Joy si definiva una ragazza uguale a tante altre, una di quelle che non avresti notato nemmeno in un piccolo gruppo.
Lei era così. Invisibile.
Avrebbe voluto essere qualcosa di più, ma non ci riusciva. Quando era piccola si descriveva come una piccola peste dai capelli lunghi e biondo cenere - l'unica cosa che le piaceva di lei -, gli occhi verde acqua, le labbra sottili e un corpo né troppo magro, né troppo grasso. Portava spesso gli occhiali da vista, soprattutto a scuola, ascoltava qualsiasi tipo di canzone e il suo cibo preferito era la pizza.
Anche se con gli anni la sua mentalità era cambiata e probabilmente non avrebbe parlato della pizza nella sua descrizione, Joy restava una ragazza semplice, così semplice da venire dimenticata dal resto dei suoi coetanei, a scuola. Non sentiva di avere nessuna dote speciale per essere notata.Era una tiepida mattinata di gennaio quando la signora White venne contattata dall'ospedale del suo paese.
Devonne, la madre di Joy, aveva aspettato per settimane quella telefonata, non perché la volesse ricevere davvero, ma prima sarebbe arrivata, prima avrebbe saputo qualcosa.
E quel qualcosa, comunicato con la voce fredda e distaccata solo di chi non può capire, le colpì il cuore frantumandolo in mille pezzi.
Non era pronta all'evidente, non voleva crederci.
Andò in camera della figlia, che stava ascoltando musica agli auricolari, e la scosse. Poi l'abbracciò aggrappandosi a lei con tutte le sue forze.
Joy ricambiò l'abbraccio, senza capire la sua scenata improvvisa.
«Mamma, che ti prende?» mormorò, quasi spaventata.
Sua madre la guardò negli occhi, i suoi erano lucidi e rossastri.
Non trovava le parole giuste.Devonne White aveva quarantasei anni, i capelli corti e scuri, e tante rughe sul viso dai lineamenti ancora dolci. Le erano spuntate le occhiaie da un po', da quando a sua figlia era crollato il mondo addosso.
«Ti piace la tua vita?», chiese improvvisamente a Joy, ricomponendosi quel poco che bastava a tranquillizzare l'atmosfera.
Joy annuì confusa. Devonne la vide abbassare il volume della musica sul cellulare. «È solo un po' noiosa. Ma mi piace.»
Sua madre annuì accennando un sorriso, poi le prese le mani.
«Fai una cosa per la mamma: scrivi una lettera. Almeno una per ogni mese, e ci scriverai un sacco di cose belle.»
La ragazza la guardò, pensando che avesse la febbre. «Perché?»
«Perché così la tua vita diventerà ancora più bella. E poi rileggerai quelle lettere, e sorriderai.»
Joy sbuffò. «Mamma, non ho più sei anni. E poi, la mia vita è noiosa.»
Sua madre mollò la presa dai polsi della ragazza, sospirando. Non si era mai sentita così inutile prima d'ora.
«Nella libreria in soggiorno ho un vecchio diario ancora da scrivere. Se vorrai, lui è lì.»
Joy sorrise. «Va bene, se ci tieni tanto lo farò, anche se è una cosa stupida.»
«Grazie.», mormorò sua madre, tornando a fare le pulizie di casa con la voglia di far finta di niente.
Joy andò subito in soggiorno e, dopo aver cercato fra i vari libri che conosceva a memoria, trovò il piccolo libricino dalla copertina azzurra.
Non aveva molte pagine, quindi si chiese come avrebbe fatto a scriverci una vita intera. Sarebbe bastato al massimo per qualche mesetto, scrivendo in piccolo.
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«Come sapete abbiamo un progetto di arte da fare, ragazzi», blaterò la professoressa. «I gruppi sono già stati assegnati, collaborerete con altre sezioni, dato che il tema di arte è uguale in tutte le sezioni del quarto anno.»
La prof di arte era terribilmente noiosa, era impossibile darle retta durante le lezioni. Joy amava disegnare, ma raramente seguiva le istruzioni dell'insegnante. Faceva la sua arte e basta.
Più o meno tutto il resto dei suoi compagni odiava quella materia, ma erano tutti eccitati per i gruppi del progetto L'amore nell'arte, perché avrebbero avuto l'occasione di flirtare con gente diversa dal solito.
Joy si sentiva l'unica davvero interessata al progetto, e non aveva tutti i torti. Al suono dell'intervallo i suoi compagni corsero in atrio per vedere i gruppi, e lei li imitò. C'era una grossa folla intorno ai tabelloni, e come al solito la ragazza venne spintonata qua e là senza ottenere risultati. Aspettò in silenzio finché non se ne andarono tutti e, infine, sbirciò i nomi dei vari gruppi.
Quando trovò il suo nome si tranquillizzò. Si era quasi convinta che anche la professoressa l'avesse dimenticata.
Michael Clifford
Joy White
Calum Hood
Conosceva Michael di vista, per la fama di colorarsi i capelli molto spesso, ma di Calum non aveva mai sentito parlare.
Si sistemò lo zaino sulle spalle e guardò il corridoio ancora cosparso di ragazzi qua e là, soprattutto coppiette appoggiate contro gli armadietti.
Sentì qualcuno bisbigliare e ridere a pochi metri da lei. «Sì, con Joy White...»
Si bloccò di colpo, cercando di capire meglio da dove provenissero le voci. Nel corridoio a destra.
Si appoggiò contro il muro principale per non essere vista. Le parole rimbombavano, e si distinguevano tre voci.
«La sfigata?»
«Sì, sì. Quella con gli occhiali, che non parla con nessuno.»
«Potete farvela lo stesso, basta tenere gli occhi chiusi!»
Partì una risata generale, e Joy si sentì sprofondare dall'imbarazzo.
«Calum, tu la conosci?»
«No, è davvero così sfigata?»
Non voleva sentire altro, era abbastanza. Corse via il più lontano possibile da loro, sperando che non facessero in tempo a vederla.
Tornò a casa e si chiuse in camera piangendo. Affondò la faccia sul suo cuscino freddo dal sapore di lavanda e soffocò i suoi singhiozzi.
La camera era piccola e impolverata, dato che aveva passato molto più tempo fuori casa nell'ultimo periodo. Joy alzò il viso dal cuscino e prese in mano gli auricolari e il cellulare. Partì I don't fucking care, proprio come se persino il cellulare avesse capito il suo stato d'animo.
Un vero schifo.
Si distese sul letto, andando a sbattere un piede su qualcosa di spigoloso. Il diario. Probabilmente l'aveva lasciato lì mamma prima di andare a lavoro.
Quel giorno Joy scrisse la sua prima lettera.
Angolo autrice
Spero che questa nuova storia vi piaccia. All'inizio non si capisce molto, ma non si può svelare tutto subito! Ho deciso di dedicare il primo capitolo ad una ragazza che, beh, probabilmente non sa nemmeno della mia esistenza, ma la sua fanfiction su Calum mi è piaciuta tantissimo e ha segnato la mia ossessione per lui. La sua fanfiction si chiama "Unknown Number. [C. Hood]"
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twelve. {C.H.}
FanfictionCalum sospirò, buttando a terra l'ennesima sigaretta. «Come può una ragazza tirare fuori tutto il buono che c'è nella gente? Come fa a farmi sentire così sbagliato con gli altri, e così perfetto per lei?» ~~ Una lettera per ogni mese, così le avev...