Capitolo 7

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Joy era appena entrata in cucina quando le arrivò quel messaggio. Sua madre era intenta a preparare la cena, mentre la tv vecchia di vent'anni accesa a volume bassissimo faceva loro compagnia. Sorrise sommessamente pensando a Calum, poi le venne una fitta allo stomaco ricordando le raccomandazioni del dottore.

Devi stare a casa, devi riposarti. Solo così sarebbe stata... un po' meglio. Un po' meno morta.

"Non sono sicura di poter venire"

digitò in fretta, dimenticandosi persino del punto, che nei suoi messaggi non mancava mai. Una parte del suo cervello si era convinta che, tralasciando quel piccolo e insignificante punto, la frase sarebbe rimasta aperta e avrebbe potuto prendere un finale diverso dall'ovvio.

Proprio come la sua malattia.

I dottori, le infermiere, sua madre e addirittura i professori le dicevano "Andrà tutto bene, tranquilla" senza finire la frase. La lasciavano ponderare in aria con un lungo sospiro, pronunciando un "tranquilla" incerto e prolungando la "a" in un modo disgustosamente dolce, come se invece di parlare a Joy parlassero ad una bambina.

Lei sapeva già il suo destino, perché mentire? Lasciare la frase in sospeso significava non sapere con certezza se sarebbe stato così, se sarebbe andato tutto bene. Era tutto un forse carico di speranza e frustrazione.

A volte se lo chiedeva. Andare tutto bene è sinonimo di morire, forse?

Senza nemmeno accorgersene, una lacrima calda le rigò il viso, e avvertì un lieve dolore, come se si fosse trattata di una lacrima acida.

Piangere non aveva alcun senso. Non serviva a farla stare meglio, non poteva cancellare nulla. Non faceva differenza piangere o meno, però lei piangeva e non poteva smettere.

Una furia di pensieri le ronzavano per la testa. La scuola, gli esami, sua madre. Il suo futuro. Aveva ancora un futuro?

Si sentì improvvisamente stanca, tanto da buttarsi sulla sedia ed appoggiare le braccia sopra il tavolo di marmo. Appoggiò la testa sulla superficie freddissima e scomoda, scoppiando in una marea di singhiozzi deboli.

Deboli, ma fin troppo forti per Devonne, che spense immediatamente il fuoco del fornello lasciando l'impasto del budino appiccicarsi sul fondo della pentola. Si a sua figlia, imponendosi di non crollare di fronte a lei.

Joy avvertì due braccia accoglienti accarezzare prima il tessuto della maglia che le copriva la schiena, poi i suoi capelli biondicci un po' appiccicosi. Fare la tac la faceva sempre sudare freddo.

«Sta' tranquilla...» mormorò dolcemente la madre.

Ecco. Proprio le parole sbagliate.

Lei alzò la testa, anche se le pesava fin troppo. La figura offuscata di Devonne le era di fronte, un sorriso solcato da rughe vicino alle sue labbra.

Mamma sorrideva molto. Era la cosa che sapeva fare meglio. Sorrideva quando era felice e quando era triste, e questo suo splendido modo di incurvare le labbra sottili le aveva procurato delle graziose rughette sui lati delle labbra. Erano bellissime, proprio come i suo sorriso, che faceva sentire Joy un po' meno fuori posto, ma ancora troppo sbagliata.

«Sta' tranquilla» ripeté Joy con una stanca ironia. Distolse lo sguardo puntandolo sul suo cellulare, ancora fra le mani.

Un nuovo messaggio da Calum. Una possibile risposta da dargli. E che poteva dirgli? Doveva mentirgli proprio come facevano gli altri con lei, inventando una scusa normale che non facesse tanta paura.

Puntò le sue iridi grigie su quelle della madre. «Devo stare tranquilla. È l'unica cosa che sai dirmi, come fanno gli altri, vero?» Fece una pausa breve, per riprendere fiato e sistemare gli intoppi tremolanti nella sua voce. «Nemmeno tu sei tranquilla e non fingere che non sia vero.»

twelve. {C.H.}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora