Capitolo IV: Tyler

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15 gennaio 2007

"Guardia! EHI, GUARDIA!"
Una goccia cadde sul freddo pavimento della cella, l'ennesima.
Nessuna risposta.
"Cazzo, fottuto sbirro, vieni qui o sei troppo obeso a forza di mangiare ciambelle glassate per muovere il tuo culo grasso!?"
Una voce impastata dalle guance cicciotte non esitò a rispondere.
"Cos... come ti permetti?!"
Il suono dei pesanti passi dell'agente gigantescamente grasso rimbombavano lungo le bianche pareti della sezione di massima sicurezza del carcere di Göteborg.
Un corridoio che sembrava infinito: un'altissima galleria tubolare illuminata esclusivamente dalle luci gialle pendenti dal soffitto, una dolce curva che scivolava sulla sinistra, mentre sulla destra si alternavano le porte blindate che separavano i detenuti dalla libertà.
Per terra, sulla destra si allungavano grate di freddo metallo che lasciavano trapelare le immagini dal piano inferiore e quello inferiore ancora, mentre sulla sinistra, sotto alle aperture per l'esterno, un laccato pavimento di linoleum bianco faceva scivolare solo a guardarlo.
Fuori dalle finestre coperte da sbarre, un gelido vento stava ululando, travolgendo ogni singolo fiocco di neve che gli capitasse a tiro, facendo gemere, scricchiolare e cigolare le grondaie ghiacciate, da cui pendevano lunghe stalattiti congelate.
In pratica, una bufera di prim'ordine stava impazzando all'esterno, rendendo impossibile una visuale chiara e nitida anche a solo mezzo metro di distanza; la luce diffusa della luna veniva travolta e mischiata a quelle meno potenti dei riflettori appesi all'esterno.
Al contrario, il taser, il manganello e la pistola di ordinanza erano al sicuro, legate alla cintura del grassone, e ballonzolavano a causa della sua andatura ondeggiante; l'agente era infuriato per gli insulti ricevuti, anche se essi non erano del tutto fasulli.
Quella massa di lardo vestita di blu mentre camminava quasi scivolò sulle grate bagnate dall'acqua gelida che continuava a fuoriuscire, molto copiosamente, dalla fessura sotto la porta della cella di T.
Forse ti starai chiedendo che razza di nome sia T.
Be', è il soprannome perfetto per un hacker ventitreenne.
Perdonami, sto divangando come al solito!
Comunque, il rappresentante della legge - che per comodità chiamerò Omino Michelin - si rese conto perché T stesse sbraitando furiosamente appena fece scorrere verso destra il pesante sportellino - anch'esso bianco, come il resto della porta - coperto di grate che permetteva la comunicazione dei detenuti con l'esterno.
Anche se la piccola fessura non permetteva una veduta completa di tutta la stanza, si notavano chiaramente litri e litri del liquido necessario ad ogni essere umano per sopravvivere intenti a sgorgare da una tubatura arrugginita posta sul soffitto della cella dell'hacker, che stava imprecando in diverse lingue mentre tentava di chiudere la falla con un maglione.
Almeno una trentina di centimetri di acqua gelida invadevano la cella, lasciando un segno evidente su tutte e quattro le pareti grigie: la tv, il water ed il misero tavolo quasi galleggiavano nell'angusto spazio della cella.
Il suo completo da penitenziario di color arancione sgargiante era inzuppato dall'acqua, che lo faceva aderire al fisico scolpito del giovane; la stessa sorte era toccata ai capelli, infradiciati e dunque pendenti verso il basso.
L'espressione sulla sua faccia era quanto di più infuriato si potesse trovare sulla terra: sopracciglia corrugate, denti digrignati e occhi ripieni di odio per la mancata manutenzione del complesso.
Di certo non lo biasimo: durante il freddo gennaio svedese vorrei vedere chiunque mantenersi calmo mentre una conduttura preistorica riversa del liquido gelido dentro la tua "casa".
Omino Michelin capì la situazione, e, con uno sguardo preoccupato, si sbrigò ad aprire la porta della cella 427.
Dopo aver estratto il suo badge personale, lo passò sulla serratura, che, scattando con un suono secco - quello di una porta che non viene aperta da molto tempo, fece ritrarre i grossi cilindri della porta blindata.
La faccia sorridente ed enigmatica di T si stagliava sulla soglia dell'ambiente sbloccato.
Ah sì, la pistola soporifera che T aveva in mano, nascosta dal maglione che fino a pochi secondi prima serviva a tamponare la falla "accidentale" della sua cella, accompagnava il nostro detenuto, facendo un'entrata in scena dignitosamente e sorprendentemente stupefacente.
Grazie al silenziatore applicato sull'arma, lo sparo non venne udito da nessuno, e due secondi più tardi Michelin era a terra privo di sensi.
La persona che a breve sarebbe diventato il primo nella lista dei ricercati svedesi trascinò il corpo svenuto dell'agente nella cella 427 e chiuse la porta, lasciandolo in mezzo al lago di acqua che si andava formando.
"Tsk, il trucco della tubatura funziona sempre.", disse annoiato T.
"Mi sento sempre di più il Morgan Freeman del teatro criminale.", aggiunse mentre salutava le telecamere di sicurezza con un ampio sorriso.
Estrasse un telefono - vietatissimo secondo ogni regolamento penitenziario! - e digitò quello che all'apparenza sembrava numero di telefono, mentre in realtà era un codice per disattivare le telecamere.
Infatti esse crollarono pochi secondi più tardi senza vita, trattenute dal cadere solo dal perno che le legava al muro.
Iniziò a passeggiare per il corridoio addormentando agenti, detenuti, e chiunque gli passasse semplicemente davanti, dunque mise l'esplosivo che gli era avanzato dal lavoretto con il tubo in un cestino incassato nel muro.
Quattro metri più tardi lo fece saltare, azionando tutti gli allarmi antincendio della sezione e aprendo uno squarcio nel contenitore adibito ai rifuti, scuro e incandescente, proteso all'esterno come una serie di tentacoli.
Una piacevole pioggerellina calda lo inondò, riscaldando la sua pelle infreddolita dall'acqua gelida piovutagli addosso, mentre lui passava dal guardarobiere, lasciando la divisa arancione per sempre.
Si rivestì con gli abiti di tutti i giorni; tornava alla vita precedente all'arresto con un "sobrio" completo di pelle nera, comprensivo di stivali e cappello del medesimo colore.
Solo un paio di occhiali neri e un pesante cappotto imbottito di pelo e piume lo separavano dalla versione derelitta e modernizzata dei Blues Brothers.
Uscì dal carcere senza alcun problema, semplicemente camminando e facendo crollare a terra tutti coloro che si opponevano alla sua "uscita anticipata", di tanto in tanto ricaricando i colpi e facendo cadere a terra i caricatori utilizzati con ostentata nonchalance.
Prima di uscire, si infilò dei particolari occhiali, una cuffia e dei guanti, quindi spinse con violenza il portone tecnologico che sbarrava l'uscita dal penitenziario verso il suo cortile, e il gelido freddo della bufera lo accolse come ritorno alla libertà.
A stento i potenti fari bianchi del penitenziario illuminavano la notte glaciale, provando a sondare il terreno nella ricerca del detenuto fuggitivo, ed ovattate erano le sirene e gli altoparlanti che ripetevano la stessa frase, "Detenuto 427 evaso. Detenuto 427 evaso. Livello pericolosità: Omega. Massima priorità. Tutte le altre considerazioni secondarie.", come in una litania delle forza dell'ordine, e lontani erano le grida e gli ordini delle squadre speciali, che provavano a catturare T durante un inferno di ghiaccio.
T non aveva di questi problemi: nonostante il vento urlasse nelle sue orecchie come un pazzo isterico e tagliasse il suo viso come un cuoco taglia le cipolle, lui vedeva tranquillamente dove stesse andando grazie ai suoi già menzionati "occhiali speciali": un visore munito di realtà aumentata che gli copriva gli occhi.
Gli sembrava di guardare con i bulbi oculari di un altro: la strada era diventata sgombra dalla neve e da ogni altra cosa che ne impedisse una visuale chiara, tutto era visto come durante una giornata di calda estate.
Ovviamente aveva pensato anche all'enorme quantità di forze della polizia che sarebbe stata dispiegata, iniettando nella rete idrica della prigione una traccia chimica inodore, insapore, incolore ed innocua, ma che, se illuminata con un particolare tipo di raggi ultravioletti - quelli che irraggiava la maschera - rilasciava una chiara scia giallo intenso.
Così sapeva dove fossero gli agenti anche se non poteva vederli: era guidato dalla sua brillante invenzione attraverso cancelli, porte di sicurezza e chilometri di filo spinato.
Chi avrebbe mai immaginato che questa tecnologia sarebbe poi stata venduta all'esercito, e quindi successivamente rilasciata alla popolazione civile?
Ovviamente non si preoccupava dei codici e delle password che provavano a fungere da timidi ostacoli alla sua fuga; il suo programma di patch portatile era in grado di sbriciolare la protezione informatica del Cremlino.
Se non fosse stato impegnato a seguire le direttive della sua invenzione avrebbe visto migliaia di uomini determinati vanamente a catturarlo, con i laser dei fucili e le luci delle torri, insieme a quelle di emergenza che lampeggiavano, totalmente spianati, mentre i muri bianchi e brinati della prigione assistevano alla più grande evasione nella storia della Svezia.
Insomma, nel giro di una ventina di minuti era uscito dalla prigione senza essere visto né sentito.
Inoltre, T aveva persino previsto un piano per prendere tempo: a debita distanza, schiacciò un pulsante, e in un istante saltò in aria l'intero deposito delle armi dei poliziotti, in una sfera d'inferno che, con il suo botto esplosivamente e distruttivamente apocalittico, fece fermare per un attimo il cuore anche ai soldati più coraggiosi.
Detriti ovunque, spazzati lontano da un'imponente onda d'urto, si alternavano agli sguardi stupiti dei poliziotti e ammirati degli altri detenuti.
Ebbene sì, Tyler Ronson era evaso.
E stava per tornare all'opera.
Infatti, la prima cosa che fece, una volta essersi riposato a dovere dopo la grande evasione effettuata la notte precedente, il giorno successivo si collegò al suo computer, conservato per anni nascosto dietro alla cassa del water del suo internet café preferito.
Finalmente tornava a digitare righe e righe di codici di colore verde acceso, ben protetto dietro al suo schermo dalla polizia che già una volta lo aveva scovato.
Bastardi agenti in incognito, si infiltravano dappertutto!
Si camuffarono come hacker principianti vogliosi di imparare, quindi, dopo aver ottenuto la fiducia di T, gli riuscivano ad estirpare le informazioni più svariate: password, metodi di hacking, IP di varie backdoor installate nei luoghi più svariati della rete, indirizzi di decine e decine di siti del deep web.
E, pochi mesi più tardi, dopo chiusure su chiusure di innumerevoli account, siti e portali di scambio, si arrivò all'arresto di T; venne scortato nel carcere di Göteborg, dove subito si fece rispettare e temere.
E quel giorno aveva una data molto particolare - 15 gennaio 2002.
A quella data che gli era balenata in mente T sorrise: era stato condannato a 10 anni di reclusione, ma si era stufato ben presto della prigione.
E, dopo cinque anni, durante i quali aveva ottenuto quintalate e quintalate di informazioni su chiunque, rigorosamente annotate sul suo quadernino rosso sbiadito, riutilizzò un vecchio piano di evasione di un suo amico: si fece procurare dai suoi sottoposti l'ANFO, la pistola a dardi soporiferi, un calendario degli orari delle partenze e degli arrivi dell'aeroporto lì vicino, un pannello antiproiettile ed un detonatore.
Quindi mise in atto il suo piano: sistemò la piccola quantità di esplosivo necessaria a far aprire una falla nel tubo di acciaio arrugginito, si mise al riparo dietro il pannello antiproiettile e quindi fece detonare il tutto; nessuno sentì nulla a causa del frastuono dell'aereo che stava atterrando e lui ne uscì totalmente illeso.
Quindi si preparò per la messinscena con l'Omino Michelin, ed il resto della storia ormai è entrata nella memoria delle evasioni più epiche.
Tyler scosse un attimo il cranio, e ritornò alla realtà: riprese in mano il suo portatile e, dopo ancora qualche minuto di hacking sui server della polizia svedese ed europea - sui quali scrisse ovunque la frase "Coglioni, venite a prendermi!", lo spense.
Lasciò la mancia al tavolo del "Wi-Fi Cafè" a cui si era connesso, quindi, eludendo facilmente i cordoni di protezione ed i posti di blocco stanziati in tutta la città con un'ampia dose di falsi avvistamemti, si diresse verso la stazione più vicina e prese il primo treno per la sua città natale, Stoccolma.
Mentre aspettava sulla banchina, lesse chiaramente sul display dove venivano mostrati gli orari di arrivo dei treni la frase "Hey T, complimenti per l'evasione!".
Il suo cuore mancò un battito, la sua faccia sbiancò e gli parve di crollare a terra.
Un millisecondo più tardi, gli orari erano tornati normali, con i pallini rossi che slittavano sullo sfondo nero.
T non voleva crederci: qualcuno lo aveva rintracciato.
Qualcuno aveva appena rintracciato lui, Tyler Ronson!
Per un attimo credette di aver avuto un'allucinazione.
Ma subito dopo, ecco gli orari mutare di nuovo in lettere: "Sì, parlo proprio con te! Proprio tu che sei appena evaso..."
Ora ne era certo, qualcuno lo stava osservando.
Si guardò intorno furtivo, e notò una telecamera di sicurezza che puntava proprio verso di lui.
Dopo aver nuovamente constatato che nessuno lo stesse guardando, fece il dito medio all'indiscreta macchina da ripresa e aspettò la reazione, guardando il solito display.
Infatti esso non tardò a trasmettere l'ironico messaggio del suo padrone: "Su Tyler, sorridi, sei solamente in Mondovisione!".
T, fregandosene delle altre persone lì intorno, estrasse la Glock che aveva in tasca, e svuotò l'intero caricatore sull'ammasso di pixel.
Bam, bam, bam, bam e bam; cinque colpi di fila fecero sprizzare scintille e pezzi di vetro ovunque sul terreno, quindi il monitor cadde a terra, distrutto.
Soddisfatto per aver finalmente fatto tacere la silenziosa voce che lo assillava senza parlare Tyler sorrise, squadrando superiormente i frammenti crollati a terra, ancora fumanti.
Nel mentre, la gente correva via impaurita, nascondendosi e gridando terrorizzata di chiamare la polizia e l'esercito.
T non fece una piega: reinserì la pistola nel fodero, sputò sui pezzi del monitor non del tutto frantumati, salutò con la mano la telecamera e si apprestò a prendere il treno ipermoderno appena arrivato sul binari, con il solito stridio di freni ed i soliti fischi e sbuffi.
Nel momento esatto in cui T si accomodò al suo posto "prenotato" su Internet e accese il suo computer, pronto a connettersi alla rete del treno, lo stesso partì velocissimamente, piratato dal famoso programma portatile di hack.
Qualche ora dopo, nel riflesso del vetro T vide una cosa decisamente poco piacevole.
Un'intera squadra di cattura, vestita con completi antiproiettile e armata fino ai denti, stava avanzando verso il treno su camion blindati.
Un'imprecazione uscì dalla bocca dell'hacker, che chiuse violentemente il computer e si spiaccicò contro il sedile, nella speranza di non essere notato.
Dopo un primo momento di smarrimento, T corse nella toilette del treno e si chiuse dentro, riflettendo sul da farsi.
Sicuramente gli agenti avrebbero fatto fermare il convoglio e sarebbero saliti sul treno, quindi urgeva una soluzione, e anche rapidamente.
Non avendo niente che gli passasse per la mente, Tyler provò a cercare l'ispirazione nei pochi oggetti che si trovavano dentro al piccolo bagno.
Spesso le idee geniali gli venivano così!
Beh, la toilette non offriva moltissimo: uno specchio, un piccolo lavandino, un water putrido e... una grata.
Sì, una grata che conduceva sul tetto del treno.
Un pugno la fece volare in alto, aprendo uno stretto passaggio per la sommità del vagone ferroviario.
L'aria entrò prepotentemente nel piccolo ambiente, portando con sé un suono simile a quello di uno schiocco di frusta; T, usando come appoggio il WC ed il lavandino, si arrampicò fin fuori dalla stanzetta.
Incredulo e allo stesso tempo terrorizzato, si aggrappò con tutte le sue forze al perno dedito al trasporto elettrico - connesso con i cavi soprastanti a svariate migliaia di volt, sperando solamente di non morire sbalzato dal treno, viaggiante alla velocità supersonica di oltre 300 chilometri all'ora.
Il vento fischiava accanto a lui, tentando di strappargli dalla mano il portatile, e una pressione incredibile lo teneva incollato al tetto coperto di vernice arrugginita e sbiadita; le nocche, strette con forza intorno al gelido metallo del pantografo, stavano lentamente diventando bianche, dato che ormai il sangue non circolava da tempo nelle mani, tantomeno nel resto del corpo: la mente ed il cuore erano troppo occupati a pensare "Sto-Per-Morire" per far circolare il sangue regolarmente.
Nonostante ciò, pian piano T prese confidenza con quella strana sensazione che lo avvolgeva, ed il suo pensiero rivolto alla sua prematura dipartita si trasformò gradualmente in "Se-Lo-Fa-Bond-Posso-Farlo-Pure-Io"; fu così che l'hacker che provava a fuggire da un nemico che lo stava per braccare si alzò in piedi sul tetto del treno.
O almeno ci provò, in quanto poi le leggi della fisica lo atterrarono nuovamente - e dolorosamente - sul vagone, con una piccola variazione di crollo: schiena invece di faccia.
Questa caduta lo fece desistere da provare a somigliare agli stuntmen di Hollywood, e, mentre pensava fra sé e sé "Dannatissime-leggi-fisiche", il treno iniziò a decelerare impercettibilmente, fino a bloccarsi del tutto.
Tyler sbiancò nuovamente.
Non tanto per la consapevolezza di avere alle calcagna una quarantina di agenti che lo stavano cercando sul treno, ma bensì per colpa un enorme dirigibile che stava passando sopra di lui a nemmeno settanta metri di altitudine, con tanto di megaschermo sul lato, mettendo in mostra queste esatte parole: "Hey T, sei per caso in difficoltà?".
Trascurando l'evidente ironia di colui che pilotava il gigantesco pallone di elio, prese il suo computer e, dopo aver aperto il suo solito piccolo programmino di patch, entrò senza fatica nella rete del dirigibile scrivendo direttamente sul computer principale dello stesso una breve ma coincisa risposta: "La mia situazione di difficoltà è inversamente proporzionale al tuo senso dell'umorismo."
Gli sembrò quasi di sentire qualcuno ridere, lassù; quindi una lunga scala di corda piombò sul treno; sempre cercando di non venire sbalzato via, afferrò il primo piolo che gli capitò a tiro, ed in breve stava volando, tenendo con una mano il computer e con l'altra l'unico suo appiglio alla speranza di non precipitare al suolo.
Quindi la scala iniziò a salire, arrotolata da un argano rumoroso; qualche minuto di risalita, e T era a bordo.
Sì, non era di certo a conoscenza del tipo che pilotava il dirigibile, né conosceva le sue intenzioni; perlomeno era fuggito dalla polizia.
Con molta cautela, e la mano tesa sulla Glock, si avvicinò alla plancia di comando.
Si trovò davanti una futuristica sala di controllo, con schermi olografici e tastiere fluttuanti ovunque, accompagnati da varie voci elettroniche che, in diverse lingue simultaneamente, esponevano i molteplici parametri dell'ambiente circostante: temperatura e pressione interne ed esterne, altitudine e coordinate geografiche erano solo alcuni di essi.
Una voce profonda rimbombò nella stanza.
"Ciao, Tyler."
Si voltò.
La Glock cadde a terra, slittata fuori dal controllo delle mani dell'ex detenuto svedese.
Un debole imprecazioni aprì la strada ad uno stupito: "E chi se lo aspettava questo."
Ormai saprai già cosa ti posso dire: 3'000'000'000.

(((((((Angolo dell'autore)))))))
Hey! Dai commenti tratti dai capitoli precedenti credo di aver capito che la storia è di vostro gradimento, evviva!
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, in ogni caso ditemi cosa ne pensate, se trovate errori, assurdità, paradossi ecc. ecc...
Vi voglio inoltre ringraziare per le 500 visualizzazioni passate! Vi adoro <3
Se il capitolo vi è piaciuto, votate, commentate e condividete!
Un saluto elettronico dal vostro TTTRiky!

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