11 - La terza sosia

115 6 9
                                    

Mi ero svegliato di soprassalto ed in un bagno di sudore. Il sogno si era trasformato in un incubo. Era il giorno prima della festa di inaugurazione nel parco di Fry. Tutte le residenze erano pronte e si attendevano i primi ospiti già in serata.

Durante il giro di controllo, per accertarmi che ogni dettaglio fosse a posto, mi ero fermato a fare pipì nel bagno di uno degli alloggi. Tirato lo sciacquone, il wc si era riempito fino all'orlo e l'acqua era fuoriuscita. Aveva allagato il bagno e poi l'intera superficie del bungalow, fino ad uscire fuori. Allarmato, avevo aperto la porta affacciandomi per chiamare a gran voce, qualcuno che fosse rimasto fino a quella tarda ora in cantiere. Prontamente era arrivato Raul. Un ometto filippino che portava, appoggiata sulle spalle, una mazza da cinque chili. La cosa più insolita, era il modo in cui teneva il manico, sproporzionatamente lungo, agganciato solamente con il mignolo.

La mazza, che sporgeva dietro di lui per una sessantina di centimetri, aveva iniziato a fracassare qualsiasi cosa si trovasse nella sua traiettoria, ad ognuno dei movimenti bruschi di Raul. Gli intimavo di stare attento a questa o quella e lui, girandosi di scatto per controllare ciò che gli indicavo, la frantumava puntualmente.

Aveva distrutto un'infinità di cose, prima che riuscissi a convincerlo ad abbassare ed a cedere quell'arma. Finalmente ero riuscito a parlargli del problema dello scarico e lui, con assoluta calma e tranquillità, mi aveva risposto che tutto era normale, visto che mancava l'intera rete fognaria per tutte le residenze aggiuntive alla main house.

Senza chiedermi come fosse stato possibile commettere una leggerezza del genere, mi ero ritrovato a scavare ansiosamente, a mano, per l'alloggiamento dei tubi. Scavavo con infinita apprensione. Avrei dovuto completare un'immane quantità di lavoro entro poche ore.

Ma era ora di archiviare il sogno.   Mi ritrovavo nella mia camera d'albergo a guardare dalla finestra lo spettacolo che mi offriva l'alba. Alle 12.05 avrei avuto il volo diretto Air France per New York, dal Charles de Gaulle. Prima di entrare nella doccia avevo controllato l'ipad, aggiornando la pagina della posta, già aperta dalla sera precedente. Sessantotto nuovi messaggi. Tra l'immancabile spazzatura c'erano alcune mail interessanti. Quella che mi riguardava maggiormente, in quel momento, era dell'organizzazione del convegno a cui mi preparavo a presiedere una volta arrivato a New York. Mi informava che, per dei danni all'impianto elettrico, causati da un incendio divampato la sera precedente, la hall dove era stato previsto inizialmente, era inutilizzabile. Il convegno sarebbe quindi stato spostato, in un teatro che stava a pochi passi da lì. Tutto il resto, sarebbe rimasto invariato.

Quindi, mi ero infilato sotto la doccia,  ascoltando la mia playlist. Un vecchio pezzo dei Ketama recitava: "No estamos locos... sabemos lo que queremos... viver la vida, igual que si fuera un sueno, pero que nunca termine....". Un pezzo che ho sempre considerato grande, dalla prima volta che mi capitò di ascoltarlo. Lo avevo cantato a squarciagola, sotto la doccia e continuavo a canticchiarlo, qualche minuto dopo, mentre mi recavo nella sala del breakfast. Sosta al banco della reception, per prenotare un taxi per l'aeroporto per le dieci. In attesa del mio turno continuavo a cantare il mio motivo. Un bel tipo che mi passava accanto, si era trovato abbastanza vicino a me da ascoltarmi. Si era fermato  un istante e, voltatosi dalla mia parte, mi aveva guardato con fare curioso. Era un po' cambiato da come lo ricordavo personalmente. Ed anche dalla foto di copertina del cd, quello che mi era passato tra le mani non più di un mese prima. Quella, lo ritraeva con almeno venticinque anni in meno. Ora, era ancora più carismatico di quando lo avevo incontrato vent'anni prima, in una balera di Madrid. Antonio Carmona, il cantante dei Ketama.

– Usted es espanol?   Mi aveva chiesto.

– Medio espanol!   Era stata la mia risposta.

Poi, in quel momento, l'addetta alla reception si era liberata e mi si era rivolta a me per capire come poteva aiutarmi.  In francese, le avevo chiesto quello di cui avevo bisogno. Antonio, che era rimasto lì vicino, aveva continuato:

- Y... medio frances? Imagino...

- Si. Luego tengo tambien una mitad griega y una italiana.

- Nada de ingles?

- Pues, of course!

Mi aveva guardato con maggiore curiosità che non all'inizio. Con una pacca sulle spalle, mi aveva chiesto se avevo giá fatto colazione. Lo avevo preso sottobraccio e ci eravamo spostati nella sala ristorante.

Mentre sono in volo per NY, qualche ora dopo, penso ancora a quell'inatteso e gradito incontro della mattina, ed alla piacevole conversazione che ne è seguita. Mi è sempre piaciuto troppo, quel tipo. Anche se non ricordava nulla del nostro primo incontro. Beh, non è che ci fosse molto da ricordare, per lui. Era naturale che andasse così.

Lui aveva suonato in quel locale assieme alla sua band. Quando si erano avvicinati al bar per bere qualcosa, si era seduto proprio sullo sgabello al mio fianco. Avevamo scambiato qualche parola e poi brindato con uno scontro di bicchieri. Io, per lui, ero stato uno tra i tanti fans. Lui era la celebrità.

Si avvicina la hostes, distogliendomi dal mio pensiero. Mi chiede se ho voglia di qualcosa da bere, sorridendomi. La guardo con attenzione, mentre mi concentro per capire dove l'avessi vista prima. E' incredibile! I capelli sono scuri ed ondulati ma il viso è inconfondibile. E' la stessa donna del mio sogno. La veneziana del '600 e la newyorkese dai capelli rossi. Non riesco a capacitarmi della cosa...

Attacco bottone ed, a più riprese, durante il lungo volo intercontinentale, si ferma a chiacchierare con me. Il timbro della voce non ricorda né l'una né l'altra. Però, il fatto che le altre parlassero lingue diverse ne facilita la confusione. Continuo a fissare i dettagli del suo viso, con curiosità, meraviglia e stupore. Sento di assumere, certamente, una strana espressione. Sto cercando di sovrapporre, le immagini dei ricordi con il profilo della donna che mi sta di fronte.

- Perché mi guardi in modo così perplesso?

Me lo chiede più volte, a distanza di tempo. Non sono propenso a rivelarle il motivo. Non ci conosciamo che da pochi minuti. Non so che idea si può fare, se le racconto una favola del genere...

Poi, visti i toni che la nostra chiacchierata assume, le dico:

- Se mi prometti di venire a cena con me, questa sera, ti rivelo il motivo.

- Ok, con piacere. Starò ferma a New York per tre giorni e, non ho alcun impegno.

Mi lascia il numero del suo hotel ed il suo cognome. Rimando, ovviamente a quella stessa sera, il chiarimento del mistero.

C'é ancora la luce del giorno, quando passo a prenderla in albergo. In attesa che scenda, ordino una spina al bar nella hall. Cogliendomi piacevolmente di sorpresa, mi si presenta alle spalle. Ma, ancora più sorpresa per me, è vederla indossare una camicia bianca con il bordo di pizzo e sopra un giubbino di jeans. Sono sempre più sbalordito, gli stessi indumenti della rossa nel sogno. E ci troviamo ugualmente a New York, bevendo birra alla spina. E lei è una hostess..., anche se non da convegno... . A proposito di convegno... (?) Vabbé, è domani, poi ci pensiamo...

Anche la situazione, non si discosta molto da quello del sogno. Una splendida ragazza, con cui divertirmi qualche giorno. Solo i capelli sono diversi. Avrei certamente preferito l'altra tinta, ma almeno potrò credere di averla provata in tutti i colori. Ma, proprio su quei capelli... e mentre si gira per farsi ammirare lo rivela, vi è legato lo stesso, identico nastrino che teneva legata una ciocca bionda della bella veneziana d'altri tempi. Sono veramente confuso. E' la prima volta, che mi capita una coincidenza del genere tra un sogno e la realtà.

Come promesso, per soddisfare la sua curiosità, le racconto quello che mi aveva già chiesto decine di volte, sull'aereo. Mi guarda per qualche istante e si mette a ridere, sorvolando sull'argomento. Anche il riferimento ai dettagli di abbigliamento, non la convincono a credere ad una sola parola del mio racconto. Preferisce pensarla come una banale ma intrigante messa in scena per strapparle un appuntamento.

Finisce che..., ci facciamo una grossa risata ed usciamo in direzione downtown. Lì, un amico chef mi aspetta a cena nel suo ristorante vegano.


Magnifica serata!




La Logica dei ContrattempiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora