3. Capodanno

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A Natale riuscii a dimenticarmi di quello che era successo per un po', ma la mia spensieratezza non durò per molto. Due giorni dopo Natale vidi Elizabeth attraversare la strada dove si trovava casa casa mia. Corsi giù dalle scale prendendo un giubbotto a caso e appena superai il mio giardino mi misi a urlare il suo nome finché lei non si girò.
- Cosa vuoi? - disse scontrosa.
Era così diversa dal ballo in maschera e dal giorno in cui l'avevo trovata nel bosco. Ora i suoi occhi non erano felici e non chiedevano aiuto, volevano che me ne andassi e la lasciassi in pace, covavano rabbia e terrore.
- Ti ho trovata in un bosco ricoperta di sangue! Cosa credi che voglia? - la guardai dritta negli occhi che, per la prima volta, mi accorsi fossero verdi.
- Ti ho detto di dimenticare tutto!
- E come faccio a dimenticare?
Si voltò e inizio a camminare nella direzione opposta. Ma io non intendevo lasciarla andare. La segui finché non passò di fianco ad una via deserta, quindi la presi per un braccio e la trascinai dentro.
- Lasciami! - Cercò di divincolarsi - Lasciami! - urlò.
Un uomo che passava di lì si fermò a vedere quello che stava succedendo e, dopo uno sguardo fugace per assicurarsi che non mi stessi approfittando di lei, se ne andò.
Era la prima volta che riuscivo a vederla per bene, senza luci colorate a confondermi e senza le sue mani sul viso. I suoi occhi verdi erano enormi, così grandi e belli che sembravano mostrarle l'anima. Aveva delle piccole labbra sottili e molto rosse che avrebbero corrisposto alla descrizione di quelle di Biancaneve. I capelli, raccolti in una treccia bionda, erano dello stesso colore del cugino, più scuri sul capo e più chiari in basso, ma ero sicuro fossero naturali questa volta.
- Che cosa credi di fare? - domandò Elizabeth.
- Voglio sapere cos'è successo! - le dissi tendola ancora per un braccio.
- E pensi che te lo dirò? Non ti conosco neanche! E tu non conosci me, non conosci i miei problemi.
- Oddio - mormorai.
- Cosa?
- Sei quel genere di ragazza? Odio quando la gente passa la vita a lamentarsi dei propri problemi. I problemi non si risolvono lamentandosi - dissi sicuro.
- Se mi sono lamentata è stato perché tu non ti fai gli affari tuoi.
- Hai ucciso tuo padre? - chiesi non curante di quello che mi aveva appena detto.
- Io non ho un padre.
- E allora perché parlavi di lui l'altro giorno?
- Smettila! Non ti deve importare niente di me, continua a vivere in pace la tua vita e scordati di me. Era meglio che non venivo a quello stupido ballo - si lamentò. - Lasciami andare. - Mi guardò dritto negli occhi e andò via, lasciandomi solo con l'aria invernale che circolava libera in quella via deserta.
Aveva ragione, avrei dovuto farmi gli affari miei, eppure c'era qualcosa che mi diceva di non lasciarla andare.

- I guanti! -
Non appena chusi la porta, mia mamma mi comparve davanti con il regalo di Natale di Iris e si mise a sventolarlo.
- Scusa mamma, ero di fretta.
- Chi era quella ragazza? - chiese.
- Chi? - Feci il finto tonto.
- Sei corso fuori di casa come una furia, credi che non me ne sia accorta? - Non aveva tutti i torti.
- Era la cugina di Thomas - spiegai.
Mi lanciò uno sguardo di chi crede di saperla lunga e tornò in cucina.
- Perché fai quella faccia? - chiesi.
- Perché nessuno corre in strada così, di punto in bianco, solo perché ha visto la cugina dell'amico.
- Avevamo una faccenda in sospeso.
- Una faccenda da risolvere in un vicolo? - Alzò un sopracciglio. Odiavo quando lo faceva.
- Be' si - Alzai le spalle proprio mentre il mio cellulare cominciava a squillare, così lo presi in mano e mi allontanai dalla cucina per rispondere.
All'altro capo del telefono c'era Chuck. Io e Chuck ci conoscevamo da anni, quasi cinque, da quando eravamo diventati compagni di squadra, certo, forse non si poteva definire propriamente una squadra, ma per noi era così. Facevamo nuoto entrambi da quando avevamo sei anni. Amavo l'acqua e il nuoto era il mio mondo, sott'acqua mi dimenticavo tutte le mie preoccupazioni ed ero libero. Io e Chuck avevamo un rapporto strano, più che un amico lo consideravo un fratello, un fratello molto rompiscatole.
- Matt che cosa pensi di fare? - disse l'altro senza assicurarsi nemmeno che ascoltassi.
- Riguardo a cosa? - domandai.
- A 'sta sera!
- Ah, e perché? - Ero confuso.
- È l'ultimo dell'anno! - rispose agitato, immaginavo che dall'altro capo del telefono avesse già un petardo in mano - Andiamo a fare casino.
- Io passo.
- Sei davvero noioso.
- Vado al pub con i miei amici, se vuoi venire.
- Poi andiamo a fare casino? - Sapevo che ad una risposta negativa non lo avrei visto fino al riprendere dei corsi.
- Se insisti - mormorai.
- Perfetto! Sono da te alle nove! - E chiuse la conversazione senza neanche farmi replicare.

Elizabeth Lane  [sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora