fate entrare i medici! Non si muove! Fermate quel cavallo!"
Mi svegliai di soprassalto dopo quell'incubo che invadeva la mia mente tutte le notti. Ormai era passato un anno e ancora quelle immagini, quella paura, quel dolore s'impadronivano di me lasciandomi tremante in un lago di sudore.
Guardai la sveglia asciugandomi la fronte con il dorso della mano e vidi che erano le sette di mattina. Faceva caldo, eravamo agli inizi di giugno, avevo finito la scuola da due giorni.
Mi alzai lentamente, il dolore alla spalla si faceva sentire ogni mattina. Presi gli antidolorifici sul comodino e ne mandai giù due. Ero seduta sul letto ancora sudata e con un forte mal di testa. Ogni mattina il mio sguardo finiva dritto sul mobile di fronte a me: era una scrivania color legno con quattro cassetti. Sopra c'erano tutti i miei vecchi trofei, le mie vecchie medaglie. Dopo l'incidente volevo gettare tutto, ma mia madre insistette per tenerli lì, con la buona intenzione di spronarmi a ricordare i bei momenti, ma quegli oggetti dorati mi ricordavano ciò che avevo perso, le emozioni che non avrei mai più provato, il mio migliore amico ridotto ad uno straccio.
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Born To Fight
General Fiction"Dopo una caduta è sempre difficile rialzarsi, ed è lì che capisci che salendo su questi animali, rischi la vita, ogni singolo secondo"