Capitolo XVI

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"Arianna?"

Afferro distrattamente un lembo del piumone e mi nascondo sotto le coperte, affondando la testa nel cuscino. Ha quel soffice profumo di ammorbidente e di lenzuolo appena lavato.

All'improvviso, mia madre si avventa sull'interruttore ed io stringo forte gli occhi per proteggerli dal repentino cambio di luce.

"Sei ancora a letto? – esclama esasperata. – Alzati subito, è tardissimo!"

"Che ore sono?" chiedo, sprofondando ancora di più.

"Mancano venti minuti alle sette."

Io balzo fuori dal letto con l'agilità di un gatto. "Come? E perché non mi hai chiamato?"

"Ti ho chiamata, sei volte" ribatte lei.

Spalanco la porta del bagno, mi lavo, mi pettino e infilo rapidamente i vestiti preparati la sera prima.

"Ah, oggi non ci sono a pranzo" annuncia dalla stanza accanto.

"Di nuovo straordinari?"

"Mi dispiace" risponde, notando la delusione nel mio tono di voce.

"Okay sono pronta" esclamo poco dopo, indossando il cappotto e afferrando al volo lo zaino.

"Non mangi niente?"

"Non ho tempo, mamma. Mangerò qualcosa al bar della scuola."

Mi avvicino per darle un rapido abbraccio.

"Ciao, Ari, buona giornata."

"Anche a te – rispondo, avviandomi verso le scale. – Ti voglio bene."

Fortunatamente, la fermata della corriera non è troppo lontana da casa mia. Solo cinque minuti a piedi, ma posso impiegarne tre se accelero il passo. Esco dal cancello di casa mia e svolto a destra verso la strada adiacente, dopodiché prendo la scorciatoia attraverso il parco. Da piccola giocavo spesso qui, con i miei compagni di classe delle elementari. Passavo interi pomeriggi con loro, all'aria aperta, a giocare con la neve d'inverno e a nascondino o a guardie e ladri d'estate; le sfide di coraggio sull'altalena, il castello fin da allora già mezzo distrutto che diventava all'occasione un veliero pirata, una nave spaziale o una grande villa con piscina, e le infinite partite a pallone e i tornei di racchettoni. A casa non restavo praticamente mai: uscivo non appena avevo finito di pranzare e rientravo all'ora di cena. Dopo essere entrata nella squadra agonistica, non c'è più stato tempo di uscire a giocare come una volta, e a causa di questo ho perso di vista quasi tutti i miei compagni di gioco. Ripensandoci, a volte rimpiango quei tempi infantili, senza pensieri e senza preoccupazioni, ma poi mi viene in mente la mia squadra e le sensazioni che il nuoto ha saputo donarmi e capisco che la mia è stata la scelta migliore che potessi fare.

Entro in un vicolo e poco dopo raggiungo la strada principale, arrivando a destinazione. Alla fermata, un gruppo di sei o sette ragazzi attendono infreddoliti e stanchi il pullman che li porterà in città verso una nuova e noiosa giornata di scuola.

Qualche minuto più tardi, la corriera, già stipata di persone, si ferma davanti a noi e fa salire a bordo; in poco meno di mezz'ora di tragitto raggiungiamo la stazione. Al primo passo giù dal mezzo, un soffio di aria gelida mi investe, facendomi rabbrividire. Mi stringo nel cappotto, sistemo la grossa sciarpa sul collo, attraverso il piazzale e mi dirigo verso i portici. Se il bar all'angolo non fosse ancora chiuso, avrei fatto colazione qui, anche perché le brioches a scuola non sono affatto un granché ma è l'unica cosa che preparano di commestibile e che non costa una cifra.

Giungo a scuola relativamente in fretta, entro dall'ingresso principale e scendo a grandi passi nel seminterrato, accompagnata dai lamenti del mio stomaco. Al bancone ci sono solo due ragazze e mi avvicino a una delle due.

Il cloro: la nostra drogaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora