Capitolo dieci

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La notte precedente non avevo idea del come riuscì ad addormentarmi.
Mi sembrava incredibile che non fosse venuto a svegliarmi; anche se era logico dato che il livido sul suo occhio era ormai quasi invisibile.
Mi svegliai con un senso di ansia che partiva dalla bocca dello stomaco. Non era dolore fisico eppure faceva male.
Decisi di saltare la colazione.
Dopo aver finito la doccia mi diedi uno sguardo allo specchio. Sembravo un mostro, avevo gli occhi talmente gonfi che sembravano poter esplodere da un momento all'altro.
Pensai che magari truccandomi avrei potuto sistemare la situazione ma non avevo alcuna voglia,volevo solo che la giornata si affrettasse a dare il cambio alla notte.
Non volevo vederlo, cosa avrei potuto dirgli infondo? Ero ancora troppo scossa per la notte prima per poter anche solo vederlo, oramai ero abituata ai suoi soprusi.
Ma quella era la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Dovevo solo pazientare qualche giorno all'arrivo di Derek e gli altri e poi tutto sarebbe passato,almeno per quel piccolo lasso di tempo.
Mentre ero intenta a pettinare i capelli sentii il mio telefono squillare per segnalarmi un messaggio.
Appoggiai la spazzola dirigendomi verso il telefono.
'Giorno piccola' era da Derek.
Sentii una morsa di delusione leggendo il nome del mittente. Speravo appartenesse ad un altro.
'Giorno Derek' digitai velocemente. Ributtando il telefono sul letto, poco prima che potessi voltarmi il telefono squillò di nuovo.
'Hai due minuti?' Rimasi perplessa leggendo quel messaggio.
'Certo ma perchè?' Inviai il messaggio.
Pochi secondi dopo petto una telefonata, a momenti rischiai di lanciare il telefono in aria.
Dopo averlo ben saldo tra le mie mani sbloccai e risposi.
"Derek dimmi" esclamai.
"Hey buongiorno Diana, volevo solo sentirti" ridacchiò lui.
La sua risata mi provocò un sorriso.
"Di mattina così presto?" Chiesi.
"È illegale forse?" Esclamò lui ironico.
"Non essere sciocco" ridacchiai.
"C'è forse qualcosa che non va?" Chiese lui preoccupato.
"No... No va tutto bene" esclamai forse con un po troppa enfasi.
"Sembri assente piccola" aggiunse.
"Eh che è tutto nuovo" ammisi.
"Capisco il college deve essere un bel casino".
"Più che altro i suoi studenti" puntualizzai ironicamente.

-Harry's pov-
Parcheggiai la macchina.
Dio odiavo venire qua.
La gente qua non ha nulla a che fare con me cazzo.
Entrai nell'edificio, quel posto era talmente deprimente e spoglio, le pareti bianche e i dipinti grigi non aiutava il posto, figuriamoci le persone al suo interno.
Arrivai davanti alla porta, alla stessa porta di quando avevo sette anni.
Bussai più volte finchè una donna di media altezza con i capelli raccolti dietro la nuca aprì la porta.
"Harry, entra" disse facendomi entrare e chiudendo la porta alle sue spalle.
Mi sedetti sulla sedia davanti alla scrivania in legno allargai le gambe e incrociai le braccia.
La donna si sedette dall'altra parte della scrivania, si sistemò gli occhiali e iniziò a fissarmi come faceva sempre.
La cosa mi faceva girare i coglioni.
"Lo odio,sai?" Grugnì.
"Lo so" ammise lei.
"E allora per che cazzo lo fai sempre?" Chiesi.
"I termini harry"mi rimproverò lei.
" è da anni che cerco di farti smettere di usare quei termini" disse.
Sbuffai.
"Harry parlami dell'inizio della scuola" mi sollecitò lei.
"È sempre uguale" ammisi.
"Tutto come prima?" Chiese
Annui.
"Anche i tuoi pensieri sul suicidio non sono cambiati?" Chiese schietta lei.
Odiavo quando iniziava così.
"N-non so" dissi.
Lei era la psicologa che mi assista da quando avevo otto anni.
Mio padre mi dovette portarmi sotto consiglio dei miei educatori preoccupati per il mio cambio di comportamento dopo la morte di mia madre.
È inutile dire che lo trovavo assurdo e umiliante allora ed oggi il mio giudizio non è cambiato.
"Cosa significa 'non so'?"
Mi guardai intorno cercando risposta su quelle pareti spoglie quasi soffocanti.
I pensieri non erano scomparsi persistevano a distanza di anni, sentivo che ero perennemente sbagliato, non avevo idea di cosa volevo dalla vita né se volevo continuare con quella vita.
Ma i pensieri erano diminuiti questo era sicuro.
"Cè una ragazza a scuola..." Ammisi evitando il suo sguardo.
Dio sembravo un cazzo di liceale sfigato così.
"E..." Mi bloccai.
Le parole era come se mi si fossero cancellate dalla testa.
"Come si chiama?" Chiese.
"Diana"risposi.
Lei scrisse qualcosa prima di sorridermi.
"Parlami di lei" esclamò.
Pensai allungo prima di rispondere.
"Lei ha dei capelli lunghi" ammisi gesticolando con le mani.
Ero così a disagio.
"Ha lo sguardo sincero, è anche cocciuta: non capisce mai quando è ora di chiudere la bocca" grugnì infastidito.
"È coraggiosa però, è altruista e dolce" ammisi.
"Che altro?"chiese.
"Ti crea dipendenza" sorrisi pensandoci "nel senso, non fa male anzi, ma non puoi più fare a meno di lei" sussurrai.
Diana non si meritava una persona come me.
Il ricordo della sera prima si fece forte.
Il suo pianto mi riecheggiava nella testa come la musica di un carion dolce ma triste.
Quella sera la volevo.
Avrei dovuto fermarmi.
Farla tornare nella sua stanza.
Ora l'ho persa.
"Questa diana, deve essere importante"
Disse la dottoressa davanti a me.
La guardai e le sorrisi.
"Già" sussurrai portandomi la mano sulla bocca.
È importante. Ma sono un coglione e ho allontanato l'unica persone che sarebbe riuscita forse a portarmi fuori da questo vortice di dolore che è la mia depressione.
Merita qualcuno che sappia farla sentire come una principessa, ma non posso cederla a nessuno.
Diana è la mia principessa che proteggo gelosamente nella mia torre.
Solo io posso averla.

My devil ||H.SDove le storie prendono vita. Scoprilo ora