Capitolo XIII

679 24 2
                                    

Lunedì. Un'altra settimana di scuola è appena cominciata e già aspetto con impazienza il week-end di gare.

Ultima ora di matematica e poi per oggi fortunatamente ho finito. A partire da questa settimana, tra l'altro, daremo inizio a una tirata di venti giorni con almeno una verifica e due interrogazioni non programmate al giorno. Perché si sa, i professori non sanno organizzare il loro tempo: spiegano, spiegano e accumulano materiale per andare avanti il più possibile con il programma e poi arrivano a due settimane dagli scrutini di fine gennaio che sono senza voti, e allora iniziano disperatamente a raccogliere i voti necessari e ad improvvisare delle verifiche di recupero, che puntualmente saranno più difficili di quelle normali. Per fortuna, in matematica sono stata fra i primi ad essere stati sentiti, e ho anche recuperato il quattro della volta scorsa. Posso dormire per quest'ora, ha ancora un paio di persone da interrogare.

Suona la campanella della fine della seconda ricreazione e prendo posto al mio banco. La professoressa, una tipa sulla quarantina, dai capelli corti e scuri e piccoli occhiali rettangolari appesi al collo del maglioncino beige, entra in classe a piccoli passi rapidi. Al suo "Buongiorno, classe" ci alziamo tutti in piedi. La sua camminata ricorda un po' quella di un velociraptor. Da questo, infatti, deriva il suo soprannome.

Il Velociraptor si accomoda alla cattedra e inizia a trafficare con i cavi del computer, mentre gli ultimi interrogati, nel panico, ripassano alla veloce gli ultimi appunti e si confrontano sugli esercizi di compito. Io non li ho nemmeno segnati. Vabbè, non è un problema, se decide di correggerli, lo farà fare a loro.

Qualche minuto più tardi, il Velociraptor annuncia con la sua vocina stridula: "Ho detto che oggi avrei interrogato, giusto?"

La voce timida di una delle mie compagne sedute nell'ultimo banco conferma.

"Allora prima faccio l'appello. Arici?"

"Presente" risponde la ragazza seduta accanto alla finestra.

"Baglioni?"

"Ci sono."

"Baresi?"

Guardo in direzione del banco accanto al mio. Elettra non è ancora entrata. Se non arriva entro trenta secondi, quella la sbrana.

"Non c'è Baresi?"

All'improvviso un forte rumore di passi e la porta si spalanca. "Scusi profe, eccomi!" ansima trafelata la mia vicina di banco.

"Ah bene, stavo già per segnarti assente – tuona, aggrottando le sopracciglia con sguardo severo. – Vai pure a sederti."

Elettra si accascia pesantemente sulla sedia vicino a me. "Non hai idea di che razza di corsa abbia fatto – mi sussurra. – Detesto quella campanella. Neanche il tempo di tirar fuori l'accendino che già è suonata."

Le sorrido e apro il mio quaderno degli appunti per iniziare un nuovo disegno, tanto per passare un po' il tempo. È stata una mattinata pesante, non mi va proprio di stare attenta. Mi interrompo solo per alzare la testa e rispondere "Presente" al mio nome.

"Bene, ora pensiamo alle interrogazioni. Vediamo, l'ultimo argomento è stato le equazioni fratte, giusto?"

Potrei disegnare qualcosa sul nuoto. Tipo un nuotatore che fa il tuffo di partenza.

"Sì, ma le abbiamo solo accennate."

"Averle accennato vale come averle fatte."

Oppure potrei fare un disegno senza senso e vedere poi a cosa somiglia.

"Quindi, sentiamo... Moretti."

O magari...

Come "Moretti"?

Il cloro: la nostra drogaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora