Capitolo 1

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Era una notte di tempesta. Il vento sbuffava imperioso, la pioggia scrosciava senza sosta e i tuoni scuotevano la terra.
Mey-Rin era stesa sul suo letto, guardava il soffitto, insonne. Non aveva mai amato i temporali.
Dopo tutto quel che aveva passato aveva iniziato a odiarli.
Per un secondo si chiese se anche Baldroy fosse sveglio, ascoltando i tuoni che parevano spari, magari cercando di rimuovere dalla mente i ricordi della trincea.
D'un tratto il suono del campanello giunse alle sue orecchie, distogliendola per un momento dai suoi pensieri.
Strano, si disse. Chi può mai suonare il campanello a quest'ora della notte?
Scese dal letto e afferrò due pistole dal comodino. Una la nascose abilmente sotto la camicia da notte, l'altra era tenuta saldamente nella mano destra.
Uscì dalla stanza, percorse l'ala della servitù e si diresse in silenzio verso la porta principale. Afferrò la maniglia e aprì lentamente la porta.
Rimase sorpresa da ciò che vide.
Fuori dalla porta vi era una ragazza, non poteva avere più di diciassette anni. Aveva lunghi capelli corvini, bagnati ed appiccicati al corpo dalla pioggia. Gli occhi di un colore particolare, un rosso sanguigno, parevano pieni di lacrime. La pelle di porcellana delicata era coperta di graffi e lividi. Si copriva con quel poco che rimaneva di un abito nero come i capelli.
《Scusami, mi sono persa, potrei avere...》non fece in tempo a finire di parlare che cadde a terra svenuta.

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La pioggia fredda che al contatto col proprio corpo sembrava quasi calda. Il vento che le soffiava in faccia e le toglieva il respiro. I rami degli alberi, i cespugli, che le graffiavano le braccia durante la sua disperata fuga verso la libertà.
Devo andare via da qui.
Questo pensiero le risuonava in mente come un mantra, da quando aveva abbandonato quella casa che per secoli l'aveva protetta.
Il dolore l'afflisse a quel ricordo.
La sua casa, l'uomo che era stato un padre per lei, aveva perduto tutto.
Di nuovo.
Giunse davanti ad una magione, la sua probabile salvezza.
Corse gli ultimi metri che la separavano dalla porta e tirò la corda che faceva suonare il campanello.
Dopo alcuni interminabili istanti la porta si aprì un poco, rivelando una figura dietro di essa.
Disse qualcosa, ma prima di poter finire il buio la avvolse, cullandola nelle sue braccia d'ombra.

Riprese lentamente coscienza, a poco a poco. Prima di aprire gli occhi si prese un momento per analizzare la situazione. Era stesa su una superficie troppo scomoda per essere un letto. Un divanetto forse?
Sul corpo aleggiava un peso, quasi sicuramente una coperta che chiunque le avesse poggiato addosso aveva fatto senza molta attenzione.
Concentrandosi sulla coperta riuscì a sentire le emozioni di chi l'aveva toccata prima di lei. Diffidenza, dubbio, preoccupazione e anche una leggera apprensione. Sensazioni che aleggiavano intorno a lei, leggere come il profumo di un fiore.
Fece spaziare i sensi, per quanto possibile. Si trovava al chiuso, in una grande sala. Un caminetto scoppiettava accanto a lei. Non era sola. Poteva sentire i respiri di almeno tre persone, i battiti costanti di tre cuori.
Aprì lentamente gli occhi, abituandosi a poco a poco alla fioca luce nella stanza.
《Si è svegliata》disse una voce femminile. Una ragazza, sui vent'anni, dai lunghi capelli rosa, che portava sul naso occhiali spessi come fondi di bottiglia, le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla, per aiutarla a mettersi dritta.
Lei si ritrasse prima ancora di venire sfiorata, distogliendo lo sguardo.
《Stai bene? Come ti chiami? Io sono Mey-Rin, loro sono Finnian e Baldroy》. Guardò alle spalle della ragazza e vide due uomini. Il più giovane aveva dei corti capelli biondi e gli occhi verdi. Irradiava curiosità.
L'altro, il più anziano, era anch'egli biondo, anche se di una sfumatura più scura rispetto all'altro, e gli occhi azzurri. Diffidenza fu ciò che le arrivò da parte dell'uomo.
Si prese un attimo per pensare.
Come si chiamava?
Nella sua vita aveva avuto tanti nomi, ma solo uno era quello che le apparteneva. Ed era l'unico che le labbra non avrebbero mai pronunciato. Ne le sue ne quelle di nessun altro.
Decise di capovolgerlo, di cambiarlo così com'era cambiata lei.
《Mi chiamo Lilith. Sto bene, grazie. Cos'è successo?》
《Mi hai chiesto aiuto, ma sei svenuta prima che potessi farti entrare in casa. Baldroy mi ha aiutata a portarti dentro.》 Disse Mey-Rin.
《Ah, prima che me ne dimentichi! Mentre ti portavamo qui ti è caduto questo. Non sapevo se fosse il caso di buttarlo via, quindi...》la ragazza porse a Lilith un nastro rosso cremisi. Lei sobbalzò alla vista dell'oggetto e l'afferrò in fretta, avvicinandolo a sé.
《Grazie mille, Mey-Rin》disse con un minuscolo sorriso dopo essersi schiarita la voce.
《Dite che è il caso di chiamare Sebastian?》domandò Baldroy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
Mey-Rin sobbalzó e sbiancò leggermente all'udire quel nome.
Chiunque sia questo Sebastian deve essere qualcuno da temere, concluse Lilith notando che anche il giovane Finnian sembrava nervoso.
I tre si allontanarono dal divanetto e iniziarono a parlare sussurrando nervosi e lanciando brevi occhiate da lei alla porta.
Nel frattempo Lilith iniziò a guardarsi intorno. Come già appurato in precedenza, si trovava nel salone di una casa signorile. Appeso alla parete sopra al camino vi era un quadro la cui energia stuzzicava i suoi sensi sin da quando aveva ripreso conoscenza.
Il quadro raffigurava una famiglia, un uomo alto, dai capelli corvini, una donna seduta, bionda come il grano, e un bambino dai capelli scuri come il padre.
L'energia di fondo del quadro era allegra, dolce, ma su di esso aleggiava una cortina di energia negativa che lo ricopriva come un manto.
Sono morti. Sono tutti morti tranne uno, il bambino è ancora vivo. Devono mancargli i genitori, ma prova un forte rancore...
Prima che potesse finire il suo pensiero, la porta della stanza si aprì facendo entrare due figure. Una di esse era bassa, con la pelle chiara e i capelli neri. Era il bambino del quadro, o, perlomeno, una sua versione più adulta e meno spensierata.

L'altro era in ombra e Lilith non riuscì a capire chi fosse, ma la sua energia era stranamente familiare, come il ricordo di una ninna nanna sentita nella culla...

《 Che succede?》 domandò imperioso il giovane. Lilith sentì chiaramente la tensione aumentare nella stanza e qualunque emozione fosse stata emanata dai tre personaggi di poco prima fu spazzata via all'istante e sostituita da terrore. Lilith capì che i tre non avevano intenzione di parlare, così prese l'iniziativa.

《 È colpa mia. Ero... qui fuori e visto che pioveva forte ho chiesto asilo, ma credo di essere svenuta... Mi chiamo Lilith, comunque》

《Io sono il conte Ciel Phantomhive. Posso chiedervi il motivo per cui vi trovavate qua fuori, sotto la pioggia, nel cuore della notte?》Lilith ebbe un momento di vuoto mentale: non poteva per nessun motivo al mondo dire la verità al conte, doveva trovare una scusa convincente.

《Io...》cercò di dire, ma prima che potesse aggiungere altro l'altra figura entrata insieme al conte fece un passo avanti, permettendo così alla luce del caminetto di illuminargli il volto. Lilith spalancò gli occhi nel riconoscere quel viso, così simile al suo, incredulo alla vista della ragazza.

Lei, dal canto suo, era nel bel mezzo di un tornado emotivo. Malinconia, tristezza, sollievo, paura, felicità... fu attraversata da queste e altre mille emozioni nel riconoscere l'uomo a cui apparteneva quell'energia così familiare.

fratello...》sussurrò così debolmente da far dubitare che avesse in realtà proferito parola.




Un diavolo di... Cameriera?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora