Capitolo VII: Hugo [Parte 1]

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15 gennaio 2007

"...fra le altre cose inutili e fastidiose, il caricamento è lentissimo! Non userò mai più la vostra applicazione sul pc!", recitava l'infuriata mail di reclamo di un cliente scontento.
La risposta suonava più o meno così:
"Gentile cliente, grazie per la Sua segnalazione davvero inutile. Ci ha fatto molto divertire ricevere una mail tanto stupida quanto esilarante: succede raramente un accadimento del genere.
Lei è liberissimo, caro utente, di utilizzare una qualsiasi altra piattaforma per la visione di filmati - ammesso sempre che esistano.
In caso di risposta negativa, La invitiamo pure a crearne una Lei!
La avvisiamo che, a quanto dicono i dati raccolti dai nostri sondaggi casuali effettuati dai nostri server, la Sua connessione ad Internet, con velocità massima pari a 4,27 kb/s, non è sufficientemente rapida per riuscire a visualizzare un video nella sua interezza anche con la peggiore qualità.
Le ricordiamo inoltre che l'applicazione da Lei menzionata è creata appositamente per gli smartphone di nuovissima generazione, e che quindi non funziona assolutamente sul buon vecchio amico ordinateur: come Lei abbia fatto ad installarla sul Suo computer sarà un affare di cui si occuperà il procuratore cui è stato affidato il Suo caso di download illegale; entro domani arriverà un agente a requisirLe il computer nella sua totalità.
A titolo puramente informativo, Le alleghiamo tutte le accuse a Suo carico e le relative pene pecuniarie e/o detentive in cui Lei incorrerà, insieme al modulo di controllo e check - up che il migliore dei nostri tecnici ha compilato dopo aver completato l'upgrade alla nostra ultima versione, che Le permetterà di visualizzare e caricare addirittura clip della lunghezza di oltre 5 ore ad una nuovissima straordinaria qualità di 1080p.
La ringraziamo per i soldi e la pubblicità che Lei ci porterà perdendo il processo,
Il Team di YouTube."
Hugo rilesse più volte la mail e, dopo almeno altri cinque minuti di grasse risate, decise che era ora di pranzare e prendere un minuto di pausa insieme ai suoi colleghi della grande azienda.
Erano tutti molto tesi per le critiche che avrebbe potuto ricevere la nuova versione del neonato YouTube - posti di lavoro di migliaia di persone potevano essere a rischio a causa anche di una sola recensione negativa; Hugo lavorava da settimane alla nuovissima interfaccia grafica, ed era stato lui ad avere l'idea di introdurre un nuovo tipo di qualità, quasi identica alla "definizione" che gli occhi ricevevano dalla realtà.
Quindi, se questo aggiornamento - pubblicizzato come non mai - fosse risultato un fallimento, Hugo sarebbe stato il primo dei licenziati.
D'altro canto, però, erano ormai mesi che si favoleggiava sull'acquisizione da parte del collega Big G, colosso connazionale dell'informazione e della ricerca, e di certo un feedback positivo avrebbe "dato una spintarella" alle trattative in stato di quiete: la cifra che il motore di ricerca per eccellenza era disposto a spendere per comprare YouTube era decisamente esorbitante.
Si capirà quindi l'evidente aria di tensione che si respirava nei pressi di San Bruno: passare qualche minuto insieme ai colleghi avrebbe giovato di sicuro ai nervi tesi e stressati di Hugo.
Si diresse verso l'area ristoro, una grande sala dotata di ogni tipo di buffet: indiano, italiano e svedese erano gli ambienti culinari più apprezzati.
La disposizione di ogni oggetto all'interno del grande complesso era molto particolare: ad esempio, attorno all'ampia sala quadrata che ti descriverò dopo, correva sui lati nord, est e ovest un corridoio sulle tonalità del beige, corteggiato sulla destra da colorate porte correlate di targhetta gialla con il nome dell'inquilino della stanza o della delegazione di server e illuminato da flebili luci gialle incastonate come gemme nel soffitto e da ampie finestrone sulla sinistra che riflettevano la luce bianca dei futuristici lucernari da cui filtrava la bianca purezza immacolata della luce quotidiana eventualmente sostituita da alcune calde e pendenti luci; esso era sovrastato da un corridoio esemplarmente identico, a sua volta sovrastato da un altro corridoio perfettamente fotocopiato: la cosa si ripeteva per cinque alti piani, i cui corridoi terminavano con una scala che conduceva ai livelli sottostanti. Questi grandi finestroni, di cui due rappresentanti lambivano ogni muro, erano posti in modo da permettere di sbirciare le pietanze servite ai tavoli sulla sinistra, giusto per far venire l'acquolina in bocca anche ai più rigidi vegani.
Hugo salutò i suoi colleghi attraverso il vetro, scese quattro rampe di scale e si addentrò in quello che era il suo luogo preferito in tutta l'azienda.
Lo sarebbe stato ancora per poco, giusto per puntualizzare.
Spalancando le due porte che segnavano la fine dell'ultimo corridoio, gli si parò davanti la solita visuale del lungo bancone e delle cibarie più disparate e deliziose poste su di esso, mentre sulla destra si stagliava imponente il distributore di ogni genere di liquido, ansioso di ricevere bicchieroni da riempire fino all'orlo; sulla sinistra invece il suo sguardo continuava a seguire il percorso per i vassoi dei banconi fino ad arrivare al rosso maniglione antipatico e alla sua padrona verde sgargiante, totalmente in accordo con il parco ampio e rilassante alle sue spalle, separato dalla stanza solamente da una serie di ampie vetrate.
Il sorriso dolce e amorevole delle simpatiche e spigliate cuoche settantenni lì presenti a servire unito al profumino invitante risultato della miscellanea di tutti i gustosi odori che aleggiavano sopra i piatti avrebbero potuto aprire il cuore di chiunque, figuriamoci quello sensibile e estroverso di Hugo; dopo aver preso la propria porzione di cibo, si voltò e rimase nuovamente colpito dall'enormità della stanza: cinque piani di finestre e corridoi simmetrici si erigevano sulla sinistra, sulla destra e di fronte al grafico e programmatore francese, con la sola eccezione di uno spazio maggiore fra un'apertura e l'altra della parete centrale per fare posto ad una materializzazione in plastica colorata del logo della multinazionale e della mancanza di una finestra sulla destra a causa della larghezza forse eccessiva dell'uscita di emergenza.
Tornando con i piedi per terra, ben saldi sulla moquette morbida e setosa, una distesa di tavoli, poltroncine, viveri e persone che chiacchieravano si impresse nella memoria di Hugo, ma, appena seduto in quella specie di imbuto di luce, ecco la stessa sorpresa che la prima volta lo aveva fatto sobbalzare: di fronte appariva improvvisamente un gigantesco megaschermo, lungo una decina di metri e alto cinque, che mostrava l'homepage di YouTube con alcune statistiche a lato (utenti connessi, ore di video visualizzate, computer raggiunti e cose così), come se fosse un enorme computer appeso alle travi di metallo del soffitto; la sua particolare posizione rendeva tanto impossibile la sua vista appena entrati nella sala quanto piacevole e stupefacente la sua entrata in scena una volta accomodati.
Hugo, dopo aver reso il suo stomaco felice, si mise a scherzare e a parlare con i suoi colleghi, che lo accoglievano sempre con un sorriso ampio e gioviale.
E Hugo ricambiava, felice di avere qualcuno con cui parlare, nonostante fosse stato assunto da poco dal colosso dei filmati.
Perdona la mia distrazione, torniamo a quel pranzo: discussero insieme di molti argomenti - perlopiù di tematiche trattanti il mondo dell'informatica; commentarono inoltre il nuovo megaschermo sostitutivo installato da poco sopra le postazioni per il buffet, e di come la schermata iniziale di YouTube desse vitalità e senso di appartenenza alla stanza altrimenti triste e cupa.
Al confronto, i piccoli televisori posti ai lati del fratello più grande, recanti vari telegiornali in varie lingue, sembravano delle monete da cinque centesimi all'interno di Fort Knox.
Mentre tutti mangiavano e non si curavano dell'ambiente circostante, qualcosa di molto peculiare accadde.
Una cosa di certo non traducibile in una serie di 0 e 1, di sì e no, di acceso e spento.
Un Imprevisto.
Il megaschermo fissato alle travi di metallo, proprio quel grande televisore e i suoi scagnozzi più piccoli che sembravano così ben fissati - sembravano - grazie ai loro perni di supporto, così sicuri di loro stessi e forse fin troppo superficiali nel loro lavoro, stavano crollando.
Crollando nel nero abisso dei glitch.
Di punto in bianco, il gigantesco pannello partì per la tangente: per iniziare emise qualche debole crepitio, giusto per non rubare la scena agli amici fischi e sibili che lo seguirono subito dopo ad attirare l'attenzione dei presenti. Mentre i due televisori di supporto cambiavano canale da soli, lo schermo centrale decise di invertire i colori della pagina, trasformando i riquadri dei vari video in lapidi di uno spettrale cimitero abbandonato, ma pochi secondi più tardi cambiò nuovamente idea: come uno stilista di alta moda che deve decidere a quale modella mettere un determinato costume, si inculcò nella scheda madre che il bilancio colore non andava bene.
E, aiutato da una piccola finestrina levatasi con la stessa grazia del Sole al mattino, diede inizio ad una serie di "Math.Random" che non voleva assolutamente nascondere, modificando di continuo i toni prima vermigli della barra delle impostazioni: verde, blu, giallo, persino un fucsia fluorescente passò per di lì.
Quindi si spense improvvisamente, come se si preparasse per il secondo atto; nel frattempo, i due schermi ausiliari intrattenevano il pubblico con un gioco di crittografia che si concluse con un ciclo di "Please Stand By" in stile anni '30.
Nel nero lucido degli schermi spento si riflettevano decine e decine di facce stupite e perplesse dei programmatori più disparati, piuttosto sorpresi di quel fatto così inusuale.
Non un singolo bisbiglio si sentiva svolazzare nell'aria, non un singolo insetto osava emettere il suo docile rumorino, non un singolo server, dall'alto della sua potenza di calcolo, si permetteva di lanciare un timido avvertimento riguardo al tremendo attacco cibernetico in corso.
Persino le vecchiette dietro al bancone smisero di servire da mangiare con quei lunghi mestoli e si tolsero la retina dai capelli, come se ciò potesse far succedere qualcosa che desse la spinta necessaria alla situazione per uscire dalla staticità creatasi poco prima.
Tutti gli occhi erano puntati sul megaschermo, nero come la pece.
Un sonoro e violento sparo riportò tutti alla realtà, infrangendo le speranze illuse di un miracolo elettronico e una buona dose di pixels al centro dello schermo, appena ripresosi e in fase di reboot.
Gli esseri umani lì presenti ricevettero l'immagine del proiettile calibro 50 passato da parte a parte dello schermo - con tanto di relativo buco rotondo e scheggiato - con gli occhi, la trasmisero sotto forma di dati tramite i nervi ottici al cervello, che, velocizzatosi e affinatosi con quintalate di adrenalina fornite dalla tensione, la reinterpetò in immagine, decodificandola in una serie di informazioni: lo schermo era nero, la giornata era soleggiata, la crepa si stava espandendo, le cuoche non sorridevano più ed il muro di cemento dietro al megaschermo aveva lo stesso foro rotondo del predecessore.
Nello stesso istante, i recettori posti nel naso captarono all'interno del respiro necessario alla sopravvivenza un forte odore, mai incontrato prima d'ora: allarmati, richiesero insistentemente un aiuto dal controllo centrale, che per un lungo attimo mise da parte il problema evidenziato dall'immagine per occuparsi di un'altra rogna.
Dopo un'attenta analisi, i neuroni emisero il loro verdetto: presero in prestito dai colleghi della Sezione Memoria un vecchio frammento di film trattante la tanto inusuale quanto discussa tematica dell'odore della polvere da sparo e, basandosi su di esso, conclusero che si trattava proprio di questa sostanza.
Il cervello, insospettito ma prudente, prima di ordinare a qualunque muscolo una qualsiasi mossa, richiese una verifica al Reparto Udito e alla Divisione Tatto, i quali risposero non positivamente.
Il Reparto Udito riferì di un suono molto doloroso per il rilevatore T.M.P.N. tramite il seguente rapporto, stilato dai migliori componenti del progetto Arìa:
"Suono pericoloso per le orecchie, rilevati oltre 170 decibel. Si presume che sia inoltre pericoloso per il resto del corpo, data la probabile origine da arma da fuoco. Fortemente consigliato fischio di compensazione e movimento #3'938'393'020 [dita nelle orecchie]."
Letto il rapporto, il cervello non sapeva più che fare: spero vivamente in una smentita dalla Divisione Tatto.
Purtroppo, il rilevatore di ultimo modello P.R.S.S.N. proruppe in un evidente e plateale 'gasp!': aveva avvertito un rapido movimento d'aria di forma tubolare nelle vicinanze della testa.
Da qualche parte nei luoghi più oscuri e reconditi del corpo, Mr. S. Sixth urlava a pieni polmoni qualcosa come "Ma che cazzo fa quell'incompetente del cervello fate subito azionare i quadricipiti e dirigetevi il più lontano possibile da qui"; purtroppo, non essendo a tutti gli effetti un Senso vero e proprio, non godeva di molta credibilità.
Molto più in alto, il cervello era in palla.
Lunghi sguardi pieni di riflessione e ponderazione rimbalzavano fra lui, il Neurone Capo e il Rappresentante Cellulare, totalmente indecisi sul da farsi.
Era o no una situazione di pericolo?
Far partire o no i quadricipiti?
Emanare o no l'Allerta Alpha?
Il tempo passava e i tre corpuscoli più importanti dell'intero corpo umano ne erano coscienti: una decisione andava presa, e in fretta.
Un altra sessione di sguardi seguita da un'uniforme cenno della testa dei tre, ed il cervello si avvicinò a grandi passi ad un bottone rosso, guardando a lungo la scritta in rilievo "Allerta Alpha - Solo in caso di Emergenza" e, dopo un respiro profondo, lo premette.
Un allarme insistente iniziò a suonare, strillando ai quadricipiti, alle braccia e agli occhi che dovevano mettersi in moto.
Il comando elettrico corse lungo i binari neuronali, arrivando come un espresso in perfetto orario alla stazione preposta: le palpebre si chiusero, strizzandosi spaventate, le braccia si alzarono sulla divensiva e i quadricipiti spostarono il corpo verso il tavolo più vicino sotto al quale gettarsi.
Ecco che tutte le menti della sala, quella di Hugo compresa, nel piccolo lasso di tempo che separava il primo colpo dal secondo si preoccuparono solamente di mettersi al riparo.
I vetri del quarto piano si sbriciolarono, facendo piovere i loro piccoli frammenti molto più in basso, mentre i colpi si susseguivano senza sosta: il megaschermo si era ormai trasformato in uno scolapasta.
Le vetrate degli altri piani e quelle sottili del parco, a causa del caos più totale che andava sempre più in crescendo, si trasformarono una dopo l'altra in mucchietti di vetro da buttare nella spazzatura; i tavoli rovesciati e trascinati a mo' di barricata in giro per il cortile di metallo avevano fatto cadere pure i cibi che li sovrastavano: le bevande e i relativi fragili contenitori si spiattellarono al suolo, in un concerto di schizzi e schegge di vetro omnidirezionali che ferivano e infilzavano mortalmente le pietanze precipitanti con loro; i proiettili non risparmiavano nemmeno i lampadari, che iniziarono a crollare a terra crivellati dai colpi.
Chi sparasse o per quale ragione non era assolutamente chiaro; fatto sta che i proiettili venivano espulsi con violenza da un'arma terribile, di cui si notava solamente un pezzo della canna rotante.
Il tremendo e frenetico ritmo degli spari aveva fatto precipitare lo schermo a forza di colpi, mentre la gente si riparava sotto tavoli e sedie per non essere colpita dalle raffiche che non puntavano più allo schermo andato distrutto, ma agli esseri umani lì presenti.
L'odore piacevole delle pietanze era stato contaminato da quello pungente e cruento della polvere da sparo; contaminati erano anche i grandi vassoi su cui giacevano pietanze e pezzi di mattone e componenti elettronici.
Hugo, come chiunque altro si trovasse - suo malgrado - nella stanza, non sapeva né che fare né che pensare: perché mai qualcuno avrebbe dovuto attaccare così pesantemente la sede di YouTube, un social network totalmente pacifico e al servizio del pubblico?
Come risposta vide le tenere vecchiette tirare fuori dal nulla un armeria completa e imbracciare dei kalashnikov per poi iniziare a sparare all'impazzata molteplici raffiche una dopo l'altra contro un nemico che, dopo aver riempito di piombo i crani delle vecchiette, preferì iniziare ad eliminare tutti i testimoni.
I poveracci che provavano inutilmente a fuggire attraverso il parco venivano giustiziati prima solo che potessero raggiungere l'uscita di emergenza; la stanza si stava inesorabilmente trasformando in un cimitero: sangue dappertutto, le vetrate sporche di rosso, corpi distesi a terra con i cuori che non avrebbero mai ripreso a battere, urla disperate, preghiere e facce terrorizzate si alternavano in quella stanza che prima era così tranquilla ed ordinaria.
Lanciò uno sguardo assurdamente solidale ad uno dei suoi amici.
E ricevette in proiettile dritto dritto nella coscia, che la trapassò da parte a parte.
Cacciò un urlo ricolmo di dolore e sofferenza fino all'orlo, uno solo dei tanti all'interno della sala.

"Ma jambe..."

Vedeva, attraverso i litri e litri di sangue che stavano sgorgando dal foro tondo che gli si era aperto nella gamba, i pantaloni strappati, la sua pelle lacerata, i suoi muscoli spappolati, il suo osso frammentato e la sua arteria squarciata.

"Mon Dieu..."

Respirava sempre più debolmente, boccheggiava ormai, e sentiva le forze che venivano sempre venire meno; con le mani, la faccia e il tronco sporchi di sangue, il suo sangue, crollò disteso a terra, e si vide scorrere davanti tutto: la patria, la famiglia, la sua intera vita.

"C'est vraiment ma fin?"

Vide i suoi amici precipitare i verso dei lui, strillare e piangere.

"Please, Hugo, RESIST!"

Poi gli occhi si fecero pesanti, molto pesanti...

"HUGO, STAY WITH US!"

Decisamente troppo pesanti per essere tenuti aperti.

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