Capitolo 5

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Calum e Joy erano seduti sulle gradinate della scuola. Lei stava aspettando sua madre, lui un motivo per tornarsene a casa.

In realtà nessuno dei due voleva realmente andarsene.

Il sole era uscito dalle nuvole e illuminava perfettamente il viso dai lineamenti, che Joy trovava armoniosi, di Calum.

I suoi capelli erano nascosti da un berretto grigio, ma spuntavano comunque dei ciuffi davanti, alcuni mori ed altri color miele.

«Stavo pensando a una cosa», mormorò Calum, interrompendo lo studio di Joy, che si accorse solo in quel momento di averlo fissato a lungo.

«A...?» lo incitò lei.

Calum sorrise mostrando un milione di fossette.

Stava guardando davanti a sé, ma con la coda dell'occhio riusciva a intravedere anche lei. È una semplice ragazza, si ripeteva, ma non riusciva proprio a fare a meno di sentirsi teso con lei.

«Mi piacerebbe approfondire le ricerche per il progetto», disse.

Joy annuì senza capire dove volesse arrivare. «Anche a me.»

Le macchine passavano di tanto in tanto lungo la strada, andando veloci o piano, con la musica alta o senza. Gli alberi erano tutti uguali, striminziti, al di là della strada, nel parco vuoto.

C'era così silenzio che Calum aveva paura che si sentissero i suoi pensieri.

Si affrettò a riempirlo con una frase che nella sua testa suonava bene, ma nelle sue labbra lo fece apparire uno stupido.

«Pensavo che potremmo studiare insieme, uno di questi giorni», disse tutto d'un fiato.

Era strano avere paura di domandare qualcosa, non gli era mai successo.

Con le ragazze, Calum era uno stronzo e basta. Si divertivano a letto e il mattino dopo non ne voleva più sapere di loro. Si ricordò di tutte le bionde che aveva scopato sul cesso della discoteca qualche giorno prima, o alle rosse che si portava nel retro del locale abitualmente. Le more, invece, gli riservavano ogni volta un sacco di sorprese interessanti. Sì, le ragazze gli sembravano un catalogo, un menù già fissato. Un'enciclopedia che sapeva a memoria e che non cambiava mai. Con Joy, invece, aveva paura di sbagliare tutto e di spezzarle le ossa solo con lo sguardo. Era così sconosciuta e questa cosa lo incuriosiva, anche se non voleva ammetterlo.

Eppure Joy era una ragazza. Capelli castani spesso disordinati che le coprivano mezza schiena, il naso piccolo all'insù, occhi piccoli e verdi. Poi, quelle labbra sottili e screpolate dovevano essere dannatamente fredde. Chissà che storia, baciarle.

Calum le stava guardando le labbra pensando a tutte quelle cose che non pensava sul serio. Si limitava a guardarle poco, e più le guardava, più era certo di non aver mai trovato una ragazza più pura.

Il cuore di Joy balzò per l'emozione.

«Mi farebbe piacere studiare con te.», sorrise.

Poteva scrivere qualcosa di bello sul suo diario senza inventarsi niente.

Per la prima volta un ragazzo le aveva dato un appuntamento. Be', una cosa simile ad un appuntamento.

Anche Calum era emozionato. Si sentiva un ragazzino.

«Se vuoi domani sono libero», le ammiccò. «Puoi venire a casa mia.»

Joy finse di pensarci su. Aveva una visita all'ospedale, ma era sicura di poterla spostare a qualche ora dopo.

Mamma avrebbe capito, mamma capiva sempre.

«Sì» gli rispose, sorridendo debolmente.

Un rumore di motore familiare in strada le ricordò che doveva andare a casa.

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