Michael torna dall'università prima del solito e, dopo aver sbattuto la porta con la sua solita delicatezza, si avvicina al divano dove io e Mr Darby ci guardiamo da almeno venti minuti senza battere ciglio. Sono certo di conoscere ormai alla perfezione ogni piccolo particolare delle sue iridi gialle, punteggiate di verde.
«Fantastico, vedo che non hai ancora smesso di vegetare,» commenta, sedendosi stancamente accanto a me.
Gli rivolgo una semplice occhiata e rimango in silenzio, sapendo che ribattere sarebbe inutile. In effetti, mi sento uno straccio da giorni e, nonostante mi sia completamente passata la febbre, non sono ancora uscito di casa, quindi cosa dovrei rispondere?
So bene a cosa sia dovuto questo mio stato pietoso, ovvero all'agenda nera posizionata accanto a me, ma non ho la più pallida idea di cosa dovrei fare. Cercare quelle persone e ricordare loro con quale razza di idiota hanno avuto a che fare? O fare finta di nulla, chiudere gli occhi come se non fosse mai successo nulla e ignorare le conseguenze che possono avere avuto le mie azioni?
L'unico modo per prendere una decisione sarebbe non avere proprio una scelta, ritrovarmi costretto a fare necessariamente qualcosa e probabilmente solo Michael può aiutarmi, essendo l'unico a conoscenza dei pensieri che mi tormentano da giorni.
«Calum?»
«Mh?» rispondo semplicemente, facendo capire a Michael che sono disposto ad ascoltarlo.
«So che avevamo deciso di non fare nulla finché non ti fossi ripreso del tutto, ma io ho iniziato a fare qualche ricerca su quelle persone e-»
«Davvero?» lo interrompo, spalancando la bocca. «Cos'hai scoperto?»
Michael sembra un po' sorpreso dalla mia reazione, ma ben presto si schiarisce la gola e si riprende. «Be', sono contento che tu l'abbia presa così, altrimenti mi sarei trovato costretto a ricorrere al piano B e, fidati, non ti sarebbe affatto piaciuto.»
Sarei tentato di chiedergli maggiori informazioni su cosa avesse intenzione di farmi, ma alla fine decido che non ne vale la pena dato che, al momento, sono più impaziente di scoprire l'esito delle sue ricerche.
«Ad ogni modo, ho segnato i nomi delle tue sei vittime, se così vogliamo chiamarle, e dopo varie peripezie e con qualche piccolo aiuto ho scoperto gli indirizzi della maggior parte di loro,» spiega, con un'aria innocente che mi fa capire subito che deve aver fatto qualche stronzata delle sue.
«Cosa hai combinato?»
«Perché pensi che abbia combinato qualcosa?» ribatte, passando subito sulla difensiva, dando la conferma ai miei sospetti. Gli rivolgo uno sguardo che gli faccia capire che pretendo una risposta e lui sospira. «Potrei, ipoteticamente parlando, aver chiesto aiuto a qualche amico che studia Informatica per hackerare gli archivi della polizia e-»
«Tu cosa?!» lo interrompo, sconvolto. Non posso credere che abbia fatto una cosa simile, infrangendo almeno un centinaio di leggi.
«Hey, stai tranquillo. Abbiamo usato uno dei computer dell'università e in cambio ho solo dovuto promettere di organizzare un paio di appuntamenti con qualche ragazza carina,» minimizza, stringendosi nelle spalle e porgendomi un foglietto ripiegato. Deve essere la lista degli indirizzi trovati.
Esitando per qualche istante di troppo, lo afferro e lo sento quasi scottare nella mia mano. «Grazie, Mikey.»
«Non c'è bisogno di ringraziare, basta che posso tornare a dormire tranquillamente,» risponde, con un sorriso, e io capisco di non avere ancora smesso di sospirare durante la notte, rigirandomi nel letto di continuo. «Allora, partiamo con il primo?»
«Adesso?» chiedo, incerto. Diciamo che questa nostra missione mi spaventa non poco, ma dopo tutto l'impegno del mio migliore amico mi sento in colpa a cercare di perdere ancora tempo.
«Certamente.»
Sospiro e, dopo qualche secondo, annuisco, per poi aprire il foglietto ripiegato. Tuttavia, noto subito la mancanza proprio dell'indirizzo del primo ragazzo che ho picchiato e non ha battuto ciglio.
«Manca Mark Yates,» gli faccio notare e lui dà un'occhiata agli indirizzi.
«Oh, giusto. Speravo potessi avere un'idea di ciò che studia all'università così da cercarlo direttamente nella sua facoltà,» spiega, stringendosi nelle spalle.
Abbasso lo sguardo, sentendomi in qualche modo sempre più in colpa. «Be', in realtà credo che lo troveremo domani nel mio vecchio liceo...»
Michael spalanca gli occhi. «Hai picchiato un ragazzo più piccolo di te?!»
«Già. A quei tempi era del primo anno, se proprio dobbiamo essere precisi,» ammetto, mentre lui alza un sopracciglio, costringendomi a spiegare il motivo per cui l'ho fatto. Anzi, a giustificare in qualche modo un atto indifendibile. «Mi aveva rovesciato tutto il suo pranzo addosso! Voglio dire, il sugo della mensa sui jeans nuovi è qualcosa che avrebbe fatto arrabbiare tutti, non trovi?» continuo, accennando una risatina. In questo momento vorrei sotterrarmi, nel bel mezzo del nostro salotto, ma non posso farlo, così come non posso dire veramente a Michael perché ho iniziato a picchiare dei ragazzi. Non ancora, no.
«Sul serio? Dio, Hood, sei proprio una femminuccia!» commenta, tra il disgustato e il divertito. «Comunque sia, meglio così: Cassidy mi aspetta a casa sua e, visto che non c'è quella rompiscatole della sua coinquilina, forse possiamo fare qualcosa oggi,» conclude e io mi rendo conto che avrebbe rinunciato a passare il resto della giornata con la sua ragazza solo per dedicarsi al mio problema. Questo è uno di quei momenti in cui ringrazio il cielo per aver trovato un amico così prezioso, sebbene dedichi il suo tempo libero ad ammassare calzini sporchi per degli stupidi esperimenti. Prima che possa esprimere ad alta voce la mia gratitudine, comunque, Michael apre di nuovo il portone e, dopo un "ci vediamo", esce di casa.
Sospiro e torno ai miei pensieri, sempre più deprimenti ogni minuto che passa. Più che altro si tratta di ricordi, ricordi risalenti a quattro anni fa, quando ho iniziato a dare di matto proprio a causa di una persona in quella dannata lista. Di certo il mio comportamento non era dovuto a Mark Yates, quel povero ragazzino sottopeso che ha avuto semplicemente la sfortuna di trovarsi sulla mia strada durante un giorno di merda. Ricordo alla perfezione il momento in cui la sua pasta al sugo mi è caduta addosso - era piuttosto maldestro - e io l'ho spinto per terra, prima che i suoi occhiali e il vassoio con il resto del pranzo finissero chissà dove e lui diventasse lo zimbello della scuola. Ricordo le risate dei ragazzi più grandi anche di me, visto che mi trovavo solo al terzo anno, e mi sento ancora peggio. Non che quel giorno io mi sia sentito poi tanto soddisfatto delle mie azioni, ma almeno non sentivo addosso l'ansia per le conseguenze a cui avrebbero portato, a differenza di adesso. Il servizio su Meredith Scott mi tormenta ancora.
Mi prendo la testa fra le mani e sospiro ancora una volta, cercando di scacciare altri pensieri che, almeno per adesso, preferirei non affrontare. Per ora posso solo sperare che Mark Yates stia bene o che, comunque, non abbia alcuna intenzione di togliersi la vita.
Con questa speranza, mi alzo dal divano, lasciando Mr Darby piuttosto perplesso, e decido di mettermi a studiare qualcosa perché la laurea in Scienze Motorie non cadrà di certo dal cielo e, forse, posso pensare per una volta a qualcosa che non sia quell'agenda nera.
****
Eccoci qua con il terzo capitolo, dove si inizia a parlare di ciò che è successo quattro anni prima, anche se resta un mistero: perché Calum ha iniziato a picchiare le persone?
Il motivo si scoprirà piano piano e solo verso gli ultimi capitolo sarà esplicitato, ma forse qualcuno riesce ad arrivarci prima hahhah cercherò di intrecciare al meglio le vicende del liceo con il presente e spero di riuscirci e di non confondere nessuno (se qualcosa non è abbastanza chiaro, non esitare a farmi sapere).Bene, ora sparisco, un bacio😘❤
STAI LEGGENDO
My Victims || Calum Hood
Fanfiction«In questi anni hai scritto su un'agenda nera tutte le persone che hai picchiato?» chiede Michael, incredulo. «Dio mio, Hood, sei più perfido e organizzato di quanto potessi immaginare!» esclama poi, fingendo un tono indignato. N.B.: non è propriame...