•9• Neun.

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Rimasi lì cinque giorni. Tanto per stare sotto controllo e vedermi mangiare un pochettino.  Saltai scuola,ma non mi arrivò nessun messaggio di consolazione. Solo Viktor mi cercava, era preoccupato. Ma non risposi mai, volevo tornare a scuola come se non fosse successo niente. Doveva dimenticare quella mattina, così come dovevo fare anche io.

Quando tornai a casa,la prima cosa che feci fu quella di pesarmi. Un stramaledetto 46,3 segnava la bilancia. Non scendevo più. Sembrava che il mio corpo non volesse collaborare con la mia testa. Mi rifiutavo di mangiare, spizzicai solo due cracker e stetti male comunque. Sentivo delle fitte allo stomaco che mi facevano contorcere.  All'ospedale i giorni erano più o meno  sempre uguali. Mamma mi chiedeva spesso se volevo qualcosa da mangiare, ma rifiutavo sempre. Mi veniva a trovare molto di rado, perché il lavoro le impegnava tutto il tempo.  Mio fratello veniva spesso nelle ore di visita, parlavamo del più e del meno, altre volte discutevamo su come dovevo affrontare questa situazione.

Mi massaggiai le tempie e mi tolsi le copertine leggere dalle gambe, scesi dal letto. Rimasi ferma qualche minuto come sempre, poi mi alzai e andai a lavarmi la faccia con l'acqua gelata. Erano solo le 7:45, di una mattina come tante. La stanza dove mi avevano messo era sempre la solita, non mi piaceva e non mi sarebbe mai piaciuta.

Ritornai a letto e mi sdraiai a occhi sbarrati, con il pensiero di quello che avrei fatto. Dovevo mandargli un messaggio, in fondo dovevo ringraziarlo. Rimasi così altri cinque minuti buoni, poi mi allungai da un lato e presi il telefono. Con un profondo respiro, scrissi un unica cosa.
"Mi spiace."

Non ricevetti risposta,non era ancora online. Forse stava dormendo. Mi rannicchiai da un lato,con il telefono accanto e le cuffiette. Cercai di dormire, ma non ci riuscivo. Quindi feci i calcoli delle calorie che avrei dovuto assumere lo stesso giorno e domani. Mi rilassai un po'. Il muro bianco aveva un quadro con una nave disegnata, una nave nella tempesta. Il nome del pittore era scritto in piccolo da un lato, mi sforzai di leggero  ma rinunciai.

Chiusi gli occhi e mi addormentai.

Uscita dall'ospedale mi catapultai di nuovo nella routine della scuola. Diedi il certificato medico alla professoressa e andai al mio posto. Mi sentivo come se il mio "mimetizzarmi" fosse stato scoperto. Stavo da schifo. Il mio peso stava aumentando, e io sarei tornata uno schifo. Non c'era Viktor quel Lunedì, mi sentivo morire senza la sua presenza. Era come se non avessi qualcuno con cui condividere i miei pensieri. Come se solo lui potesse capire.

La scuola andava uno schifo. Io stavo anche peggio.

A casa mi ammazzai di esercizio e mi sforzai di smangiucchiare qualcosa,tanto per far riattivare il metabolismo e scendere un altro po'. Stavo sdraiata sul divano, con la copertina fino alla vita. Le note di Adele mi stavano trafiggendo il cuore. Sentii dei passi veloci nel corridoio. Un veloce scalpiccio di tacchi. Mia madre stava per uscire.

Mi misi di un fianco, con la faccia verso il cuscino del divano e mi rannicchiai.

-Michelle? Noi usciamo, che vuoi fare?-
Scossi la testa e feci spallucce.
-Rimani a casa?-

- anche se venissi, che mi metto a fare? Sai che non mi piacciono i centri commerciali.-

Non la guardai nemmeno,ma già immaginavo la sua espressione.  Un misto di fastidio, con la mandibola contratta, il rossetto bordeaux che la faceva sembrare ancora più seria. La sua mano si poggiò delicatamente sulla mia spalla, mi spostai in avanti per togliere il contatto.

-Ci vediamo dopo.-

Non risposi e rimasi in posizione fetale per altri minuti. Il portone si chiuse alle  sue spalle. Sentii la macchina accendersi e la immaginai percorrere il vialetto e uscire dal cancello.

Dopo forse un ora mi alzai dal divano, mi vestii pesante. Volevo uscire. Ne avevo bisogno. Non so per quale motivo, ma ne avevo bisogno. Presi le chiavi e le sigarette, misi le scarpe e uscii. Le strade erano vuote,ed erano solo le sette di sera. Senza una vera e propria meta, camminai in mezzo a quelle strade fatasma, dovevo solo schiarire i pensieri, respirare un po'.

Passai per il centro e vidi i negozi aperti, ragazze che ridevano e parlottavano fra loro. Rimasi a guardarle per un attimo, ma quando si voltarono verso di me, abbassai la testa e continuai a camminare. Volevo stare su di un altalena, per fumarmi una sigaretta e godermi l'unica sera che sarei uscita, prima di tornare a casa ed essere inghiottita nella routine.

Passai davanti  ad una pizzeria, l'odore di pizza mi scosse lo stomaco. Aveva fame, lo sapevo. Ma lo stomaco aveva fame, io no.
Sentii i morsi della fame,allungai il passo e arrivai al parco. Sulle scale dei giardinetti, dei ragazzi fumavano e ridevano. Feci il giro più largo per passargli lontano. Due li conoscevo anche, ma non mi soffermai a pensare a chi fossero, ai loro nomi, le loro facce. Solo dei grovigli grigi ambulanti. 

Mi sedetti sull'altalena e mi accesi una sigaretta. Quando aspirai, venni scossa da una violenta tosse. Ci riprovai. Stesso risultato. Alla fine mi arresi e la buttai. Mi passai una mano fra i capelli e quando la guardai, quasi una ciocca era rimasta nella mia mano. 

Mi venne da piangere. Stavo toccando il fondo, ma non mi interessava. Me stessa doveva venire prima di tutto. Il mio corpo deve arrivare alla perfezione. Non mi interessava se perdevo qualche ciocca, sarebbero ricresciuti. Dovevo essere leggera. Ormai era un bisogno, un bisogno che veniva prima di tutto. Anche prima di me.

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