«Mamma, ti prego!», la implorò con una voce tenera, che riservava solo per le emergenze.
«No, ci vai a scuola. Punto.», le ripeté sua madre.
Joy non voleva assolutamente andare a scuola, a maggior ragione durante il giorno in cui avrebbe dovuto svolgere il progetto con i due ragazzi. Si era sentita un vero schifo, e non avrebbe sopportato un'altra presa in giro di fronte ai suoi occhi. I ragazzi della sua scuola erano bravi a distruggere i suoi sentimenti, a ribaltarli, a giocarci a loro favore.
«Allora, se devo proprio andarci, dammi ancora cinque minuti.», disse.
Andò in camera sua e frugò nell'armadio alla ricerca di qualcosa da mettere. Qualcosa di bello, o di nullo, ma non deridibile. Si tolse il maglione di lana verde con i ricami - glielo aveva regalato sua zia per il suo quattordicesimo compleanno, ma lo aveva messo solo due anni dopo, perché era enorme - e scelse una felpa blu semplice. Al posto dei jeans infilò una gonna bianca, come quasi tutte le studentesse della scuola, e un paio di calze di lana nere.
Si guardò allo specchio e si sentì inadeguata. Scoperta. Non indossava mai gonne.
«Può bastare...», sussurrò a se stessa. Prese gli occhiali e se li sistemò sul naso. I capelli le stavano ondulati, orribilmente crespi, ma almeno c'erano ancora.
Quando tornò da sua madre, quest'ultima rimase a bocca aperta. Non capiva perché si fosse vestita in quel modo, ma non fece domande. Era felice che, per una volta, sua figlia si valorizzasse. Sperava che scrivesse anche questo nel suo diario.---
I corridoi della scuola erano affollati come ogni mattina. Questa volta era Joy a voler sparire e non gli altri a ignorarla.
Fermandosi all'armadietto notò con vergogna che alcuni gruppetti vicino ai distributori di merendine la stavano guardando scettici.
Molti studenti ridevano. Cercò di ignorarli.«Hey», una voce maschile le giunse da dietro le spalle, e lei si accorse di come gli sguardi divertiti delle ragazze diventarono frecciate di fuoco. Prese i suoi libri dall'armadietto e cercò di capire a chi si riferiva la voce.
«Hey, dico a te.», continuò lui.
Joy si girò quasi spaesata. Il ragazzo le sorrise amichevolmente.
«Sei tu Joy White?» Lei annuì.
«Io sono Calum, siamo nello stesso gruppo di arte.», fece il ragazzo, tendendole la mano.
Joy sussultò.
Calum.
Il ragazzo che l'aveva chiamata sfigata senza nemmeno conoscerla. Se ne avesse avuto il coraggio, come minimo gli avrebbe tirato uno schiaffo in pieno viso, ma gli dava ragione, dopo tutto. Lei era una sfigata e lui, ora che lo guardava meglio, era un ragazzo davvero carino. Pensò che avesse origini asiatiche, ma non gli chiese conferma.
Calum si dondolava da un piede all'altro, cercando le parole giuste da dire. Aveva ancora la mano tesa, ma la ritrasse vedendo che lei non la prendeva, sospirando.«Be', si è fatto tardi. Vieni in biblioteca per il progetto?», fece infine.
Lei annuì di nuovo. Aveva paura di dire qualcosa di stupido ed essere considerata non solo sfigata, ma anche stupida. Questo non lo accettava.
«Vieni, c'è già Michael che ha preso i posti.», le tese di nuovo quella mano, ma lei non l'afferrò. Sapeva dov'era la biblioteca.
Seguì il ragazzo per il corridoio, poi su per le scale. Era magro, e indossava degli skinny jeans neri e una felpa grigia. Di tanto in tanto osservava i suoi capelli corti e leggermente mossi, con qualche sfumatura più dorata sul ciuffo.
I loro passi echeggiavano sul piano superiore insieme al vociare degli studenti che entravano nelle proprie classi. Qualche ragazza ancora accostata alla porta dell'aula salutò o ammiccò a Calum, e lui alzò frettolosamente la mano o il capo per ricambiare. Da dietro Joy non capiva se sorrideva alle ragazze, ma non le doveva neanche interessare.
Finalmente arrivarono alla biblioteca e Joy sorrise alla vista di tutti quei libri. Amava le biblioteche, erano qualcosa di magico per lei. Il profumo del legno, delle pagine, il colore delle copertine, il silenzio.
Quel giorno la biblioteca era rumorosa. La maggior parte degli studenti di quarta erano lì per lavorare al progetto, ma nessuno di loro aveva rispetto di quella meraviglia. C'erano ragazzi che facevano rumore con i loro cellulari, che gridavano e sghignazzavano come se fosse intervallo, o come se si trovassero in una discoteca. Aveva persino visto due ragazze strappare le pagine di un volume e farci scarabocchi o palline da lanciare ai ragazzi. Ebbe l'impulso di andarsene da quello spettacolo orribile, ma il suo buon senso vinse.
Calum si fermò di scatto e per poco Joy non ci si schiantò contro. Il moro si girò verso di lei e le indicò una sedia.
«Puoi sederti ora», ridacchiò vedendola assorta nei suoi pensieri. Anche Michael aveva una faccia divertita.
Joy si sedette in imbarazzo. «Ciao.»
Erano seduti in un tavolo piuttosto lontano dagli schiamazzi, ed era più facile lavorare.
Michael sorrise, sembrava simpatico anche se lei non riusciva a dimenticare gli insulti. Joy trovò stressante ammettere a se stessa che il ragazzo con i capelli rossi aveva un bel sorriso. «Io sono Michael, ma penso che tu mi conosca. E quel cinese che ti sta fissando le tette è Calum.»
Joy trovò il suo tono di voce divertente, ma non rise.
«Non sono cinese e lo sai!», disse seccato Calum a Michael.
«Non hai smentito il fatto che le guardavi le tette!», canzonò l'altro.
Calum deglutì rumorosamente. «Ora lo smentisco.»
Risero. Lei sorrise per non sembrare un'asociale, anche se in realtà stava già pensando alla bozza del progetto.
Michael tirò fuori il cellulare dallo zaino, digitandovici sopra svogliatamente. «Io non saprei cosa scrivere su questa roba.»
«Neanche io, fratello.», gli fece eco Calum.
D'un tratto la guardarono entrambi per aspettare che dicesse la sua.
«Direi che ora abbiamo una scusa per guardarti le tette» mormorò Michael ammiccando. Scoppiarono tutti quanti a ridere. Michael aveva un buon senso dell'umorismo.
Dopo la risata, Joy deglutì cercando le parole giuste. «Avrei pensato di collegarmi al Romanticismo, poi riguardo ai quadri direi di incominciare con quello di Francesco Hayez, Il Bacio. Gli altri autori dovrei ripassarli.»
Michael sembrava spaesato. Calum era in crisi.
«Che hai detto?», chiesero entrambi.
Sorrise. «Ora ve lo rispiego, se permettete.»
Joy amava parlare dell'arte ed era l'unico argomento che avrebbe saputo dire durante una conversazione senza incepparsi o vergognarsi. Non si sentiva in imbarazzo di fronte a queste cose, ed era fiera di se stessa.
Sperava solo di aver fatto una buona impressione anche su di loro.
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twelve. {C.H.}
FanfictionCalum sospirò, buttando a terra l'ennesima sigaretta. «Come può una ragazza tirare fuori tutto il buono che c'è nella gente? Come fa a farmi sentire così sbagliato con gli altri, e così perfetto per lei?» ~~ Una lettera per ogni mese, così le avev...