15. Il litigio

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Rientrato a casa, parcheggiai la macchina nel garage e annunciai la mia presenza in casa a mia madre.
Lei non rispose, così decisi di andare a cercarla. Passando davanti alla cucina, la sentì parlare con qualcuno. Era una voce molto profonda, di una persona che sicuramente non conoscevo. Affacciandomi a guardare attraverso la porta, riuscii a scorgere mia madre seduta ad uno sgabello della cucina, aveva i capelli raccolti e sorrideva. La persona di fronte a lei mi dava le spalle e non potevo scorgerne il viso, sedeva vicino a mia mamma sullo sgabello di mio padre. Provai una strana sensazione di fastidio, nessuno si era mai seduto su quello sgabello da anni, tranne il suo proprietario quando veniva raramente a parlarci, e vedervi sopra uno sconosciuto non mi sembrava giusto. Ma non mi sembrava giusto nemmeno provare quella sensazione.
Entrai nella stanza e salutai mia madre. L'uomo si voltò verso di me, aveva un'espressione felice e il suo sorriso si estendeva anche ai grandi occhi azzurri. I capelli erano neri e corti, sembrava avere la stessa età di mia madre.
Accorgendosi del mio sguardo, l'uomo si presentò porgendomi la mano. - Michael Fisher. Sono un collega di tua madre.
- Matthew, ma può chiamarmi Matt.
- Lo so. Lisa mi ha parlato molto di te.
Spostai il mio sguardo verso mia madre e mi chiesi perché avesse detto a quell'uomo qualcosa su di me.
- Perché è qui? - gli domandai.
- Stiamo finendo un progetto - rispose mia madre al posto di Michael.
I due stavano bevendo una tazza di te e chiacchierando, sul bancone non c'era traccia di progetti. Glielo feci notare.
- È tutto nello studio, Matt. Stiamo solo facendo una pausa - mi rimproverò mia madre.
Annuii. Forse ero stato un po' acido con loro, ma quella faccenda mi puzzava. Li salutai entrambi e mi rifugiai in camera mia.
Salite le scale e chiusa la porta, lasciai scivolare la cartella per terra e mi sdraiai sul letto. Quindi presi il mio telefono e inviai un messaggio a Thomas e Iris.
"C'è un uomo in casa." scrissi.
"In che senso?" rispose Iris dopo qualche minuto.
"Un collega di mia madre."
"Un collega?" chiese Thomas. "Sei sicuro che sia solo quello?"
"No, per niente. Mia madre non faceva altro che sorridere."
"Dovresti essere contento che si stia rifacendo una vita ora che tuo padre avrà un altro figlio." scrisse Iris.
"Non lo so...lui mi sembra a posto ma..."
"Ma non è tuo padre. Già." Questa volta era Thomas.
"Non ti capisco, tu odi tuo padre. Perché lo rivuoi ancora indietro dopo quello che ha fatto a tua madre?" domandò Iris.
"Non lo voglio indietro...solo che vedere mia madre con un altro non sarà semplice. Non lo è stato le altre volte e quando le storie non sono durate mi sono sentito meglio."
"Sei strano."
"Penso di poterti capire, più o meno. Proverei le stesse cose." scrisse invece Thomas. "Forza, sta sera si va al bowling. Così non ci pensi."
Scrissi che andava bene. I miei amici sapevano sempre come tirarmi su.
Arrancai fino alla scrivania e trovai il cd che avevo riportato a casa dopo essere andato a trovare Charlotte e mio padre. Non lo ascoltavo da più di un anno, così decisi di inserirlo nel lettore. La musica era bella, come sempre. Mi era dispiaciuto lasciarlo lì. Ascoltando la canzone decisi che sarei passato a trovare mio padre ma soprattutto Charlotte più spesso, così sarei potuto stare più vicino a mio fratello. Chissà se sarebbe stato maschio o femmina. Heidi sarebbe stata gelosa. Sorrisi per la prima volta pensando a qualcosa legato a mio padre.

Quella sera, Thomas mi passò a prendere presto. Ad avvisarmi della sua presenza, fu un semplice messaggio che per poco non ignorai, ancora intento a prepararmi, visto il ritardo. A cena, la situazione era stata tesa. Mia madre aveva cercato di cambiare in tutti i modi argomento, ma io avevo deciso di farle domande di ogni genere su Michael. Alla fine lei era riuscita nel suo intento ed io ero andato a cambiarmi, avvisandola che sarei uscito. Mi era sembrata sollevata all'idea che io smettessi di farle domande. Di solito i ruoli erano invertiti. Non sapevo cosa mi era preso quel giorno, ma la stavo sicuramente infastidendo parecchio.
Quando mi chiusi la porta di casa alla spalle, mi lasciai andare in un sospiro di sollievo: con i miei amici non avrei pensato a Michael e alla sua possibile relazione con mia madre.
Thomas mi aspettava fuori dalla macchina e Iris era seduta tranquilla sul sedile davanti. Il mio amico mi batté una mano sulla spalla e mi salutò, poi entrò in macchina e si mise al volante.
- Come va? - chiese Iris voltandosi verso di me e alludendo a mia madre.
- Lascialo stare, Iris. Abbiamo detto che uscivamo per non farlo pensare - disse Thomas tenendo le mani sul volante.
- Tutto bene, non fa niente...c'era un po' di tensione a casa, più che altro a causa mia.
- Tua? - domandò il guidatore.
- Ho fatto qualche domanda.
- Del tipo? - Iris assunse un'espressione curiosa.
- Ho chiesto del progetto che stavano finendo e se interagivano spesso. Poi ho domandato il motivo per cui gli ha parlato di me.
- Gli ha parlato di te? - chiese Iris.
- Brutto segno - disse Thomas.
- Già.
Ci zittimmo tutti e io mi misi a guardare fuori dal finestrino. Dopo pochi minuti, il bosco mi sfilò di fianco, perdendosi in una macchia confusa di alberi e rami. Notai una luce, in fondo, che doveva essere sicuramente artificiale. Forse era una torcia. Immaginai che potesse trattarsi di Isabelle e sua madre e mi chiesi cos'avevano ancora da dirsi.
- Avete visto anche voi una luce nel boschetto? - chiese Iris.
Annuii nonostante non potesse vedermi. - Si.
- Si tratterà della polizia, non hanno ancora scoperto nulla sul morto. Tra poco finiremo in televisione - disse Thomas.
Forse aveva ragione e si trattava della polizia. Di certo era molto più plausibile data la litigata tra le due donne.
La macchina continuò a correre in direzione del bowling. Era un edificio abbastanza grande, a pochi kilometri dalla nostra città ed era facile raggiungerlo in una quindicina di minuti. Aveva un'enorme insegna che si illuminava con numerose luci al led gialle e rosse e tutti i muri erano colorati di quell'ultimo colore.
Thomas parcheggiò la macchina davanti all'entrata ed io e Iris corremmo dentro senza aspettarlo.
Una volta che fummo arrivati davanti al banco che distribuiva la scarpe, ne chiedemmo tre per partecipare. Il signore al banco, un uomo barbuto con un cappellino con la scritta "bowling", ci consegnò le scarpe con i nostri numeri e ci squadrò da capo a piedi. Thomas comparve dietro di noi e ritirò le sue.
Ci appoggiammo su delle piccole panchine per poter indossare le scarpe e io me le infilai in pochi secondi. Alzai la testa, per vedere a che punto erano i miei due amici e sentii qualcuno che chiamava Thomas. Lui si voltò in cerca della voce e Iris mi lanciò il tipico sguardo di chi vuole infastidire il prossimo. Capì subito quello che voleva fare e la osservai mentre si chinava e allacciava le scarpe di Thomas in un unico fiocco. Quando lui tornò a girarsi affermando che probabilmente stavano chiamando un suo omonimo, Iris fece una risatina.
- Che hai? - chiese lui.
- Niente. Andiamo. - Si alzò.
Thomas fece per seguirla e, dopo aver provato a fare un passo, cadde a terra. Scoppiammo tutti a ridere, lui compreso.
- Siete dei bastardi. Lo sapete, vero?
- Lo sappiamo - dissi.
Iris si chinò e gli stistemò i lacci, poi lo aiutò ad alzarsi.
- Forza andiamo - dissi tirandoli.
Raggiungemmo le piste da bowling e iniziammo a giocare. Thomas ed io adoravamo quel gioco perché Iris era una schiappa. Buttava giù un birillo alla volta e ad ogni turno diceva che il prossimo sarebbe andato meglio. Sembrava convinta. Thomas invece faceva strike tutte le volte, quasi non c'era gusto a giocare contro quei due. Sapevo che Thomas sarebbe arrivato primo, io secondo e Iris terza, ma non mi importava, ero felice di essere lì con loro. Iris mi sarebbe mancata così tanto. Quel problema mi sembrava così importante che guardandola ridere con Thomas mi dimenticai di mio padre, di mio fratello, di mia madre e Michael. Per poco non dimenticai anche Elizabeth. Per poco. Lei era sempre nella mia testa.
Poco prima che la partita fosse finita, un inserviente si mise a pulire il pavimento dietro di noi. Dopo esserci assicurati che i risultati fossero come avevo predetto, Iris si voltò per tornare a ridare la scarpe e scivolò sul pavimento. Thomas si precipitò a prenderla per controllare che stesse bene ma lei stava ridendo.
- Ma continui a ridere oggi? - chiese.
- Ho male alla caviglia.
- E ridi?
Annuì.
Thomas si mise il suo braccio dietro le spalle e la aiutò a rialzarsi. Li raggiunsi e mi misi alla sinistra di Iris, aiutandola a camminare.
Lei continuava a ridere.
- Tu sei pazza! - esclamò Thomas.
Ci appoggiammo alle panchine e le tolsi le scarpe.
- Sarà solo una storta - disse.
- Non lo so, non ci so fare. - Thomas mi guardava preoccupato.
- Okay, andiamo in pronto soccorso.
- No, non ci voglio andare.
- Non comportarti come Thomas! - esclamai.
- Dai Matt, non ho niente.
Sbuffai. - D'accordo. Thomas rimettele le scarpe e poi cambiamoci anche noi, non possiamo fare un'altra partita con lei che si regge a mala pena in piedi.
Thomas fece come gli avevo ordinato e poi tornammo a tenere Iris per le braccia, trascinandola fino alla macchina.
- Vi voglio bene, ragazzi - disse.
Quella fu l'ultima sera in cui avrei potuto definire Iris e Thomas con la semplice parola "amici".

Elizabeth Lane  [sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora