6. Mathsaddicted

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«Dovrebbe essere questa,» annuncia Michael, controllando il numero civico accanto al portone della villetta rossa, circondata da un meraviglioso giardino ben curato.

Annuisco, sentendo l'ansia crescere dentro di me. Non è come ciò che provo prima di una gara di nuoto, ma molto peggio. Di certo, la sensazione di pesantezza causata dal bigliettino di Ryan nella tasca dei miei jeans non aiuta.

«Tutto a posto?» chiede e mi accorgo del suo sguardo attento addosso.

«Sì, sono solo un po' agitato,» ammetto, senza aggiungere altro.

Fortunatamente, Michael non chiede ulteriori spiegazioni e si limita a suonare il campanello. Rimaniamo in attesa per qualche istante, prima che ci apra la porta un ragazzo abbastanza alto, dai capelli neri sistemati in una cresta, in contrasto con gli occhi azzurri. Ci guarda confuso per qualche istante, prima che Mikey gli sorrida cordialmente. «Ciao, Ryan, volevamo-»

«Oh, io non sono Ryan,» il ragazzo interrompe Michael prima che possa farlo io. «Sono suo fratello,» spiega poi e il mio amico gli rivolge un sorriso di scuse. Poi il ragazzo si gira verso l'interno della casa, chiamando a gran voce Ryan. «Ci sono due ragazzi che ti cercano,» spiega e pochi istanti dopo la vedo. Non indossa più gli stessi occhiali per i quali la prendevo in giro, ma un paio nuovo, dalle lenti abbastanza grandi e leggermente arrotondate alla base e la montatura nera, che mette in risalto gli occhi celesti. I suoi capelli neri sono raccolti in una coda disordinata e un ciuffo le copre quasi del tutto la fronte, mentre il suo corpo non è più eccessivamente magro come lo ricordavo, ma con le forme al punto giusto.

Mi accorgo di essermi incantato a guardarla solo quando tossisce lievemente, per poi rivolgermi un'occhiata ricca di confusione. Lo stesso fa Michael, ovviamente non credendo che ci fosse una ragazza nella lista, per di più con un nome maschile. Ora che sono passati quattro anni, mi chiedo che cosa dovessi avere al posto del cervello quando la deridevo per il fatto di chiamarsi Ryan. Insomma, che c'entra lei con il suo nome? È stata una scelta dei suoi genitori, non sua. Tra l'altro, era abbastanza stupido anche prenderla in giro per il suo corpo magro, ma ormai non posso tornare indietro nel tempo.

«Come posso esservi utile?» chiede Ryan, per poi fare cenno a suo fratello di lasciarci soli. Lui oppone resistenza inizialmente, ma un'occhiata rassicurante di sua sorella lo convince ad allontanarsi. «Allora?»

«Sono Calum,» dico semplicemente, anche se mi piacerebbe essere qualcun altro al momento.

«Calum?» ripete lei. Apro la bocca come per continuare, ma vedo la consapevolezza farsi spazio nei suoi occhi celesti. «Calum Hood?» chiede conferma e io annuisco. Mi aspetto che inizi ad urlarmi contro tutti gli insulti possibili e immaginabili, invece ci rivolge un piccolo sorriso, per poi aprire maggiormente la porta e invitarci ad entrare. «Tu invece sei...?» si rivolge a Michael, che si presenta con un sorriso smagliante. «Venivi a scuola con noi? Non mi ricordo di te.»

«Oh, no. Calum e io ci siamo conosciuti quando si è trasferito nel mio stesso liceo al quarto anno,» spiega, senza perdere il suo sorriso. A differenza sua, io non trovo un solo motivo per essere allegro, anche perché il fatto che apparentemente non sia arrabbiata con me per quello che ho fatto mi fa sentire davvero uno schifo. Come ho potuto trattarla in quel modo per tre anni, divertirmi a sue spese mentre Ryan si chiedeva cosa ci fosse di sbagliato in lei?

«Posso portarvi qualcosa da bere o da mangiare?» chiede, mentre ci accomodiamo sul divano del salotto.

«No, in realtà non siamo qui per una semplice visita di cortesia,» risponde Michael, dato che io sembro aver perso la capacità di parlare.

«Be', la cosa non mi sorprende,» ribatte Ryan, quasi sovrappensiero, guardandomi e mandandomi un silenzioso messaggio ben preciso: essere cortese non è una caratteristica che mi contraddistingue, per niente. Non posso che essere d'accordo con lei. «Allora cosa... cosa vuoi?» chiede, ignorando per un istante Michael e rivolgendosi direttamente a me. Man mano che passano i secondi riesco a vedere la gentilezza nei miei confronti vacillare e scommetto che il pugno dritto nel suo stomaco è un ricordo ancora ben impresso nella sua memoria, così come nella mia.

Dopo una lunga battaglia interiore, infilo la mano nella tasca dei miei jeans e ne tiro fuori il bigliettino, per poi appoggiarlo sul tavolino tra il divano e la poltrona su cui è seduta Ryan. Il suo sguardo diventa improvvisamente gelido e io capisco di avere appena fatto una stronzata.

«Se ti sei preso il disturbo di venire a casa mia solo per deridere i sentimenti che provavo per te nonostante-»

«No!» la interrompo e lei stringe le labbra in una linea sottile, guardando quel pezzo di carta come se volesse incendiarlo con gli occhi. «Mi dispiace davvero tanto, Ryan. So che delle semplici scuse non saranno mai abbastanza, considerando il modo in cui ti ho trattata per tre anni, ma ero... non ero in me quel giorno,» sussurro, senza bisogno di specificare quale giorno di preciso ed evitando di rivelare cosa mi abbia portato a picchiarla.

La ragazza rimane in silenzio, come per valutare se credermi o meno. Michael, che ha seguito attentamente il nostro discorso senza capire ovviamente una sola parola, decide di intervenire.

«Posso confermare,» dice, annuendo. «Calum è davvero pentito per ciò che ha fatto al liceo e ha paura che qualcuno possa fare qualcosa di stupido per colpa sua, ma tu non mi sembri così sciocca da-»

«Davvero?» lo interrompe, guardandomi sempre negli occhi. «Qualcosa di stupido tipo cosa?»

«Non lo so, ma ho visto un servizio al telegiornale qualche giorno fa e...» mi interrompo, ma lei non sembra intenzionata a farmi continuare: anzi, sembra aver capito proprio tutto.

«Sono abbastanza soddisfatta della mia vita,» dice, infatti. Prima che possa chiederle qualcosa in più, visto che da quattro anni non so nulla di lei, mi precede. «Studio Matematica all'università e nel tempo libero mi dedico alla mia passione per i computer. Tu studi Scienze Motorie, vero?» chiede poi e io annuisco. «Be', mi stupirebbe il contrario: sei nato per lo sport.»

Mi torna ancora una volta in mente il suo bigliettino appoggiato sul tavolino, ma evito di parlarne.

«Tu studi, Michael?» chiede poi e il mio migliore amico sorride, contento di essere coinvolto nella conversazione.

«Studio lingue e civiltà orientali, ma sono un appassionato di scienza.»

Lo sguardo di Ryan si accende. «Davvero? C'è un forum su internet per gli amanti della scienza e si possono conoscere un sacco di persone interessanti,» dice, per poi alzarsi dalla poltrona per prendere un computer portatile da una mensola sulla parete dietro di lei. Alza lo schermo e si avvicina a noi, per poi aprire la pagina di un sito a me molto familiare. «Certo, ci sono anche dei veri e propri idioti, ma io e mio fratello abbiamo aperto un account e ci divertiamo a scommettere con questi utenti sulle cose più assurde. Un certo mgc1995 è convinto di poter creare una qualche forma di vita partendo da un ammasso di indumenti sporchi, vi rendete conto?»

Scoppio a ridere, seguito da Ryan, e mi chiedo come sia possibile che in tre anni non mi sia mai accorto della sua splendida risata e di quanto sia affascinante e divertente come persona. Be', ora persino bellissima.

Michael, invece, rimane in silenzio e so alla perfezione il perché: Ryan è mathsaddicted e con suo fratello lo ha illuso che fosse davvero possibile creare un organismo da qualche calzino puzzolente. L'avevo avvertito, ma lui non mi ha dato retta.

«Penso sia il caso di andare,» dico poi, dispiaciuto, ma scommetto che Michael ha bisogno di stare un po' da solo per riflettere. Infatti, non se lo fa ripetere due volte e si avvia verso l'ingresso della villetta, camminando offeso e impettito come solo lui sa fare.

Ryan afferra il pezzo di carta dal tavolino e me lo porge. «Tienilo tu,» dice semplicemente e io annuisco. «Sai, Calum, sei...» si interrompe, cercando l'esatta parola per descrivermi. Non sembra, comunque, intenzionata a insultarmi.

«Diverso?» chiedo, sperando di averle davvero fatto quest'impressione. Tuttavia, lei scuote la testa.

«No, sei finalmente te stesso,» conclude e io capisco all'istante che Ryan sa che deve esserci un motivo per cui ho picchiato lei e altre persone, anche se non fa domande e si limita a guardarmi con i suoi occhi, così profondi che per un istante ho la sensazione che mi stia scrutando fin dentro l'anima.

Sorrido e lei fa lo stesso, prima che il silenzio diventi fin troppo imbarazzante.

«Allora... ciao, Ryan.»

«Ciao, Calum.»

My Victims || Calum HoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora