Capitolo XII

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Tornare a scuola dopo le vacanze di Natale è traumatico.

Prima mi alzavo la mattina di buonumore perché sapevo che sarei andata in piscina. Ora mi viene solo voglia di tagliarmi le vene. Non vedo l'ora che arrivi l'estate, non ne posso già più della scuola.

Guardo fuori dalla finestra. Il cielo è coperto da nuvole grigie, sui vetri le gocce di pioggia scorrono veloci verso il basso disegnando piccoli labirinti d'acqua. Non ho nemmeno l'ombrello.
Poso lo sguardo sulla lavagna: solo lettere e numeri accostati senza un senso logico apparente. Vabbè, ci rinuncio.
Fingo di prendere appunti, scarabocchiando segni a caso sul primo foglio a portata di mano, poi concentrandomi nella caricatura del professore. Qualche minuto dopo, mi fermo per osservare il disegno finito.

"Oddio, è uguale" sussurra stupita Elettra, indicando con un cenno il mio disegno.

"Ma no, è sproporzionato. Gli ho fatto le orecchie enormi" rispondo, nascondendolo con il braccio.

"Scherzi? È stupendo! E poi lui le orecchie enormi le ha per davvero."

Soffoco una risata coprendomi la bocca con la mano e le lascio vedere il foglio.

"Ragazze? Avete qualcosa da condividere con la classe?" tuona minaccioso il professore, smettendo di scrivere senza però girarsi per guardarci.

"No, niente" taglio corto, con il terrore che si avvicini e veda se stesso in versione Dumbo.

"Avete qualcosa da condividere con la classe?" mormora in falsetto la mia vicina di banco, con una smorfia sul viso e allargando le orecchie con le dita.

Finalmente suona la campanella delle due e ci precipitiamo tutti fuori dall'aula.
Scendo velocemente le scale ed esco dalla porta principale, riparando la testa dalla pioggia con il cappuccio della felpa. Cammino a passo rapido fino alla fermata, ma l'autobus non è ancora arrivato. Perfetto, mi aspetta una bella doccia fuori programma.

"Anche tu senza ombrello?" compare alle mie spalle Elettra sorridente, con le mani nelle tasche.

"Già – le sorrido di rimando. – Come mai sei qui?"

"Niente corriera oggi, devo andare in centro più tardi e passo in stazione."
"Allora facciamo il viaggio insieme."

All'arrivo della filo, siamo già bagnate come due pulcini. Saliamo sul mezzo dalla porta centrale, cercando di farci spazio a gomitate per raggiungere la parte posteriore dove c'è meno gente.

Elettra scoppia a ridere.

"Che c'è?" chiedo, abbozzando un sorriso incerto.

"Tieni, sistemati quei capelli" risponde, porgendomi un elastico dal polso.

Porto immediatamente le mani sulla testa: i capelli che avevo pettinato con così tanta cura questa mattina sono diventati con l'umidità una matassa intricata e fradicia.

Le strappo l'elastico dalle mani: "Dammi qua, svelta!"

Con movimenti rapidi, lego alla veloce la mia chioma, tra le risate mie e della mia amica.

Qualche minuto più tardi arriviamo in stazione e scendiamo rapidamente dall'autobus in cerca di un riparo dalla pioggia sotto i portici.

"Mi sembra di essermi appena tuffata in piscina" esclamo.

"Non ho fretta di andare – dice Elettra, tentando di asciugare la giacca togliendola e strizzandone le maniche. – Ti va se ci prendiamo qualcosa di caldo?"

Accolgo volentieri la proposta ed entriamo nel solito bar in cui mi fermo ogni tanto per pranzare. Lo stesso bar dove avevo incontrato Daniel quel giorno, prima delle vacanze. Chissà se c'è, magari verrà anche oggi, mi farebbe piacere vederlo. Ma non posso farmi vedere in questo stato, che vergogna.

Il cloro: la nostra drogaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora