Ho iniziato a perdere il conto dei giorni che sono passati da quando ho rivisto Ashton Irwin.
Sembrerà assurdo, ma ho il terrore di incontrarlo ancora una volta, vedere la sua palpebra destra battere incessantemente e la pietà nei suoi occhi color nocciola. Perché, sì, quattro anni fa l'ho maltrattato, ma lui mi guarda comunque come se fossi un cucciolo di cane indifeso, bisognoso di comprensione, cosa che mi fa sentire come uno straccio. Non ho bisogno di essere compatito: ho avuto degli atteggiamenti violenti in passato e dovrei essere odiato per questo, eppure nessuna delle persone che ho incontrato fino ad ora - escludendo ovviamente Cameron Bennett - sembra mostrare rabbia nei miei confronti.
Il pugno che mi ha tirato Luke Hemmings qualche tempo fa è stato l'unico gesto in grado di farmi sentire vivo, in qualche modo, ma adesso persino lui mi tratta come se fossimo migliori amici, come se non fosse mai successo nulla, e prova sempre a consolarmi quando mi vede giù di morale o assente, con lo sguardo perso nel vuoto, cosa che accade piuttosto spesso. Sinceramente penso che lui e Michael mi abbiano scambiato per un figlio da proteggere o qualcosa di simile.
Ryan non fa che chiedermi scusa per non avermi avvertito prima della morte di Cameron e per averlo poi fatto in maniera tanto brusca, come se ci fosse davvero qualcosa di cui scusarsi. Non ci siamo più visti da quella sera, sentendoci solo per telefono, e devo dire che provo sentimenti contrastanti a riguardo: da un lato vorrei correre da lei, sapere qualcosa in più sulla morte di Cameron Bennett o semplicemente guardarla studiare ancora una volta, ma dall'altro ho paura dei suoi occhi color ghiaccio, della pietà che potrei trovarvi dentro.
Mark Yates invece... non ho idea di come stia andando avanti la sua vita, ma se solo ripenso alle parole che mi ha rivolto tempo fa mi sento male, davvero. Come può essermi sul serio grato per avergli fatto credere che la violenza sia l'unica soluzione nella vita?
Mi sento un mostro e per questo non voglio tornare da Ashton, sapendo che il suo unico intento è quello di parlare di quattro anni fa, di ciò che mi ha portato ad assumere un atteggiamento imperdonabile, e che in un modo o nell'altro finirebbe per dirmi che mi capisce, che sono giustificato. Ma io so che non è così. Ho odiato con tutto me stesso l'uomo per cui ogni cosa è iniziata, l'uomo che ha picchiato mia sorella con la scusa della gelosia, e diventare come lui è la cosa più disgustosa che potessi fare.
Tuttavia, la famosa piccola carie ha iniziato a farsi sentire, specialmente quando mangio qualcosa di particolarmente gradito, e so che non posso ignorare ancora a lungo l'invito di Ashton Irwin a vederci di nuovo: il dolore è sempre più insopportabile, ma, soprattutto, glielo devo. Perciò eccomi seduto sulla poltroncina nera di una piccola sala d'attesa, mentre un terribile odore di alcol misto a dentifricio alla menta mi fa venire il voltastomaco. Non riesco a frenare la mia gamba sinistra dal dondolare, mentre il piede destro batte sul pavimento con impazienza, e mi ripeto che ho sbagliato a venire qui, che dovrei lasciarmi Ashton Irwin alle spalle e passare direttamente all'ultima persona sulla lista, la persona più ripugnante che io abbia mai conosciuto.
«Chi è il prossimo?»
La voce di Ashton giunge alle mie orecchie, distraendomi dai miei pensieri e impedendomi di lasciare la stanzetta e tornare a casa, come probabilmente mi sarebbe venuto in mente di fare nel giro di cinque secondi, non di più.
Mi guardo intorno e mi accorgo che siamo rimasti solo una signora ed io. La donna mi guarda e sorride, per poi dire ad Ashton che è arrivata dopo di me, così lui finalmente nota la mia presenza. Si irrigidisce visibilmente, così provo a protestare e cedere la precedenza all'altra paziente, temendo che il tic nervoso possa tornare a fare visita all'occhio destro del dentista, ma non riesco a convincerla, così mi trovo costretto a seguire Ashton nella solita stanzetta dove l'odore di alcol è ancora più intenso. Mi accomodo sulla poltrona reclinabile senza fiatare e Ashton mi studia, sembrando un po' confuso.
«Come mai sei tornato?»
«Per quella carie,» rispondo, provando ad accennare un sorriso e fallendo miseramente. Vedo un'espressione di pietà farsi spazio sul suo viso e, prima che possa dire qualsiasi cosa, lo precedo. «Mi era sembrato di capire che volessi parlarmi l'ultima volta che sono venuto, così ho pensato...» lascio in sospeso la frase, ma lui sembra intuire comunque cosa intendessi.
Sospira e, come immaginavo, mi rivolge uno sguardo ricco di comprensione che riesco ad accettare solo perché non comprende il tic nervoso all'occhio. «Come stai, Calum?»
«Come sto?» chiedo di rimando, confuso. «Era questo che volevi chiedermi?»
«Be', sì. Non penso sia un caso che tu sia venuto proprio da me: ci sono innumerevoli dentisti in tutta Sydney.»
Lo guardo negli occhi, costringendomi ad affrontarli, e rimango qualche istante a chiedermi come riesca a capirmi con tutta questa facilità, proprio come ci era riuscito quattro anni fa, quando cercava di farmi capire che la violenza non avrebbe risolto nulla. Avrebbe dovuto fare lo psicologo, non il dentista, e io avrei dovuto ascoltarlo.
«Avevi ragione, Ashton,» dico semplicemente e lui capisce subito a cosa mi riferisca, senza bisogno di ricordare quel giorno in biblioteca. «Il mio modo di sfogare la rabbia per quello che stava attraversando la mia famiglia era sbagliato, del tutto insensato, e io vorrei tanto averlo capito prima di iniziare a picchiare delle persone senza motivo,» sussurro, mentre la sua palpebra inizia a sbattere in maniera innaturale e io mi sento quasi morire dentro. Il ricordo di quel momento lo tormenterà in eterno, lo so, e per me non sarà molto diverso. Una persona fragile come Ashton non meritava di certo un trattamento simile - nessuno lo merita - e farei di tutto per tornare indietro nel tempo e fermarmi dallo scaraventarlo a terra con violenza, per poi gridargli addosso senza un minimo di ritegno, ma non è possibile. «Vorrei averlo capito prima e non solo adesso, che mi ritrovo a ricercare le persone che ho picchiato con la speranza che nessuno abbia la più vaga intenzione di fare qualcosa di sconsiderato per colpa mia. Tu come stai, Ashton?»
Ashton rimane in silenzio per qualche secondo, prima di sorridere. «Bene. Sto davvero bene: tra qualche mese mi sposo.»
«Dici sul serio? Chi è lei?»
«Claire Wright. Frequentavamo lo stesso corso di letteratura inglese, ma abbiamo iniziato a uscire insieme dopo il diploma e... ora aspettiamo una bambina.»
Faccio di tutto per non mostrare la mia incredulità, ma dalla risata di Ashton direi che non ci sono riuscito.
«Non so perché te l'ho detto, penso che nemmeno ti importi.»
«Sì che mi importa, Ashton. Sono davvero felice per te, solo... non mi aspettavo che potessi sposarti e diventare padre così presto,» ribatto, pensando ai pochi anni di differenza che abbiamo. «Sono felice per te, Ashton,» ripeto e lui sorride.
«Dai, occupiamoci di questa carie,» dice poi. Mi fa aprire la bocca e indossa dei guanti in lattice. «Sei invitato, se vuoi venire.»
La saliva per poco non mi va di traverso e vorrei rispondere con un "che cosa?!" piuttosto acuto e poco mascolino, ma Ashton non mi permette di farlo, avendo infilato in mezzo ai miei denti vari attrezzi raccapriccianti, e penso l'abbia fatto di proposito.
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My Victims || Calum Hood
Fanfiction«In questi anni hai scritto su un'agenda nera tutte le persone che hai picchiato?» chiede Michael, incredulo. «Dio mio, Hood, sei più perfido e organizzato di quanto potessi immaginare!» esclama poi, fingendo un tono indignato. N.B.: non è propriame...